ARGENTINA : LA ZANON E’ DEL POPOLO !

Da Anarchia in azione:

Comunicato dei lavoratori della fabbrica argentina Zanon
Traduzione: Jorge Centurion

http://www.obrerosdezanon.com.ar

ZANON È DEI LAVORATORI

Dopo 9 anni di lotta, siamo riusciti a strappare l’esproprio definitivo della nostra fabbrica

Questo cammino, percorso dalle operaie e dagli operai della Zanon,
non sarebbe stato possibile senza prima aver strappato alla burocrazia
sindacale le nostre rappresentanze di categoria.

Per prima cosa, nel 1998, abbiamo ricuperato la nostra commissione
interna per lottare contro i licenziamenti, i maltrattamenti, le
umiliazioni e per le condizioni di sicurezza e igiene, contro la
polifunzionalità, per i nostri salari, ecc, ma soprattutto per
instaurare una nuova forma di lavoro: la democrazia diretta per poi,
nel 2000, ricuperare il nostro sindacato e metterlo al servizio dei
lavoratori.

In questi quasi nove anni ne è passata di acqua sotto i ponti,
abbiamo valorizzato profondamente l’appoggio che abbiamo ricevuto in
questi anni di lotta. Dalla [gente della] comunità di Centenario,
Neuquén, Plottier, ecc, che sul finire del 2001 si avvicinava con un
pacchetto di spaghetti alle tende che abbiamo sostenuto per 5 mesi,
fino ai lavoratori interni dell’unità n° 11 che si trova a pochi metri
dalla fabbrica, che per 3 giorni hanno donato le loro razioni di cibo
affinché potessimo resistere.

Le Madri di Plaza de Mayo, associazione regionale di Neuquén, che
fin dal primo giorno ci hanno adottato come loro figli e camminano per
le strade assieme a noi, fino ad oggi, resistendo assieme ad ognuno di
noi 5 ingiunzioni di sfratto, repressioni, minacce.

I compagni e le compagne docenti dell’ATEN[1], compagni della CTA[2]
Neuquén. Fino alla solidarietà a livello nazionale e internazionale di
compagni che mai abbiamo conosciuto e che, conoscendo la nostra lotta,
ci inviavano i loro fondi sciopero per resistere.

Abbiamo imparato anche ad essere solidali con altri lavoratori,
creando un Fondo per lo Sciopero permanente, abbiamo spinto dicendo che
la coordinazione è fondamentale per il trionfo delle lotte operaie. –
Dai minatori di Río Turbio, lavoratori del petrolio di Las Heras,
statali e lavoratori di fabbriche di Neuquén e Río Negro, Garrahan
Subterráneas, Aeronautici, Ferroviari, fino ai movimenti di lavoratori
disoccupati di Tartagal e decine di fabbriche ricuperate.-

Dal principio abbiamo aperto la fabbrica alla comunità, ricevendo
migliaia di bambini e adulti affinché conoscessero la nostra esperienza
di lotta.-

Abbiamo consolidato l’unità operaio-studentesca, tanto nei giovani
studenti medi quanto con i compagni universitari, che ha avuto e ha
espressione nell’accordo quadro di collaborazione con
l’Università.Abbiamo organizzato concerti senza polizia, con artisti
regionali e gruppi nazionali come La Renga, Attaque 77, Bersuit
Vergarabat, León Gieco, Raly Barrionuevo, Dúo Coplanacus, tra gli
altri, che hanno solidarizzato con la nostra lotta lasciando la loro
arte e solidarietà alle operaie e agli operai della Zanon, plasmata
nella comunità di Neuquén.

La nostra lotta si è sempre basata nella pratica della lotta di
classe, identificando i governi, i padroni e le burocrazie sindacali
come il nemico dei lavoratori.

Questa esperienza, che abbiamo costruito lungo questi nove anni e
con l’enorme consenso di cui gode la nostra lotta nella provincia, a
livello nazionale e internazionale ha fatto sì che potessimo ritorcere
la volontà politica del Governo Provinciale del MPN[3] che ha dovuto
sostenere e votare il progetto di legge di esproprio.

