Mercoledì 15 ottobre 2008, a Lucca, il Tribunale, con rito abbreviato, ci ha condannati a quattro anni.
Quattro anni,
nonostante l’evidente scricchiolio, la stabilità a dir poco precaria di
tutto l’impianto accusatorio, nonostante che diverse dinamiche ad uso e
consumo repressivo siano state smontate, sezionate, ricostruite nelle
stanze della questura per poi poter essere affermate giuridicamente in
quelle di un Tribunale, con il risultato più che mediocre che non si è
riusciti nemmeno a sostenere credibile l’esito processuale.
Del resto le prime avvisaglie del fragile impianto accusatorio si
evidenziarono in modo palese agli inizi dell’inchiesta, dove sbirri e
giudici furono costretti ad arrampicarsi sugli specchi per giustificare
l’arresto, prima motivandolo con la flagranza, poi con la quasi
flagranza (ridicolo!); evidentemente la falla che da subito si era
aperta nell’impianto accusatorio era un po’ troppo grossa per
continuare ad essere credibile, e a dar man forte perché il tutto non
crollasse rovinosamente, scesero celermente nella mischia i
pennivendoli di ogni risma e colore, volontari e/o pagati, con
l’impegno, lo zelo e la dedizione che li contraddistingue da sempre, e
si superarono:
un “banale” arresto nella propria casa, investito dal fuoco
incrociato del piombo dei loro articoli, si trasformò, falsamente ma
funzionale ai fini repressivi, in una brillante e spericolata
operazione anti-terroristica, con tanto di fughe e spari, inseguimenti
e catture magicamente lontane chilometri da dove erano avvenute
realmente e cioè nelle rispettive abitazioni.
Quattro anni, che importa, devono aver pensato sbirri e giudici, se
una bottiglia di plastica riesce a diventare un’arma micidiale da
guerra, se le impronte rilevate non appartengono ai due anarchici, se i
tempi ricostruiti dalla stessa accusa nel coprire forti distanze siano
difficilissimi da compiersi a forte velocità, ma magicamente possibili
da una normalissima APE (che naturalmente trattandosi di anarchici non
può essere regina, ma semmai quella di Diabolik), la solita comunissima
APE che riesce a sfuggire, con la velocità che segretamente possiede, a
diverse macchine, volanti e fuoristrada guidate dal fior fiore della
sbirraglia nazionale (anti-terrorismo di Roma e digos di Pisa Firenze e
Lucca) impegnata nella cattura.
Quattro anni, che importa, devono aver pensato sempre loro, in fondo
si tratta di due anarchici e qualcosa devono aver pur fatto anche se
non è necessariamente quello di cui vengono accusati, del resto anche
in aula e negli atti processuali si legge che “il territorio della
Versilia è da tempo oggetto di attentati a ripetitori audio e video,
elettrodotti, sportelli bancomat, sedi di partiti politici, agenzie di
lavoro e simili”.
Quattro anni, che importa, ben gli sta, sorridono soddisfatti sempre
loro, è anche per i grattacapi (numerosissimi) che ci hanno dato per
anni alla testa del movimento di lotta contro l’inceneritore del
Pollino, impianto nocivo investito da molte forme di opposizione, dai
presidi ai blocchi dei cancelli, dalla restituzione delle schede
elettorali alle manifestazioni, fino alle numerosissime azioni di
sabotaggio, dalle quali non si sono mai dissociati motivando il fatto
che il nemico è da una parte, quello che permette, finanzia, costruisce
impone e difende un distributore di avvelenamento, morte e diossina, e
non è da ricercarsi tra le fila e dalla parte di chi decide di
difendersi da esso in ogni modo, e ognuno a suo modo, alla luce del
sole come al chiarore della luna.
Quattro anni e non solo per questo, ma anche per il sostegno,
l’amore, la caparbietà, la determinazione ad essere solidali e complici
con l’anarchico ecologista-radicale Marco Camenisch, da lunghissimi
anni in carcere, condanna che certamente deve subire chi si oppone e si
rivolta, ognuno a suo modo, contro un’organizzazione sociale già
incamminata verso la catastrofe ecologica, e non certo chi, per
garantirsi profitti e privilegi, di questa ne è responsabile.
Quattro anni, che importa, figuriamoci poi che la loro sfrontatezza
ribelle li ha portati perfino a rifiutarsi di rispondere alle domande,
e l’irragionevolezza tipica degli anarchici più pericolosi (gli
insurrezionalisti, appunto) persino a rifiutare di dichiararsi almeno
estranei alle azioni contestategli, l’attacco incendiario a Forza
Italia (in quanto una delle espressioni del dominio) e a tre azioni ad
istituti bancari (B.N.L. e Deutsche Bank) in quanto espressioni del
dominio capitalistico, finanziatrici delle guerre e della compravendita
di armi.
Quattro anni non solo per questo, ma anche perché, a conferma della
loro immutabile e irriducibile ostinazione a riaffermare comunque e
nonostante tutto i propri desideri e tensioni a sovvertire l’esistente,
si sono spinti (inaccettabile, devono aver gridato questa volta lor
signori fuori dalla grazia di Dio) che dovunque un atto di rivolta
scuota la rassegnazione, insulti l’apatia, rafforzi la scintilla che
alimenta il bruciante desiderio di vivere senza lo sfruttamento
dell’uomo sull’uomo, sulla natura e sugli animali, è lì che batte il
loro cuore.
Davvero troppo, hanno tuonato sbirri e giudici all’unisono con
politici, politicanti, giornalisti, banchieri, speculatori,
avvelenatori, inquinatori, servi ed altri simili.
Quattro anni perché davvero non si tratta più di essere colpevoli o
innocenti, ma perché irrimediabilmente irrecuperabili, nemici,
ANARCHICI.
Da parte nostra, non abituati a far calcoli da ragioniere dentro cui
rinchiudere o sminuire gli slanci del nostro cuore, quattro anni sono
1.460 giorni, davvero poco per come vogliamo vivere, per come vogliamo
che sia la vita per ogni abitante del pianeta; e molte di più di 1.460
le motivazioni e le ragioni, i desideri e le tensioni che ieri come
oggi, sempre, non solo rendono possibile l’attacco al cielo, ma
necessario, qui e ora.
Nel ricordo di chi, per tutto questo, fuori e dentro un carcere ha donato la propria vita, come Baleno e Sole.
Al fianco di chi, fuori e dentro il carcere, continua a lottare per la vita e la libertà di tutti/e, con Marco Camenisch e con tutti i ribelli che, come a Parma, illuminano e scuotono i muri della violenza legalizzata con l’urlo fragoroso di giustizia sociale, di ANARCHIA.
Giuliano e Doriano