30/08/2008: Intervista a Tahar uscito dal CIE di via Corelli di Milano alla fine di luglio 2008, dopo le giornate di sciopero di luglio
Domanda. Ciao, comincia da dove vuoi?
Risposta. Ciao, mi trovo in Italia dal 1998, lo stesso anno, in
novembre, è uscita la sanatoria. Allora feci la domanda per avere il
permesso di soggiorno. Il mio datore di lavoro mi dette il contratto di
lavoro, avevo a posto tutte le cose. Dopo due mesi, a differenza di
oggi che devi aspettare un anno, mi hanno dato il permesso.
Ho sempre lavorato in regola: buste paghe, versamento dei contributi,
ecc. Facevo il manovale in un cantiere edile. Allo scadere dei 2 anni
di validità del permesso di soggiorno chiesi ed ottenni l’immediato
rinnovo; lo stesso accadde 2 anni dopo. Erano così trascorsi 6 anni,
era il 2004. Chiesi il rinnovo del permesso per la quarta volta ma la
pratica non andava avanti. Dopo 8 mesi andai alla questura centrale,
all’ufficio immigrazione, portando con me le buste paga, il contratto
di lavoro, il CUD ecc. In questura, mi comunicarono che nel contratto
di lavoro del 1998 non risultavano pagati i contributi. Che potevo dire
del comportamento del mio datore di lavoro? Qual’era la responsabilità
se le buste paga non erano state registrate all’Ufficio del lavoro?
Sono cose che succedono anche agli italiani. In conclusione mi negarono
il rinnovo. Ho fatto ricorso al tribunale del lavoro. Tutto inutile. Il
tribunale, come la questura, diceva che non erano stati versati i
contributi. Ma perché prendersela con me? L’irregolarità, se c’era, non
era mia. Niente da fare: non ero più in regola per avere il permesso di
soggiorno.
In quei primi 6 anni avevo intanto aperto un mutuo e acquistata una
casa – di cui pago le tasse – studiato l’italiano, preso la patente,
comprata un’auto e avviata un’attività lavorativa nel campo alimentare.
Ho continuato a lavorare con un contratto di lavoro a tempo
indeterminato fino all’aprile 2007; ho tutte le buste paga con il
pagamento dei contributi, il CUD ecc. Poi mi sono licenziato perché ho
avviato con mio cugino il negozio di alimentari, un kebab-pizzeria.
Se mi avessero espulso avrei lasciato allo stato la casa, l’auto, il
negozio, i contributi… una bella fregatura! E ripeto: ho sempre
lavorato, non ho mai avuto denunce, non sono mai stato in carcere.
D. Quindi non eri mai entrato nemmeno in un CPT?
R. No, è stata la prima volta che ci sono entrato, non sapevo che esistessero, che cosa fossero.
D. Come sei stato arrestato?
R. Erano le 10 di sera, sono andato al bar vicino alla pizzeria a
prendere un caffè, perché in pizzeria non può esserci anche la macchina
per i caffè. Proprio in quel momento è entrata la polizia in borghese,
ha chiesto i documenti a tutti, anche a me. Ho consegnato la patente.
Mi dissero: “Tu non hai il permesso di soggiorno”; risposi: “non ce
l’ho perché voi non me lo avete rinnovato”. Niente. Mi hanno portato
subito in questura, dove mi hanno tenuto dalle 11 di sera fino al
mattino avanzato del giorno successivo alle celle, fino a quando sono
entrato nell’ufficio immigrazione dove mi hanno fotografato, preso le
impronte. Poi mi hanno trasferito in via Corelli.
Dopo 48 ore sono stato portato davanti al giudice (di pace), in un
ufficio lì vicino alle celle. Dal giudice sono rimasto neanche 5
minuti, nonostante la presenza di due avvocati. Era già tutto fatto. La
convalida era già pronta. Era un fascicolo con tutti i miei dati, con
le carte dei contratti di lavoro, dei versamenti fiscali… Al giudice
tutto questo non interessava. Era lì seduto, sapeva già quel che doveva
fare. Non mi ha degnato di niente. Non mi ha chiesto se volevo rimanere
o tornare al mio paese. Non mi ha detto neppure buongiorno.