Consideriamo che questa conquista, da parte di tutto l’insieme della
classe dei lavoratori, ha un valore enorme, e che questo governo che
oggi vota l’esproprio della “Zanon bajo gestión obrera[4]” è lo stesso
che ha assassinato Teresa Rodríguez[5]; lo stesso che ha represso noi
operaie e operai della Zanon a fine del 2001 e ha voluto sgomberarci 5
volte; lo stesso che ha fucilato il nostro compagno ceramista Pepe
Alveal, facendogli perdere un occhio, nella repressione del Barrio San
Lorenzo; lo stesso che ci ha assassinato il compagno Carlos Fuentealba
e lo stesso che oggi parla di pace sociale quando in questi momenti di
crisi economica mondiale gli impresari e i loro governi ci dichiarano
guerra con licenziamenti, salari da fame, caro prezzi, ecc.

Le scuole e gli ospedali sono stati svuotati e l’unica opera
pubblica di cui parlano è la costruzione di carceri per rinchiudere i
nostri giovani, mentre ogni giorno muoiono decine di famiglie negli
incendi delle loro precarie casette occupate.

Per questo, nonostante l’enorme conquista che abbiamo ottenuto, in
un contesto di crisi economica internazionale, strappando l’esproprio a
questo governo, cosa che ha un valore molto maggiore, dalla gestione
operaia della Zanon e dal Sindacato Ceramisti di Neuquén siamo convinti
che la nostra lotta non è finita perché, come fin dal primo giorno,
consideriamo che la salvezza non è individuale ma dell’insieme della
classe lavoratrice.

Compagni e compagne, a tutti e tutte quelli che in qualche modo sono
stati parte, hanno portato il loro granello di sabbia: condividiamo
l’allegria di questo grande passo!!

Ai compagni che ancora guardano increduli, talvolta timorosi,
talvolta scettici diciamo: vi invitiamo ad essere parte di questa
storia che non è né più né meno che contribuire con un granello di
sabbia alla trasformazione della realtà e riprendere il sogno dei
nostri 30 mila compagni[6]: una società senza sfruttatori né sfruttati!!

¡¡ZANON ES DEL PUEBLO!!

Obreras obreros de Zanon – Sindicato Ceramistas de Neuquén

————————————————————–

[1] ATEN: “Asociación Trabajadores del Estado de Neuquén”, sindacato dei lavoratori statali

[2] CTA: “Central de Trabajadores Argentinos”, grosso sindacato dissidente argentino

[3] MPN: “Movimiento Popular Neuquino”, partito di centro-destra che
ha sostanzialmente dominato la scena politica della Provincia di
Neuquén per quasi 50 anni.

[4] “sotto gestione operaia”

[5] Attivista del movimento dei lavoratori disoccupati, assassinata dalla polizia durante un picchetto nel 1997.

[6] Il riferimento è ai 30.000 desaparecidos della dittatura militare 1976-1983

http://lombardia.indymedia.org/node/21155

 

Marcello Lonzi – Aggiornamenti sull’inchiesta e lettera della madre

fonte: Corriere di Livorno

LIVORNO – C’era chi picchiava all’interno del carcere delle Sughere
nel 2003, l’anno in cui Marcello Lonzi morì all’interno della sua cella
in quel maledetto 11 luglio. E’ questo quanto la magistratura al
momento suppone, ripercorrendo le tappe e facendo luce su quella
misteriosa morte tramite interrogatori e indagini. L’inchiesta sulla
morte di "Marcellino", come era
da tutti conosciuto, è stata
riaperta dal sostituto procuratore Antonio Giaconi a tre anni dalla
morte del detenuto. Era il 2006 quando il pm decise di riportare alla
luce dall’archiviazione (per morte naturale ndr) il caso "Lonzi" con
l’inchiesta "bis". Adesso le indagini stanno volgendo al termine e dopo
un lungo periodo di investigazioni gli inquirenti hanno stretto il
cerchio
individuando chi all’interno del corpo di polizia
penitenziaria, con mezzi un po’ troppo pesanti avrebbe punito nei
giorni precedenti alla sua morte Marcello Lonzi. In sostanza
"Marcellino", era stato preso a botte prima di quell’11 luglio del 2003
a causa dei suoi atteggiamenti poco in linea con le regole del carcere.
Lonzi era un tossicodipendente che utilizzava spesso e volentieri i
fornellini da campeggio per "sniffare" gas. Pratica che non veniva
tollerata di certo da chi era addetto alla  sorveglianza delle celle.
E’ quindi certo che nei giorni precedenti a quel tragico 11 luglio
Marcello Lonzi avesse già passato alcuni giorni in isolamento e lì
avrebbe subito percosse. La magistratura sarebbe riuscita a ricostruire
tutto questo dando
quindi un’altra chiave di lettura alle indagini
in corso in via di conclusione. Il pm Antonio Giaconi sta ancora
attendendo la terza perizia medico legale che dovrà arrivare sulla sua
scrivania direttamente da Siena entro la fine del mese di settembre.
Poi ancora qualche ultimo interrogatorio e infine la conclusione delle
indagini prevista entro la fine dell’anno.
Adesso dunque mancherebbe
soltanto da ricostruire per filo e per segno cosa accadde quel giorno
per poter dimostrare che Marcello Lonzi subì delle percosse che lo
portarono alla morte. Le perizie medico legali fino ad oggi analizzate
dalla Procura hanno sempre dimostrato come Lonzi sia morto per un arresto cardiaco. Adesso c’è
da
capire se qualche elemento esterno stressante (come ad esempio le
percosse) abbia potuto determinare l’arresto del cuore del detenuto.
Venerdì la madre di Lonzi, Maria Ciuffi, è stata ricevuta dal
Procuratore della Repubblica Francesco De Leo, con il quale ha parlato
dello stato delle indagini per circa un’ora. A dimostrazione del fatto
di come la giustizia voglia
dire ancora la sua in questa storia.


