270bis – Stop a risarcimento ingiusta detenzione

fonte: Italia Oggi, 11 settembre 2009

La riparazione per ingiusta detenzione non è un diritto di tutti gli
imputati assolti. Infatti va negata, nonostante le accuse infondate, a
chi ha imprudentemente accettato il rischio di avere contatti con
un’organizzazione criminale e quindi, di conseguenza, di apparire
coinvolto negli affari illeciti.

La buona notizia per le casse dello Stato, sempre più oberate dalle
spese di giustizia, arriva dalla Cassazione che, con la sentenza n.
35030 del 9 settembre 2009, ha respinto il ricorso di un 36enne accusato "di partecipazione con finalità eversive" a un’organizzazione criminale.

La vicenda: L’indagato era
stato assolto da tutte le accuse: "dal reato associativo perché il
fatto non sussiste, dagli altri per non aver commesso il fatto". Per
questo aveva chiesto di essere risarcito per il periodo che, in virtù
della custodia cautelare decisa dal primo giudice, aveva trascorso in
carcere, da settembre 1996 a gennaio 1998.

Ad aprile del 2008 la Corte d’Appello di Roma aveva negato la
riparazione. Contro questa decisione lui ha fatto ricorso in
Cassazione. La quarta sezione penale, con una sentenza ben motivata e
destinata all’ufficio del massimario, lo ha integralmente respinto.
Prima di tutto gli Ermellini hanno analizzato le considerazioni sulle
prove fatte dai giudici di merito.

"Il provvedimento
impugnato", si legge a un certo punto della sentenza, "ha evidenziato
che l’uomo aveva abituali frequentazioni con il mondo della militanza gerarchica
[forse errore di battitura ndr.], non, evidentemente, solo quella tout
court (che sarebbe circostanza del tutto neutra), ma anche quella
riconducibile alla imputazione del provvedimento cautelare".

Insomma l’imprudenza di chi è stato ingiustamente messo in manette
può costargli l’indennità tanto che in altri casi la Cassazione ha
deciso per il mancato ristoro se l’indagato non si è difeso
adeguatamente dalle accuse. Il principio: Ma qui è diverso. L’aver
imprudentemente frequentato, in determinate circostanze,
l’organizzazione criminale può essere un buon motivo per non
accordargli i soldi.

In un passaggio chiave che chiude le sei pagine di motivazioni i
giudici della quarta sezione penale hanno scritto che "alla stregua di
tali evidenziate circostanze, non appare censurabile, in applicazione
dei principi sopra enunciati, l’affermazione del provvedimento
impugnato che, cioè, il complesso di tali elementi ancorché considerati
non decisivi per una affermazione di penale responsabilità delinea,
quanto meno, un comportamento altamente imprudente e superficiale,
poiché l’indagato, in tal modo, ha accettato il rischio di apparire
coinvolto nell’organizzazione criminale".

In altri termini, ha spiegato la Cassazione in diversi punti della
decisione, i parametri di valutazione che deve usare il giudice
chiamato a decidere sull’ingiusta detenzione non sono gli stessi
rispetto a quelli che deve usare il giudice chiamato a decidere sulla
responsabilità penale di un cittadino. "La valutazione del giudice
della riparazione", ecco un altro passaggio importante, "si svolge su
un piano diverso, autonomo rispetto a quello del giudice del processo
penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale: tale
ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di una ipotesi di
reato ed eventualmente la sua riconducibilità all’imputato; il primo
invece deve valutare se le condotte si posero come fattore
condizionante alla produzione dell’evento detenzione. Il rapporto fra
giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel
condizionamento del primo rispetto all’altro". La decisione non ha
messo tutti d’accordo. Infatti la Procura generale della Cassazione
aveva sollecitato un annullamento con rinvio dell’ordinanza della Corte
romana.