Cile – Comunicato dei compagni di Juan, anarchico assassinato

Alla fine ecco un comunicato sull’assassinio del compagno anarchico
cileno che cerca di far luce su quanto accaduto. Noi dell’Archivio
Severino avevamo già sollevato dei dubbi sulla ricostruzione fatta
dalla comunità di Temucuicui, adesso i nostri compagni ci aiutano a
dissipare alcuni dubbi.

Prima di entrare nel tema, da sottolineare il fatto che il centro
occupato "el Hogar", così come altri centri occupati di Santiago è
stato sottoposto ad una violenta perquisizione il 31 dicembre, alla
ricerca di prove e di autori dei tanti attentati anarchici che si
stanno verificando in Cile. Nessun arresto, ma molti danni. Quanto
prima diffonderemo un comunicato su quest’attacco repressivo.

L’assassinio di Juan: capiamo il dolore dei compagni cileni, ma
pensiamo che il termine "impunità" col quale concludono questo
comunicato sia improprio e foriero di cattive interpretazioni. Ciò non
toglie che essi facciano bene ad andare fino in fondo sul fatto e
sull’individuazione del responsabile. Come anarchici ci è estraneo il
sistema del diritto e della punizione da parte dello Stato, non ci
interessa affatto che un "regolare" processo stabilisca la
responsabilità penale di un eventuale colpevole. Ma certo siamo
interessati alla individuazione di colui che ha ammazzato un nostro
compagno e coloro che hanno manipolato la verità.

Alla luce di quanto comunicano i compagni de "el Hogar" viene
fuori che l’impatto del proiettile difficilmente si concilia con un
colpo accidentale, mentre farebbe propendere per un colpo sparato a
distanza ravvicinata, dalle spalle.

La questione dell’arma è molto delicata. Un reo confesso che non
ricorda dove abbia gettato l’arma e che si prende tutto il tempo per
ripulire la scena del crimine dal sangue! Brutta anche la tesi
difensiva di far cadere su Juan la responsabilità dell’arma, che lui
avrebbe portato per difendere la comunità. La verità è che nel corso
del 2008 ci sono state delle rapine finite con delle sparatorie ad
Ercilla, nei pressi della comunità in questione. Le armi non sono mai
state trovate, ma gli inquirenti sospettano che una di queste sia la
stessa che ha provocato la morte di Juan. Quindi, far ricadere la
responsabilità su Juan, significa venir fuori da altre accuse. In sé
nulla di eccezionale. Nel passato, molte volte ci si è comportati in
questa maniera. E’ più che legittimo che un gruppo rivoluzionario
decida di far ricadere responsabilità su compagni deceduti, per
continuare la lotta. Ma tutto ciò va fatto quando si sta già lavorando
sullo stesso terreno. Nel caso in questione, sembra che la morte del
compagno sia stata utilizzata per altri scopi.

Peccato! Nei fatti, la comunità autonoma di Temucuicui adesso è
più isolata che mai; ma non si può avere la solidarietà se ci si
comporta in questa maniera.

Archivio Severino Di Giovanni



Comunicato dal centro occupato "el Hogar" sulla confusa morte di Juan Orangu in circostanze che non si sono potute chiarire

OKUPA “el hogar”

Alla data dell’8 gennaio:

per la prima volta ci rivolgiamo a voi compagne e compagni. Siamo
gli occupanti che diamo vita alla casa occupata "el hogar". In primo
luogo vi chiediamo di comprenderci per non averlo fatto prima, sappiamo
che in tanti si sono chiesti cosa ci è accaduto, ma per via della
sequela di fatti di repressione e di dolore, in cui siamo rimasti
coinvolti da circa un mese, siamo stati nella impossibilità di
comunicare. Noi come voi non ancora siamo riusciti a sapere tutta la
verità su quanto accaduto, perché siamo stati costantemente privati di
essa, l’informazione era manipolata e c’è chi si è approfittato dei
fatti per far cadere tutto il peso della repressione su di noi, come se
fosse poco tutto il dolore provocato dalla perdita del nostro fratello,
del nostro compagno, del nostro guerriero, el orangu, com’era
conosciuto da tutti i suoi amici, che continueremo e rivendicarlo come
tale nella nostra lotta. Egli, a 28 anni, non si tirava indietro nel
cammino della rivoluzione, era un lavoratore, un guerriero, un compagno
fedele sia nelle strade che nella lotta. Oggi, in sua assenza,
raccontiamo i fatti accaduti e l’informazione ricevuta fino ad ora:

Domenica, 7 dicembre 2008, due nostre compagne, una di esse la
compagna di Orangu, si sono recate alla comunità di Temucuicui, con gli
zaini carichi di alimenti non deperibili in appoggio alle poche persone
che restavano nella comunità autonoma, trattandosi per la gran parte di
donne e bambini, in quanto il resto della comunità era perseguitata e
fortemente repressa dalla forza della legge. Il viaggio era stato
pensato come un viaggio di un sol giorno ma le compagne, preoccupate
dalle costanti minacce verso le donne della comunità autonoma da parte
della vicina comunità di Ignacio Queipul, hanno deciso di restare un
altro giorno per accompagnare le donne al centro di Ercilla, il 9
dicembre. Una volta lì, sia le due nostre compagne che le tre
comunitarie sono state violentemente attaccate da un gruppo di circa
una ventina di donne dell’altra comunità. Per tal motivo esse si sono
recate a denunciare i fatti, ma lì sono state trattenute in stato di
fermo dalla polizia, in quanto considerate colpevoli dell’aggressione.
Nemmeno una delle altre 20 è stata fermata. Non solo, ma in seguito
sono sopraggiunti gli uomini di quella comunità e di fronte agli sbirri
le hanno minacciate di morte. La qualcosa ha messo ulteriormente in
evidenza la corruzione che c’è in quel luogo. Una delle nostre
compagne, mentre badava ai bambini, è stata direttamente minacciata di
morte sulla pubblica strada da Mijael Carbone, appartenente alla
comunità di Ignacio Queipul, il quale le ha inoltre gridato che
avrebbero ucciso tutti coloro che fossero giunti da fuori ad aiutare la
comunità autonoma.