Sono trascorsi sei anni dalla morte di mio figlio Marcello, sono
stata interrogata dalla Procura, ci sono stati dei confronti faccia a
faccia, ho pianto, mi sono arrabbiata, so a memoria ogni pagina che
riguarda quel maledetto 11 luglio. Se quel corridoio potesse parlare,
direbbe quanto dolore mi porto dentro ogni qual volta salgo le scale
della Procura aspettando un sì. In tutti questi anni, ho capito una
cosa: se il caso sulla morte di mio figlio è stato riaperto, è solo
grazie a me, e non alla giustizia. Perché io sono andata a Genova, io
ho bussato a tante porte che per fortuna si sono aperte, dopo aver
visto
le foto di Marcello. Ci sono tre perizie, ma a quanto pare la Procura
non è ancora soddisfatta. Mi chiedo: che altro c’è da capire? Quando il
viso di mio figlio è irriconoscibile dalle botte che ha preso? Sono
solo una mamma che come ogni mamma vorrebbe sapere perchè il proprio
figlio è morto! Vorrei credere tanto nella Giustizia, ma già mi ha
fregato una volta. Vorrei poter andare in pace al cimitero, ma non
riesco, perché ancora non ho finito di mantenere la promessa fatta
sopra quella bara chiusa. Vorrei avere giustizia, quella che ancora non
ho avuto. Davanti al dottor Giaconi tante volte ho ripetuto
la stessa frase: «non ho più niente da perdere sono sola». Oggi a distanza di sei anni sento che la pazienza si è esaurita.
Voglio e pretendo la giustizia sulla morte di mio figlio! Perché è un mio diritto.

Maria Ciuffi, mamma
di Marcello Lonzi

VALLO DELLA LUCANIA: IN UN VIDEO I QUATTRO GIORNI DI AGONIA DEL COMPAGNO ANARCHICO?

