Un video sulla Croce Rossa nei Cie

Da indy Toscana:

 

Ciò che ogni giorno e ad ogni ora separa un senza-documenti dalla libertà è un crocerossino con delle chiavi in mano

Guarda il video su:
http://www.youtube.com/watch?v=2169g-J1bUU

e diffondilo il più possibile…

====

Alcuni fatti di questi giorni ci lasciano supporre che ancora vi siano
equivoci diffusi sul ruolo esatto che giocano dentro alla “macchina
delle espulsioni” tutta quella serie di organizzazioni “umanitarie” o
“assistenziali” che hanno in mano la gestione dei 13 Centri di
Identificazione ed Espulsione che se ne stanno disseminati sullo
stivale. Parliamo della Croce Rossa, intanto, ma anche della
Misericordia, dei consorzi di cooperative Connecting People e Self,
solo per fare i primi nomi che ci vengono in mente. Tutte le volte che
si pone la questione sul tappeto c’è sempre qualcuno che si alza in
piedi e dice: «ma perché ve la prendete con loro?», «se non ci fossero
loro a curare i “trattenuti”, chi lo farebbe?». Soprattutto quando si
parla di Croce Rossa, poi, sembra quasi che il suo ruolo dentro ai
Centri sia di organizzare i turni in infermeria, controllare la data di
scadenza dei medicinali e vegliare sul rigoroso rispetto dei “diritti
umani” dentro alle gabbie. Non è così.

Gestire un Cie vuole dire averne in appalto la gestione complessiva.
Vuole dire ricevere dei soldi dal Ministero e con quelli organizzarne
la vita all’interno – fuorché la mera sorveglianza, affidata alle Forze
Armate e alla Polizia. La Croce Rossa dentro ai Centri che gestisce è
responsabile di tutto e quello che non fa direttamente con le proprie
mani lo appalta ad altri mantenendone sempre la responsabilità
principale. È la Croce Rossa a doversi lagnare con la Camst e la Sodexo
se dentro alla minestra dei reclusi compaiono scarafaggi o se gli
spinaci che vengono serviti sono scaduti, non la Prefettura. E pure
della qualità delle lenzuola e della pulizia è responsabile la Croce
Rossa. La Croce Rossa sceglie come spendere i soldi delle prefetture,
come organizzare i servizi, opera scelte in autonomia e altre di comune
accordo con i responsabili della Questura. Dentro ai Centri, insomma,
la Croce Rossa è talmente indaffarata che… non ha il tempo di curare
l’infermeria, che di fatto è ridotta a un distributore automatico di
psicofarmaci e calmanti. Per non parlare della fine che fa la famosa
“supervisione umanitaria”.

Ci spieghiamo con una immagine precisa: in due dei tre Centri gestiti
attualmente dalla Croce Rossa in Italia i crocerossini hanno in mano le
chiavi delle gabbie. Le aprono, le gabbie, quando serve, e quando serve
le chiudono. A Ponte Galeria a Roma e in via Corelli a Milano ciò che
ogni giorno e ad ogni ora separa un senza-documenti dalla libertà è un
crocerossino con delle chiavi in mano. E anche se in corso Brunelleschi
a Torino il mazzo di chiavi lo tengono materialmente in mano i
poliziotti, il ruolo dei crocerossini nei Cie è quello dei carcerieri.

Anche se non fosse vero che i crocerossini chiudono gli occhi di fronte
ai pestaggi o che vi partecipano; se non fosse vero che ridono quando i
reclusi disperati si mutilano e urlano di dolore; anche se non fossero
complici degli abusi sessuali contro le detenute e negligenti di fronte
ai malori anche gravi dei prigiornieri; anche se tutto questo non fosse
mai accaduto, anche se Hassan non fosse morto sotto i loro occhi
indifferenti, e neanche Salah o Mabruka – anche se tutto questo non
fosse mai accaduto, i crocerossini impiegati nei Centri rimangono
comunque dei carcerieri.

L’”imparzialità”, l’”equidistanza” della Croce Rossa tra lo Stato e i
reclusi è tutta sbilanciata verso la fedeltà alle leggi dello Stato che
rinchiude. Essere equidistanti e imparziali, a rigor di logica, vuole
dire valutare la possibilità di violare le leggi, di aprire le gabbie.
È evidente che non può essere così e che questa “equidistanza”, questa
“imparzialità”, non sono che vuoti artifici retorici. Qualunque
affiliato alla Croce Rossa che voglia dare sostanza concreta a questi
attributi deve partire dalla pretesa che l’istituzione per la quale
presta servizio esca dai Centri. E lo stesso vale per gli operatori
della Misericordia di Modena o Bologna, dei cooperanti della
“Connecting People” a Gorizia o di quelli del consorzio Self, della
cooperativa Albatros, di “Malgrado tutto”, di Sisifo, della Blucoop…

Non è un discorso nuovo il nostro. Ma è importante chiarirlo proprio
adesso, e soprattutto a beneficio di chi definisce le nuove leggi
sull’immigrazione “leggi razziali” e “campi di concentramento” i Cie.
Non ci debbono essere più equivoci, né scuse: se i Cie sono davvero
“sempre più simili a campi di concentramento”, volerli gestire è cosa
infame, e va detto forte. Di fronte a un “Campo” la non-collaborazione
è il minimo, e bisogna saperla pretendere, bisogna lottare per
allargarla e approfondirla. E se le nuove leggi sono davvero “leggi
razziali” a nulla servono petizioni e i cortei se poi il Governo
applica queste leggi con il lavoro delle nostre mani.

O si sceglie la non-collaborazione, e poi l’opposizione attiva, pratica
e determinata, o si finisce in un ginepraio fatto di dichiarazioni
roboanti e compromessi, di bei principi e pratiche collaborazioniste,
di discorsi forbiti ed equivoci interessati. Un ginepraio nel quale
ogni tensione etica svanisce e con lei anche il senso stesso delle
parole e del nostro essere uomini.

(Tutti gli audio del video che vi alleghiamo sono brani di telefonate
effettuate negli ultimi cinque mesi con reclusi dei Cie di via Corelli,
Ponte Galeria e corso Brunelleschi – tutti e tre gestiti dalla Croce
Rossa. Le telefonate sono state trasmesse in diretta da Radio Blackout
di Torino e da Radiocane di Milano, oppure archiviate nel sito della
trasmissione //Macerie su macerie//)