D. Non ti ha rilasciato, ti ha tenuto chiuso in via Corelli. Come è andata?
R. Sono stato 60 giorni in via Corelli. Si sta peggio che in un
carcere. Non sono mai stato in carcere, non so come funziona, però li
ho incontrato delle persone che venivano dal carcere e dicevano che là
la situazione era molto meglio. In via Corelli, non hai niente. C’è la
cella per quattro persone, un corridoio, la saletta dove si pranza, un
cortile piccolo per l’aria tutto chiuso dove non puoi fare niente e ci
batte il sole tutto il giorno. Aria condizionata non ce n’è, ventole
neppure, il pavimento è in cemento, tutto intorno cemento armato, la
temperatura in queste settimane toccava i 45 gradi, un caldo che ti
impedisce anche di dormire. Non ti danno niente per passare il tempo.
Non ti puoi muovere di lì, sei sempre dentro e chiuso in quei pochi
metri quadrati.
Le persone che venivano dal carcere mi dicevano che là potevano
lavorare, guadagnare qualche soldo e così riuscire a comprare qualcosa.
In via Corelli non fai niente, non ti muovi, spendi e basta.
Nel periodo in cui sono stato dentro ho speso 650 euro per l’acquisto
di sigarette, cibo, tutto quanto, inoltre ho versato oltre 3.000 euro
agli avvocati, ho continuato il pagamento del mutuo… Tutto questo senza
lavorare un giorno.
D. Hai capito perché non ti hanno espulso?
R. Penso che dipenda dal fatto che non avendo con me il passaporto, la
questura doveva avere in mano il riconoscimento rilasciato dal mio
consolato, quello del Marocco. Il consolato non ha mandato una risposta
entro il tempo previsto, 60 giorni. La questura non può mandarmi nel
mio paese senza il visto del consolato egiziano.
Ho presentato ricorso al tribunale di Roma, per avere una risposta,
l’avvocato ha detto che, occorrono 2-3 mesi; il ricorso tuttavia non
blocca la convalida. Se il consolato manda alla questura il
lasciapassare, da quel momento mi possono mandare via. Siccome non sono
andato da solo in Egitto entro i 5 giorni previsti dalla legge
Bossi-Fini, se mi ribeccano rischio di tornare al CPT o anche di finire
in carcere.
D. Come si comporta il consolato?
R. Rispetta le leggi del suo paese e gli accordi fra Marocco e Italia,
in questo caso. Se negli accordi non è contemplato che il Marocco debba
fornire i documenti delle persone che l’Italia intende espellere,
difficilmente quelle persone verranno espulse.
D. Se tu avessi lasciato il Marocco perché perseguitato come sindacalista, giornalista…?
R. In quel caso avrei dovuto chiedere asilo politico all’Italia.
Mentre ero in Corelli ho conosciuto due casi in cui il giudice di pace
non ha dato la convalida alla richiesta di espulsione della questura;
nel giro di poche ore la questura ha portato con sé le persone
interessate, ha redatto altri fogli di via; ha riportato le stesse
persone in Corelli, le ha sottoposte ad un altro giudice di pace che
stavolta ha dato la convalida.
D. Quanti prigionieri di via Corelli venivano dal carcere?
R. Da quel che ho visto, della presenza di 120 persone presenti, le
proporzioni erano: 50% persone fermate durante un controllo normale,
come me, 50% arrivate invece direttamente dal carcere.
D. Quanti di quelli che hai visto uscire sono stati riportati al paese d’origine?
R. Tanti, la gran parte. Secondo me il 98%. Ho fatto il calcolo tenendo
presente quelli che arrivavano a superare i 40 giorni, perché entro
quel tempo le pratiche per l’espulsione dovrebbero essere tutte
ultimate; superato quel periodo hai buone possibilità di restare. Sono
espulsioni sì, ma con i 5 giorni dati alla singola persona di andarsene
da sé; le espulsioni dirette sono molte meno.
D. Quante persone entrano ogni giorno. La cella dove andare la decidono loro?
R. Tutti i giorni entrano nuove persone. Appena c’è un posto libero,
subito viene occupato da un nuovo arrivo. Tra espulsioni e permanenze
ogni giorno escono circa 10 persone, soprattutto nel pomeriggio
avanzato e altrettante ne entrano. All’inizio la cella in cui devi
entrare la decidono loro. Poi se trovi degli amici e chiedi di cambiare
ti lasciano andare. Tutto questo è sempre gestito dalla Croce rossa.