 
L’INCHIESTA SULLA MORTE DEL MAESTRO DI CASALVELINO: Mastrogiovanni, in
un video i quattro giorni di agonia Acquisito dal pm l’hard disk della
stanza di psichiatria. Primi riscontri sui presunti falsi delle
cartelle cliniche
Vallo della Lucania. La ricerca della verità sulla
morte di Francesco Mastrogiovanni non si è fermata neppure alla vigilia
di ferragosto.
L’ultimo atto della procura della repubblica di Vallo della Lucania è
l’audizione degli infermieri del reparto di psichiatria dell’ospedale
San Luca, in qualità di persone informate dei fatti. Ad essere indagati
sono invece i medici che hanno avuto in cura il maestro di Castelnuovo
Cilento. Oltre alle modalità della contenzione cui è stato sottoposto
Mastrogiovanni, un altro aspetto che gli inquirenti intendono
approfondire, ascoltando i sanitari del reparto, è, infatti, se e come
il paziente tenuto legato al letto per 4 giorni sia stato alimentato.
Con mani e piedi immobilizzati, infatti, non avrebbe potuto assumere
cibo e acqua da solo, a meno di non essere aiutato dagli infermieri o
di trarre sostanze nutritive esclusivamente dalle flebo. Quando è stata
eseguita l’autopsia, lo stomaco di Franco è stato trovato completamente
vuoto. Significa che non ha ingerito cibo per un tempo prolungato. C’è
poi il giallo dei "buchi" nella cartella clinica, dove non viene mai
citato il trattamento di contenzione. Un’altra verifica è quella
relativa all’annotazione di una richiesta di elettrocardiogramma che
non sarebbe stata mai eseguita. Si deve quindi presumere che l’esame
non sia stato mai eseguito. E Franco è morto in conseguenza di
un’insufficienza ventricolare sinistra. Ancora, ci sono dieci ore che
precedono la morte, senza che sulla cartella sia annotato nessun
trattamento, dalle 21 del 3 agosto, quando «dormiva ed era tranquillo»,
fino alle 7,20 del giorno dopo, quando è stato ritrovato cadavere.
Tutti questi elementi potrebbero trovare una risposta dalle riprese
video eseguite nella camera di Mastrogiovanni e ora all’esame dei
magistrati. Si tratta di un intero hard disk che custodisce, minuto per
minuto, gli ultimi quattro giorni di vita del maestro. È stato
acquisito dal pm Rotondo, titolare delle indagini, assieme alla
cartella del prof e ai documenti del trattamento sanitario
obbligatorio, alla base del suo ricovero. Ma i magistrati hanno chiesto
anche il rilascio delle cartelle di tutti i pazienti di psichiatria,
dal 1° gennaio 2008 ad oggi, per una verifica più ampia. Intanto, le
prime certezze sulla morte di Mastrogiovanni potranno arrivare a fine
mese, quando saranno consegnati ai consulenti della Procura le analisi
dei campioni di organi, tessuti e liquidi biologici, prelevati durante
l’esame autoptico eseguito dal direttore del dipartimento di medicina
pubblica valutativa, Adamo Maiese. Gli esami tossicologici, effettuati
nel secondo policlinico di Napoli, dovranno determinare quali e quanti
farmaci gli sono stati somministrati. Le analisi istologiche, invece,
cercheranno di svelare quale problema cardiaco e che tipo di edema
polmonare lo hanno ucciso. Ci vorranno circa 20 giorni per i primi
risultati, ma la consulenza medico-legale chiesta dal pm sarà
depositata tra poco meno di 60 giorni. Mentre l’inchiesta procede a
ritmo serrato, si susseguono i ricordi delle persone che hanno
conosciuto e stimato il “maestro più alto del mondo”, come scrivevano i
suoi alunni. Il parroco di Castelnuovo, don Pietro Sacco che giovedì ha
celebrato i funerali conosceva Franco da 37 anni, cioè da quando fu
detenuto nel carcere di Vallo perché indiziato, e poi scagionato, del
delitto Falvella. «Ero all’inizio della mia esperienza di cappellano e
lo vidi solo per pochi giorni, prima che fosse trasferito – spiega don
Pietro – ma apprezzai i suoi sentimenti nobili, il suo attaccamento al
senso della giustizia e l’attenzione che mostrava verso gli ultimi». Il
racconto diventa inevitabilmente riflessione sulla sua tragica vicenda
umana. «Ci deve insegnare a riscoprire il valore della persona, che va
difesa anche e soprattutto nella malattia – dice il parroco – Sulla sua
morte spero che si faccia presto piena luce. Mi auguro che non ci siano
responsabilità, ma siamo tutti perplessi per un decesso così improvviso
e per i segni che lo hanno accompagnato». Il giorno dopo le
dichiarazioni rese dai legali dei medici indagati, tornano a parlare i
difensori della famiglia del prof. «È prematuro sostenere che non c’è
un nesso di causalità tra il decesso e la contenzione – rimarca
Caterina Mastrogiovanni – Allo stato l’unica certezza sono quei segni
inequivocabili di una prolungata contenzione. I manicomi sono stati
aboliti con legge Basaglia e un uso indiscriminato di tale trattamento
non è consentito dalla legge. Segni così marcati sul corpo non si
spiegano, infatti, con una logica medico-curativa».
http://sfoglia.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20090815&ediz=SALERNO&…

Torino: Azione in ricordo di Carlo

 Da Indy Piemonte:

Il monumento ai caduti di Nassirya in
corso IV Novembre a Torino e’ stato pesantemente danneggiato. Un’azione
analoga alle numerose scritte che nella notte sono state fatte in
edifici pubblici, monumenti e chiese del centro citta’ contro la
decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha stabilito
che il carabiniere Mario Placanica al G8 di Genova agi’ per legittima
difesa.

