Crisi e lotte operaie

 

Da qualche tempo i media ci
raccontano di quanto il peggio sia passato, di come la ripresa stia cominciando
e di come si debba avere fiducia e rilanciare i consumi; eppure la verità è
un’altra.

In autunno  “la crisi” si aggraverà ancor più e
colpirà soprattutto le imprese medio/piccole e gli artigiani, infatti chi
avesse avuto la fortuna di chiudere il bilancio di Luglio in pari, si ritroverà
a Settembre a dover affrontare le spese di ammortamento delle attività
(bollette, fatture rientrate in Agosto, -mese “improduttivo” a causa delle
ferie- e che quindi prospetterà una carenza di capitale al riavvio delle
attività, ecc…), spese che in vacanza non vanno.

Ci troveremo ad affrontare un
autunno/inverno di attività che chiudono e posti di lavoro che sfumano, ci
troveremo con il comparto industriale che cavalcherà la crisi per rinegoziare
al ribasso i diritti e le tutele dei lavoratori (contratti nazionali, dove
ancora esistono, e contratti di secondo livello), utilizzando la crisi come spauracchio
per “ottimizzare la produzione riducendo gli sprechi”…in poche parole
licenziamenti e delocalizzazioni…con buona pace dei sindacati confederali
sempre pronti a chinare il capo di fronte a piccole concessioni di facciata.

 Nel pistoiese la crisi sta mordendo in maniera particolare,
due grandi aziende (Radicifil e MAS) sono già chiuse lasciando a piedi
centinaia di lavoratori, e qualche tempo fa stessa sorte era toccata anche alla
Recoplast di Agliana…L’Ansaldo Breda ha preventivato qualcosa come 200.000 ore
di esubero a partire da Giugno 2010, che in lingua volgare vuol dire
licenziamenti (quantomeno per quanto riguarda le ditte esternalizzate e
l’indotto).

A fronte di tutto ciò le
mobilitazioni che si sono avute sul territorio pistoiese, come il presidio permanente degli operai in lotta della Radicifil, sono state importanti, perché
hanno dimostrato che sotto la cenere della concertazione sindacale la
combattività dei lavoratori arde sempre…eppure a guardare le medesime vicende
svoltesi in altri paesi mondiali ed europei ci rendiamo immediatamente conto di
quanto la conflittualità italiana sia ancora relegata alla rivendicazione
simbolica di diritti astratti ma negati nella pratica ogni giorno.

In Francia, a fronte di una
situazione molto simile a quella della Radici (produzione che viaggia a pieno
regime ed ordini che non mancano, alta professionalità, chiusura…) gli operai
della Nortel hanno deciso, vista la riluttanza della proprietà a trattare, di
minare la fabbrica minacciando di farla esplodere; Sempre nel paese transalpino
i sequestri dei managers sono diventati consuetudine nelle lotte tra capitale e
lavoro. Insomma, i francesi hanno capito che l’azione diretta paga, ma non è
tutto oro ciò che luccica, infatti queste rivendicazioni non rompono con
l’impostazione del lavoro (rapporto osmotico capitale/lavoro) e della società
attuali…ma chi ben comincia…Altro discorso vale per la Grecia. Tutti abbiamo
negli occhi le rivolte di Dicembre 2008 (e che a bassa intensità continuano
tutt’ora) che hanno avuto come causa scatenante l’omicidio di Alexis
Grigouropulos da parte delle forze del disordine; ma la rivolta greca non è
stata ed è cieca e priva di contenuti come i media di regime hanno tentato e
tentano di farci credere: tra le parole d’ordine che volavano sulle barricate
di Exarchia e di tutta la Grecia c’erano il no alla riforma dell’istruzione e
la rabbia per una disoccupazione crescente figlia di un economia capitalista
che ormai si sta dimostrando per quel che è: lucrosa per pochi e devastante per
il resto degli individui…i nipoti di Socrate, come sempre, hanno fatto un passo
in più.

Che fare dunque nel mondo, in
Europa, in Italia?

Per colpire in maniera importante
l’impostazione economico/autoritaria della società in cui ci troviamo a vivere
e per fare un ennesimo passo avanti verso un orizzonte diverso da quello fosco
verso cui siamo indirizzati, occorre agire direttamente sui meccanismi di
sfruttamento distruggendoli in maniera radicale.

In vari paesi del mondo –per
esempio- l’autogestione operaia delle fabbriche è una realtà, è di queste
settimane la vittoria dei lavoratori argentini della Zanon, che nove anni fa
occuparono l’azienda in cui lavoravano decidendo di autogestire la produzione,
e di farlo in maniera orizzontale (senza dirigenti, senza gerarchie, con
cariche e responsabilità a rotazione); ebbene dopo 9 anni di lotta, di AZIONE
DIRETTA, anche il governo, per salvare la faccia, è stato costretto a
riconoscere “legalmente” l’esproprio operato dai lavoratori.