D. Quante sezioni ci sono?
R. 4 sezioni, due per gli uomini, una per le donne e una per le trans;
in ciascuna ci sono 7 celle ciascuna con 4 posti letto, dunque 28
posti, una sala mensa collettiva dotata di tv protetta da una grata di
ferro che rende impossibile la vista delle immagini, il telecomando lo
tengono quelli della Croce Rossa, alla fine devi guardare quello che
vogliono loro. C’è anche una stanza con 4 docce malandate e sporche.
C’è anche una piccola sezione, 4-5 posti, non so, per richiedenti
l’asilo politico. Li tengono un poco meglio; dentro ci ho intravisto,
per esempio, il calcetto, che nelle nostre sezioni non c’è. Con loro è
impossibile scambiare qualche parola. La Croce rossa è attenta a
chiudere le loro finestre e porte, quando passiamo nei pressi della
loro sezione.
D. Le condizioni igieniche in che stato sono?
R. La doccia la puoi fare quando vuoi, ma i locali sono sporchi, la
rubinetteria è decadente, l’acqua calda c’è a fasi alternate; le
lenzuola le cambiano ogni 15 giorni, sono del tipo di quelle che trovi
sui treni, usa e getta.
Così per la divisa, che ti consegnano assieme alla biancheria intima;
te la fanno indossare appena arrivi, pantaloni blu, maglietta rossa. I
nostri vestiti li tengono loro.
Ti forniscono anche del sapone, un dentifricio e uno spazzolino, chiaramente sono di qualità scadente.
D. Chi fa le pulizie?
R. Sono persone dell’Asia, ti danno il buongiorno, poi però non ti
guardano più. Vanno rapidi, più che pulire sporcano, tant’è che noi gli
chiedevamo di lasciarci gli attrezzi, di lasciare fare a noi.
D. Gli orari per andare all’aria quali sono?
R. Il cortile è di fronte alla sezione, aprono la porta alle 8, a volte
alle 9 del mattino e la lasciano aperta fino alle 22; nel mese di
luglio hanno cominciato a lasciarla aperta fino alle 23.
D. I colloqui con famigliari e amici?
R. Dunque, per fare i colloqui si deve fare richiesta alla prefettura
di Milano; la può inoltrare anche il prigioniero. La risposta arriva
dopo una o due o anche tre settimane. L’orario di entrata va dalle 15
alle 18, la durata, da quel che dice la Croce Rossa dovrebbe essere di
mezz’ora, nei fatti raramente supera i 15 minuti. La durata dipende da
quel che gli pare al poliziotto che sta lì di fronte. Fra te e chi ti
viene a trovare hanno messo un tavolino. Il poliziotto ti guarda, non
ti lascia nemmeno parlare, figurarsi fare un gesto d’affetto.
D. E con gli avvocati?
R. Per esperienza diretta posso dire che l’avvocato per venire a
colloquio ha fatto una fatica della madonna e una volta lì ci hanno
lasciato a colloquio appena una mezzora. Anche in questo caso c’era la
presenza del poliziotto a un metro che ascoltava tutto quel che ci
dicevamo.
D. E’ possibile ricevere dei pacchi portati ai colloqui?
R. Sì, te li consegnano nel pomeriggio. Ma anche in questo caso tutto è
affidato ai loro voleri. Molti alimentari non entrano. In ogni caso
entrano soltanto cibi confezionati dai supermercati.
Non c’è una lista in cui è elencato quello che può o non può entrare.
D. Il vitto di che qualità è?
R. E’ senza sapore, come quello che danno negli ospedali. Sono sempre i
soliti cibi, riso, qualche volta pasta. I pasti vengono consumati nella
sala collettiva o anche ti porti la confezione in cella.
Il cibo è fornito da una Spa di Pioltello.
D. L’acquisto di alimentari è previsto? Come è regolato?
R. Si, anche in questo, si possono acquistare, tramite richiesta una
volta la settimana, solo cibi del supermercato, della Esselunga. Lo
scontrino del prezzo te lo fanno vedere ma non te lo lasciano mai.