In particolare
sono state tagliate e portate via le teste di 4 delle sagome che
formano il monumento mentre altre 3 sono state danneggiate. Inoltre
sulla teca in plexiglass che riporta i nomi dei caduti sono state
tracciate scritte come ‘Carlo vive’, ‘CC assassini’ e ‘Acab’.
Sull’episodio
sono in corso le indagini della Digos che per identificare i
responsabili sta anche analizzando i filmati delle aree in cui questa
notte sono state fatte le scritte, in particolare i muri esterni del
Municipio, del Duomo e alcuni monumenti come quello al carabiniere.

Carceri: continua la protesta dei detenuti a Sollicciano e a Pisa

da: intoscana.it

Nei giorni scorsi il drammatico gesto di un carcerato marocchino
che si è cucito la bocca dopo che era stata rifiutata la sua richiesta
di rimpatrio

Continua la protesta dei detenuti nel carcere di Sollicciano di Firenze, dove nei giorni scorsi un carcerato marocchino si è cucito materialmente la bocca per opporsi al mancato rimpatrio.
Il detenuto aveva ancora due anni di condanna e la sua richiesta di rimpatrio non era stata accolta così ha compiuto il terribile gesto di autolesionismo al seguito del quale la magistratura ha dato il via libera alla sua domanda.

A renderlo noto è il garante delle carceri del Comune di Firenze
Franco Corleone, che ieri si è recato nel carcere di Sollicciano dove dal 18 agosto è in corso la protesta dei carcerati contro l’eccessivo sovraffollamento delle strutture penitenziarie.
Sollicciano, informa Corleone, ospita oltre 900 detenuti a fronte di una capienza di 500, per questo i carcerati vivono in tre in celle da un posto e in sei in celle da tre persone.
Dall’inizio della protesta la condizione di vita a Sollicciano è
migliorata: i detenuti non mangiano più pane ammuffito e possono fare
la doccia anche la domenica.

Una protesta che si è estesa anche alla casa circondariale
di Pisa, dove ieri sera per reclamare contro la mancanza d’acqua, metà
dei 400 detenuti ha dato fuoco a cuscini, vestiti ed effetti personali
e ha lanciato bottiglie e bombolette nei corridoi.
Ci
sono volute due ore per spegnere il fumo e riportare la situazione alla
calma: lo ha comunicato il Sappe, sindacato autonomo di polizia
penitenziaria.

Firenze: Carcere di Sollicciano detenuto si cuce bocca

Da Indy Napoli:

http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/2009/25-agosto-200…

Firenze: ancora proteste a Sollicciano e detenuto si cuce bocca

Coriere della Sera, 26 agosto 2009

La protesta nel carcere fiorentino è cominciata il 18 agosto scorso
per l’eccessivo sovraffollamento. Un detenuto che voleva essere
rimpatriato si è cucito la bocca.
Continua la protesta, nel carcere di Sollicciano a Firenze, dove i
detenuti battono oggetti sulle sbarre delle celle per denunciare le
condizioni in cui sono costretti a vivere. Lo rende noto il garante dei
detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, che si è recato nella
struttura per fare il punto della situazione con il direttore Oreste
Cacurri. La protesta nel carcere fiorentino è cominciata il 18 agosto
scorso per l’eccessivo sovraffollamento e per la gestione complessiva
dei posti nelle case circondariali in Toscana che viene definita, come
riferisce Corleone, "demenziale". "Ieri – informa il garante – a
Sollicciano c’erano 955 detenuti più sette bambini a fronte di una
capienza di 500. Per domani pomeriggio è previsto un incontro con una
folta rappresentanza dei detenuti che hanno preparato un documento nel
quale elencano le loro richieste".
Un primo incontro tra detenuti e direzione c’è stato il 19 agosto
scorso e, dopo la visita, Corleone ha esposto, al telefono, la
situazione al vice capo vicario del Dipartimento dell’amministrazione
penitenziaria (Dap) Emilio Di Somma. "Se non ci saranno a breve
risposte positive – ha detto Corleone – non lascerò soli i detenuti e
mi impegnerò coinvolgendo associazioni e società civile, parlando col
sindaco di Firenze Matteo Renzi e con l’assessore regionale Enrico
Rossi".
A Solliciano, informa Corleone, i detenuti sono reclusi in tre, in
celle da un posto e in sei in celle da tre. Oltre il 65% è composto da
stranieri spesso senza risorse. Nel documento i detenuti chiedono di
porre il limite alle presenze a 550-600 posti e anche un incontro con i
giornalisti. Intanto è migliorata la questione del vitto e dell’igiene
personale. Ai detenuti non danno più pane ammuffito (questo fatto ha
originato la protesta), vengono loro consegnati i gelati e possono fare
la doccia anche la domenica. Tra le richieste anche estendere almeno a
due turni (da uno solo come è ora) l’utilizzo del campo sportivo.
"La questione del sovraffollamento è paradossale – aggiunge Corleone –
perché a soli 100 metri da Sollicciano, c’è il Gozzini, o Solliccianino
per la custodia attenuata che è semivuoto. Ci sono 40 posti liberi, con
due posti a cella sarebbero 80. C’è poi l’ottava sezione di
Sollicciano, quella per i tossicodipendenti, dove ci sono altri 40
posti liberi. Inoltre il femminile di Empoli ha liberi altri 50 posti,
ci sono liberi 20 posti a Massa Marittima e ci sono spazi nella casa di
reclusione della Gorgona e nel penitenziario Forte San Giacomo a Porto
Azzurro sull’isola d’Elba. Hanno ragione i detenuti a dire che
l’utilizzo delle strutture in Regione Toscana è demenziale".
Riguardo alla presenza nelle carceri dei tossicodipendenti, per
Corleone dovrebbe avere applicazione la norma per il loro affidamento
speciale, con programmi alternativi e in particolare, l’ingresso in
comunità specializzate. "Così facendo – conclude il garante – in tutta
Italia si libererebbero 20 mila posti. Solo a Firenze 200".
Per protesta contro il mancato rimpatrio, un detenuto si è cucito
materialmente la bocca e così ha ottenuto quanto per legge gli
spettava. L’episodio, accaduto nei giorni scorsi nel carcere di
Sollicciano a Firenze, è stato reso noto dal garante della carceri del
Comune di Firenze Franco Corleone. Al detenuto, marocchino – ha
spiegato il garante – restavano due anni da espiare ma la sua richiesta
di rimpatrio non veniva accolta; così ha deciso di protestare cucendosi
la bocca. Solo a questo punto la magistratura ha accolto la richiesta.
Dopo essere stato medicato, per il marocchino sono cominciate le
pratiche per tornare in Marocco. "Questo episodio drammatico – afferma
Corleone – mette in luce una questione troppo trascurata. Sono molti in
Italia i detenuti stranieri che potrebbero usufruire della norma di
legge che prevede la possibilità del rientro in patria come misura
alternativa quando mancano loro da scontare due anni. È urgente un
monitoraggio per capire quanti sono questi casi".

 

Carlo vive

Per chi si aspettava "giustizia" -cos’è, com’è fatta?- la doccia fredda…come se una condanna ad un burattino del potere fosse sufficiente a far crollare tutto lo schifo che ci circonda…per chi si appella alle "istituzioni democratiche", alla magistratura, al diritto…il diritto è sempre quello del più forte e giudici, forze del disordine, politici e lacché vari non sono altro che strumenti del potere, della sua autopoiesi.

Un ragazzo morì, e morì combattendo, come tanti ancora combattono e che più di lui hanno solo la fortuna di non dover più diventare un monito di sangue scagliato su tutte le teste dei ribelli…e questa sentenza è la ciliegina su quella torta tremenda…Dicevamo che il potere non processa sé stesso, e tanto meno si condanna…lo stato si assolve, l’autorità -non necessariamente quella statale, ma anche economica, morale, politica…- legittima il suo strumento principe: l’uso monopolistico della violenza, adoperata soltanto per mantenere capi chini e paure nascoste in fondo ai cuori…dunque sbagliavamo? Ai riciclati neo pacifisti, girotondisti, grillisti, comunisti da operetta, preti della legalità, amici dell’autorità, ai pavidi che si nascondono dietro un comunicato di protesta -salvo veder poi la propria vita scorrere nella più totale e vergognosa inazione…la vostra coscienza non morde le budella?-, ai distratti per convenienza o paura, ai creduli partigiani delle istituzioni domando: SBAGLIAVAMO?  Volete continuare a protestare? A lamentarvi? A denigrare ed evitare chi lotta? o volete cominciare anche voi a LOTTARE? Voi che date la mano ad un sindaco, ad uno sbirro, ad un politico, ad un padrone, non sentite l’olezzo insopportabile di sangue? RIVOLTA dovrebbe essere il colore delle vostre intenzioni, delle nostre lo è già.