Ma anche nella vecchia Europa
l’autogestione operaia non è un miraggio ma realtà; a Settembre 2007 i
lavoratori di una fabbrica di biciclette decisero di riavviare ed autogestire
l’azienda per cui lavoravano creando la Strike-bike.

La cosa interessante di queste
esperienze, oltre l’evidente valore di ogni esperienza d’autogestione, è la
comprensione, da parte dei lavoratori, che se le battaglie si vincono lottando
direttamente e senza mediazioni, i risultati si difendono attraverso la
solidarietà e la risolutezza.

La strike-bike lanciò una
sottoscrizione dal basso (senza chiedere incentivi a stato o prestiti a banche
che li avrebbero strozzati) che fu recepita in tutta Europa; la zanon, in un
contesto di crisi e lotte operaie diffuse (simile alla situazione italiana
attuale) mise a punto un fondo per lo sciopero permanente aperto a tutte le
realtà in lotta, appoggiò tutte le rivendicazioni dei lavoratori nei vari
comparti produttivi e dei disoccupati, legandosi a doppio filo con le realtà
studentesche più combattive.

Questi esempi c’insegnano non
solo che l’autogestione è possibile, ma che è necessaria per creare un
orizzonte che rompa con questo presente fatto di sfruttamento di tanti a favore
di pochissimi.

La sfida non è semplice,
soprattutto ora che la crisi sta velocemente sgretolando il sogno artificiale
di benessere diffuso creato ad arte dall’apparato di propaganda del capitale
transnazionale, che sicuramente non starà a guardare mentre nuove forme di
aggregazione dal basso mostrano agli individui che SI PUO’ FARE, che si può vivere
anche al di fuori dei paradigmi capitalisti e neoliberisti, che si può lavorare
e vivere senza nessuno che ti ordina cosa fare e ti dice come farlo, che la
gerarchia è superflua, che il sol dell’avvenire, d’ottocentesca memoria, può
non essere così lontano…la repressione colpirà, e già colpisce, ma la sfida è
irrinunciabile; Certo si può far finta di niente, si può aspettare che altri
risolvano i nostri problemi, si può attendere che tutto cambi perché tutto
resti uguale (e questo è il rischio)…ma allora non ci lamentiamo, spezziamoci
la schiena e zitti, il padrone ce lo chiede.

 

Evjenij Vasil’ev Bazarov.

Afghanistan, esplosione a Kabul Sei vittime tra i parà della Folgore

Da Repubblica.it

 autobomba contro due blindati Lince sulla strada per l’aeroporto della capitale
Quattro parà feriti gravemente. I Taliban rivendicano l’attentato suicida. Tra i civili 2 morti e almeno 30 feriti

Afghanistan, esplosione a Kabul
Sei vittime tra i parà della Folgore

il ministro dela Difesa La Russa: "Infami e vigliacchi non ci fermeranno
Uno dei militari uccisi sembra avesse raggiunto i connazionali proprio oggi

Afghanistan, esplosione a Kabul Sei vittime tra i parà della Folgore

Il blindato italiano obiettivo dell’attentato

KABUL –
Attentato kamikaze a Kabul, capitale dell’Afghanistan. Sulla strada per
l’aeroporto, un’autobomba è esplosa contro due blindati italiani. Sei
paracadutisti della Folgore sono morti: un’auto carica di esplosivo si
è lanciata contro il primo mezzo del convoglio, uccidendo tutti e
cinque gli occupanti. Danni gravi anche al secondo Lince: uno dei
militari a bordo è morto e altri quattro sono rimasti feriti
gravemente. Vittime anche tra i civili: almeno due e oltre 30 i feriti.
Decine di veicoli hanno preso fuoco.

Nelle immagini di una tv locale si vede un mezzo militare italiano
danneggiato, con le lamiere annerite dal fuoco, accanto al quale
soldati italiani stendono un telo sul corpo di un collega morto. Uno
dei sei militari italiani uccisi, sembra fosse appena arrivato a Kabul,
probabilmente oggi stesso.

L’attentato è stato rivendicato dai Taliban. il ministro della Difesa
Ignazio La Russa, al Senato, ha informato il Parlamento ribadendo che
quest’ultimo attentato non cambierà la strategia del governo: "Infami e
vigliacchi non ci fermeranno"

L’esplosione è avvenuta nel centro della capitale, all’altezza della
"rotonda di Massud", un incrocio stradale rallentato da check point che
controllano il traffico verso l’aeroporto, verso il comando Nato Isaf e
verso l’ambasciata americana.

Quello di Kabul è il più grave attentato subito dalle truppe italiane
dalla strage di Nassiriya, in Iraq,
del 12 novembre 2003. Nell’esplosione di un camion-cisterna davanti
alla base italiana Msu dei Carabinieri, ci furono 28 morti, 19 italiani
(12 carabinieri, cinque militari dell’Esercito e due civili di una
troupe che girava un documentario), e 9 iracheni.