Loro ti forniscono 10 sigarette ogni settimana, alcune volte anche dopo 10 giorni.
D. Avete un frigo in conservare il cibo?
R. No, anche per l’acqua, con questo caldo, dobbiamo berla calda.
L’acqua del rubinetto non è potabile; addirittura fa perdere i capelli,
è accaduto a me come a tanti altri giovani.
Loro ci forniscono 1 litro d’acqua potabile al giorno, mezzo a pranzo e
mezzo a cena. Non basta. Quella che ci serve dobbiamo comprarlo
all’automatico, però ci vogliono 30 cts o alla bottiglia.
D. Come sono le condizioni in generale e quelle sanitarie in particolare?
R. La cura medica è la peggior cosa di via Corelli. Come per ogni altra
richiesta che fai. I medicinali non ci sono, non li puoi acquistare. Ti
danno sempre e soltanto dei tranquillanti. Io non ho mai preso niente.
Il medico c’è solo di giorno, poi lasciano solo infermieri, che senza
farti una visita ti rispondono e ti trattano come i medici: “stai
bene”, la una parola chiave.
A me, per esempio, che avevo una piccola ferita ad una gamba, sono
andato, mi hanno guardato la ferita, non mi hanno curato e nemmeno dato
medicinali. Niente. “Stai bene”.
Non riesci a modificare in meglio niente. Non hanno mai una risposta
degna di questo nome. Sei trattato peggio di un animale. Agli animali
si fanno le carezze, a noi… meglio lasciar perdere.
Quando uno insiste nella sua richiesta, vuole una risposta, un farmaco
e non esce dall’infermeria, allora quelli della Croce Rossa chiamano la
polizia. Questa è lì fuori, al di là del corridoio, arriva in forze,
con manganelli ecc. e ti porta in cella con la forza. Questo succede
ogni volta che parte una protesta.
D. A queste proteste la polizia risponde spesso con le botte?
R. Sì l’ho visto tante volte.
D. Di fronte ai pestaggi come si reagisce dentro?
R. Il più delle volte non si sta fermi, questo atteggiamento a muoversi
assieme l’ho colto in particolare nei giorni degli scioperi e
immediatamente dopo.
D. I poliziotti sono sempre gli stessi?
R. Più o meno vedi sempre le solite facce.
D. Quelli della Croce Rossa che funzione hanno, come si comportano?
R. Stanno a diretto contatto con noi, aprono le porte per mandarci
all’aria, accendono la tv, prendono la richiesta della spesa, ci
portano ai colloqui, in infermeria; si occupano della lavanderia, del
vitto, di consegnarti la spesa…
Alcuni si comportano umanamente, altri, scusate la parola, sono delle merde.
D. Quanti sono?
R. Di notte sono 4, poco più; durante il giorno raddoppiano. Vedi sempre i soliti.
D. C’è una biblioteca, si possono avere giornali?
R. Sì, ma non funziona. Chiedi libri, a volte te li portano, raro, il
più delle volte ti dicono che il libro che vuoi non c’è punto e basta.
I giornali si possono acquistare, ma non arrivano tutti i giorni e non
a tutti. Fanno delle preferenze. Non so. Nei due mesi che sono stato lì
ho visto arrivare giornali arabi solo 2 volte ed erano vecchi di alcune
settimane.
D. In cella si può tenere il fornello per fare il caffè?
R. No, non ci sono pentole, niente.
D. Dopo gli scioperi che cosa è cambiato?
R. Prima, quando dovevano portarti via per l’espulsione diretta
arrivava la polizia in forze, non ti faceva prendere nulla, non ti
lasciava nemmeno andare al bagno, ti attorniava, non ti perdeva di
vista mai, e con quel cerchio intorno ti portava dentro il furgone, poi
via verso l’aeroporto. Dopo, veniva la Croce rossa ad avvisarti, avevi
così il tempo di prepararti.
Dopo lo sciopero hanno persino messo a posto le docce, ormai, almeno da noi, ne funzionava solo una.
Anche i rapporti fra noi erano cambiati, erano più sereni, come ho
detto ci muovevamo maggiormente uniti nelle proteste per l’acqua…
Milano, luglio 2008
http://www.antirazzistimilano.org