Non c’è quasi niente da salvare, ma tanto da distruggere e tantissimo da ricostruire…l’impegno è grande ed il tempo stringe.

Carlo non c’è più, ma la lotta è ancora viva e vitale e noi abbiamo il dovere -e dobbiamo perché vogliamo!- di ribellarci in ogni maniera, grande o piccola che sia.

Carlo vive perché la lotta vive, Carlo vive perché il tramonto dei nostri sogni di libertà fugge con l’orizzonte e non arriverà mai…nonostante tutto…Carlo vive perché lo ricordiamo.

CARLO E’ VIVO! I MORTI SIETE VOI!

Evjenij Vasil’ev Bazarov

Ciao, Comprati Arrapound!!

fonte lombroso.noblogs.org

Quando
i tempi sono cupi e saturi di cupidigia, la storia diventa una ciunga
che si tira, ci insegnano i loschi al governo. Mai morti, cullati e
nutriti tra le pieghe della storia, i nipotini mazzieri di oggi hanno
capito che adesso si possono rispolverare i fasti di ieri
(ri)presentandosi belli agghindati al primo appuntamento. È tempo di
balletti e debutti in società.

(clicca sui manifesti per scaricarli in alta qualità)

Vogliono
odorare di storia e cultura, nascondere certi olezzi, riempire con
altro i loro palinsesti altrimenti un po’ sgombri di simpatia (chi ci
mettiamo sui manifesti colorati? L’allegrone Himmler che gioca allo
sterminio in Ucraina? Oppure l’italianissima banda Koch della RSI che
in compagnia delle SS tortura, stupra e ammazza però tutti vestiti da
Pierrot? Noo, dobbiamo essere ancora più non conformi…). Per
sintonizzarsi allora su Radio Biricchinissima rubacchiano a destra e a
manca (spesso a manca) col fine di ricostruirsi un lacerato imene di
credibilità.
Più di tante parole, torna qui utile la saggezza
orientale dei monaci buddisti dell’antico Tibet: quando ti tiri dietro
un carretto fumante di merda, se la vaporizzi di Chanel n.5, mica
improvvisamente si mette a profumare.
Recente sfoggio di eleganza
predatoria da parte di questi "fascisti del terzo millennio"
(attenzione al pay-off di un marchio in pubblicità, spesso è
ingannevole: quelli del terzo sono identici a quelli del secondo), la
genialata di un manifesto in memoria di Rino Gaetano, il quale, detto
fuori dai denti, li sputerebbe a tutti quanti se fosse ancora in vita.
Però è morto.
Il federale di Casapound Gianluca "che turbofuori che
sono" Iannone, dopo aver seguito il corso di marketing per
corrispondenza della scuola Radioelettra, ha pensato di accaparrarsi
più deceduti possibili e farli passare per eroi organici alla solita
mefitica ideologia.
I morti, è risaputo, fanno fatica a difendersi.
Ci hanno provato con Luciano Bianciardi, quello che scriveva "se
vogliamo che le cose cambino, occorre occupare le banche e far saltare
la televisione. Non c’è altra possibile soluzione rivoluzionaria",
scrittore fuori dagli schemi sempre dichiaratosi anarchico.
E anche lui li sputerebbe quindi volentieri. Però è morto.
Succede adesso con Rino Gaetano, surreale colonna sonora delle
cinghiate dispensate dal Blocco studentesco/Casapound in Piazza Navona
a Roma quando intendevano imporre con la violenza la propria
superiorità territoriale camuffandola da "liberi pensieri". Già allora
papo Iannone deve avere ordinato ai suoi cuccioli al guinzaglio: a me
mi piace Rino Gaetano. Non era un compagno, è colpa delle zecche dei
centri sociali che infoibano la sua memoria… bazzicava l’autonomia e
scriveva certi testi perché dei non turbo-uomini lo drogavano di
nascosto… era un libero pensiero e quindi è dei nostri. Arruolato.
Alalà!
Così deve aver detto quel birbante anticonformista dalla
pelata volitiva, che gira che ti rigira ha però impregnato nei vestiti
quel sentore di vecchio e di stantìo, capito come… sì, come fossero
avanzi di regime.
Luciano Bianciardi e Rino Gaetano sono solo i
primi di una colossale impresa pubblicitaria tesa a battezzare con olio
di ricino le prossime icone sacre del movimento turbo-bastonatore.
Ecco in anteprima i nuovi manifesti.[…]