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L’attentato suicida è avvenuto pochi minuti dopo che il presidente
Karzai aveva concluso una conferenza stampa al palazzo presidenziale
dedicata ai risultati delle elezioni annunciati ieri pomeriggio dalla
Commissione elettorale afgana. karzai ha contestato le obiezioni fatte
dagli osservatori dell’Unione europea secondo cui potrebbero esserci
brogli su quasi 2 milioni di voti.

Karzai continua a respingere i sospetti di brogli
massicci alle elezioni che lo hanno appena riconfermato alla guida del
Paese: "Credo fermamente e fermamente alla regolarità delle elezioni
presidenziali, malgrado le accuse di brogli", ha detto Karzai
incontrando la stampa. Il presidente ha aggiunto di credere fermamente
anche nella convinzione del popolo afgano e del suo governo nel
cambiamento in corso. Karzai ha detto che se brogli ci sono stati,
devono essere accertati, ma comunque non sono stati estesi come
denunciato.

La difesa del voto da parte di Karzai arriva a poche ore dalle accuse
degli osservatori dell’Ue che hanno denunciato brogli massicci con
oltre un milione e mezzo di voti fraudolenti. La proclamazione del
nuovo presidente dell’Afghanistan non potrà avvenire fino a quando non
saranno chiuse le inchieste sulla regolarità delle elezioni.

Karzai è risultato vincitore alle presidenziali con il 54,6% dei
consensi contro il 27,8% dello sfidante Abdullah Abdullah. Alle urne è
andato meno del 40% degli elettori afgani.

(17 settembre 2009)


Ebbene ecco a cosa porta la vostra pace…Autobombe che uccidono assassini…gran perdita?

 

Trento e Rovereto – Né retate né Alpini

Un fine settimana piuttosto movimentato.

Sabato sera, attorno alle 18,00, una trentina di compagni ha
occupato – smurando e aprendo l’ingresso principale – la Palazzina
Liberty, una villa all’interno del parco di fronte alla stazione dei
treni di Trento. Per quell’ora era stato pubblicizzato un concerto
contro il controllo sociale in un altro parco della città, dove alcuni
compagni comunicavano che l’iniziativa si sarebbe svolta alla Liberty
occupata e autogestita per quella sera.

Piazzato l’impianto sulla terrazza della palazzina, gli anarchici
hanno spiegato le ragioni dell’occupazione: riaprire uno spazio già
occupato da altri e sgomberato cinque anni fa e allo stesso tempo
creare un momento di lotta e di confronto contro il delirio securitario
e contro le continue retate ai danni degli immigrati che avvengono
proprio in quella piazza, che da anni autorità e benpensanti vorrebbero
normalizzare. Gli interventi in italiano e in francese sui CIE, le
espulsioni, il controllo poliziesco, la limitazione della libertà di
tutti hanno fatto avvicinare e discutere diversi immigrati. All’interno
della palazzina si è poi svolto un concerto hip-hop e hard-core. La
sala si è riempita (soprattutto di ragazzi ma anche di meno giovani), a
dimostrazione di come sia sentita in città l’esigenza di aprire spazi
di libertà.

Domenica mattina, a Rovereto, si è svolta la parata degli Alpini per
commemorare l’80° anniversario della sezione locale dell’ANA. Ma non è
stata una festa. Ignoti avevano vergato durante la notte parecchie
scritte sui muri contro la presenza degli Alpini in Afghanistan e nelle
città italiane, contro la militarizzazione dei territori. Coperte in
fretta e furia le scritte all’alba, le penne nere si sono viste
costrette a celebrare l’adunata con alzabandiera e frecce tricolori
davanti al loro monumento (eretto nel 1940, per la cronaca) che ancora
grondava vernice rossa. Raggiunto il corso principale della città, i
circa duecento vecchi e giovani guerrafondai hanno trovato prima tre
compagni che hanno lanciato fumogeni e calato uno striscione da una
torretta, poi, duecento metri più in là, una quindicina di altri
anarchici con striscioni, fumogeni, petardi, trombe e megafono su un
tetto della centralissima piazza Rosmini. Visibilmente nervosi, hanno
sfilato mentre al megafono veniva spiegato che qualche giorno prima gli
Alpini avevano pestato alcuni immigrati nel lager di corso Brunelleschi
a Torino con la complicità della Croce Rossa (anch’essa presente alla
sfilata). Dall’Afghanistan alle città italiane – questo il ragionamento
fatto – il ruolo degli Alpini è difendere gli interessi dei padroni,
preparandosi sempre di più alla guerra anche “in patria” (oggi contro
poveri e clandestini, domani contro intere popolazioni in rivolta). Non
poteva mancare, ovviamente, un riferimento alla base militare di
Mattarello.

Polizia, carabinieri, vigili urbani e finanzieri hanno brigato non
poco prima di identificare la ventina di compagni. Un quotidiano
titolava oggi “Agguato anarchico agli Alpini” (esagerati), parlando di
circa venti denunce (scontate).

compagni di Trento e Rovereto