Online blog antifa internazionale

Da Indy Roma:

Alla fine dell’anno scorso nella città di Bochum è stato realizzato
un graffito dedicato a 7 giovani antifascisti assassinati negli ultimi
anni da neonazisti.

La realizzazione del graffito è diventata ora un documentario "Uno
di noi" nel quale vengono anche raccontate le storie dei giovani
compagni antifascisti assassinati.

Sul sito del progetto, realizzato in tedesco, inglese, spagnolo,
italiano, frencese e russo, sono ospitati testi, gallerie fotografiche
ed è possibile scaricare il film ed i sottotitoli.

http://unodinoi.blogsport.de

Uno di Noi:

Davide Cesare, alias “Dax” (26 anni), accoltellato a morte il 16 marzo 2003 da fascisti a Milano.

Thomas Schulz, alias “Schmuddel” (31 anni), assassinato il 28 marzo 2005 da un nazi-skin a Dortmund.

Timur Kacharava ( 20 anni), assassinato il 13 novembre 2005 da un gruppo di nazisti a San Pietroburgo.

Renato Biagetti, alias “Renoize” (26 anni), accoltellato a morte il 28 Agosto 2006 da fascisti a Roma

Carlos Palomino, alias “Pollo” (16 anni) accoltellato a morte l’11 Novembre 2007 da un falangista spagnolo a Madrid.

Jan Kučera (18 anni), accoltellato a morte il 18 Gennaio 2008 a Příbram, nella Repubblica Ceca, da un nazi-skin.

Fjedor „Fidei“ Filatov (27 anni), accoltellato a morte il 10 ottobre 2008 da quattro nazisti russi a Mosca.

Abbiamo scelto questi sette giovani, perché crediamo che
rappresentino i giovani europei che resistono alla recrudescenza del
fascismo e del razzismo. A causa della loro opposizione e della loro
resistenza sono diventati vittime della violenza fascista. Di loro
sappiamo che la loro opposizione /resistenza si rivolgeva anche contro
la normalità del capitalismo. E per questo hanno rappresentato degli
elementi di disturbo per le forze dell‘ordine, a Giustizia, la politica
ufficiale e alla stampa nei rispettivi Paesi. Casi difficili da
trattare per polizia, legge e media, così come per partiti ed
istituzioni che hanno espresso poco interesse per loro.
uesto è chiaramente il caso, ad esempio, dell‘antifascista di Dortmund
Thomas Schulz, alias Schmuddel. Fino ad oggi la città si è rifiutata di
affiggere una targa commemorativa alla Stazione della Metropolitana
dove era stato assassinato.
Noi pensiamo che ognuno di loro fosse “uno di noi”.
Uno di noi, ragazz* europei, che né credono a costruzioni artificiali
quali la nazione, la razza, i confini nazionali, etc., né si
preoccupano solo della loro “realizzazione” individuale. Uno di noi,
che riusciamo ad immaginare una vita migliore, liberata dallo
sfruttamento capitalista e dall‘isolamento dei singoli esseri umani e
che vogliono lottare per questo.
Erano “uno di noi”. E non li dimenticheremo. Per conservare la loro
memoria e ricordarli in maniera attiva abbiamo realizzato questo mural.
E, come dice lo slogan del murales: Nei nostri sogni di cambiamento
sociale e nelle nostre lotte per ottenerlo Dax, Schmuddel, Renato,
Pollo, Jan, Fjedor e Timur, come tutte le altre vittime del fascismo e
del razzismo, continuano a vivere.

Dax, Schmuddel, Renato, Pollo, Jan, Fjedor und Timur –“Vivono ancora“ !!!