Quello stesso giorno le compagne chiamano noi, a Santiago, per
raccontare quanto accaduto e per chiedere aiuto. Conosciuti fatti Juan,
Orangu, decide di viaggiare verso Temucuicui quella stessa notte, dopo
aver partecipato ad una manifestazione. Nel frattempo le compagne
decidevano di tornare a Santiago per raccogliere altri aiuti e tornare
al sud entro una settimana. Juan, giunto sul posto, preoccupato per la
difficile situazione che stava vivendo la comunità e motivato dai
bisogni per le necessità dei piccoli lì presenti, decide di restare
tutta la settimana per badare a questi bambini in assenza dei loro
genitori.

Fino a sabato 13 dicembre, la situazione era "normale". Juan nella
notte aveva parlato per telefono con quelli che lo attendevano a
Santiago. Ma verso mezzogiorno di domenica 14 dicembre una compagna de
"el hogar" riceve una chiamata da parte un’altra ragazza che si trovava
a Temucuicui, come Juan, avvisando che avevano trovato il cadavere di
Juan con il viso disfatto all’interno della casa di Omar Huenchullan.
Da quel momento la versione che ci è stata data da Temucuicui era che
Omar Huenchullan aveva trovato Juan dopo averlo lasciato solo facendo
la guardia per un paio di ore. Non appena vede il corpo si reca ad
avvisare suo fratello Jorge Huenchullan e il resto della comunità su
quanto accaduto, in seguito si mettono in contatto con gli sbirri per
avvisarli del fatto.

Lunedì 15 dicembre, il padre di Juan ritira il corpo dall’istituto
medico-legale di Temuco, ma non gli permettono di vedere il volto del
figlio perché sarebbe molto impattante. Lo informano a parole che il
proiettile è entrato dalla nuca ed è uscito dall’occhio sinistro, ma il
referto autoptico potranno consegnarlo solo dopo venti giorni.

E così, senza capire nulla su quanto accaduto abbiamo seppellito il
nostro compagno, mercoledì 17 dicembre. Intanto Omar Huenchullan
restava in stato di fermo ed in isolamento per 10 giorni come
principale sospettato del delitto, assieme a Jorge Huenchullan,
anch’egli in stato di fermo, sospettato di esserne il complice. Fino ad
allora sembrava trattarsi di un arresto ingiustificato, perché i due
fratelli sostenevano che avevano solo informato la polizia sul
rinvenimento del cadavere. In quei dieci giorni d’isolamento tutta
l’informazione che ci giungeva da Temucuicui era sempre la stessa.
Nessuna sapeva cos’era accaduto con la morte di Juan. Noi chiamavamo
periodicamente la gente di Temucuicui, e loro ci assicuravano che Omar
era innocente, non solo ma essi sostenevano i nostri sospetti sul fatto
che i colpevoli fossero nella comunità di Ignacio Queipul. Abbiamo
perfino ricevuto una chiamata durante il funerale di Juan in cui ci
chiedevano un aiuto urgente perché le donne della comunità autonoma
venivano interrogate e spinte ad ammettere la loro complicità nei
fatti, colpevolizzando Omar. Al rifiuto delle donne, queste sarebbero
state condotte in prigione e avrebbe perso la custodia dei propri figli.

La confusione cresceva giorno dopo giorno, al punto che mentre in
rete circolavano diversi comunicati da Temucuicui, in cui pian piano si
faceva intendere che il fatto sarebbe stato accidentale, fino a
giungere ad affermare che sì sarebbe stato Omar -nel comunicato del 22
dicembre-, a noi veniva sostenuta l’altra versione. Persino di persona,
il 25 dicembre, una delle comunitarie parla con noi e con la famiglia
di Juan, sostenendo che Omar fino ad allora non aveva ancora confessato
nulla e che lei stessa era presente quando questi aveva avvisato la
comunità di averlo trovato morto. Oltre a tutto questo, la scena del
crimine era stata pulita e l’arma non si trovava, come non si trova
fino ad ora. Una volta concluso il periodo d’isolamento di 10 giorni
per Omar e per Jorge Huenchullan, la nostra compagna e compagna
sentimentale di Juan si trasferisce ad Angol ed ottiene un colloquio
con Omar, il 29 dicembre nel carcere di quella città. Ed è lì che Omar
confessa che quanto avvenuto è stato un incidente mentre egli stava
maneggiando l’arma, arma portata nella comunità da Juan. La qualcosa a
noi risulta essere falsa. D’altra parte Omar dice di non ricordare dove
ha lasciato l’arma. Jorge Huenchullan, da parte sua, non ha fatto
nessuna menzione sulla morte di Juan, non dando alcuna importanza a
quanto avvenuto.

Di fronte a questi indizi di confusioni, compagne e compagni noi dichiariamo che:

– questa versione dell’incidente non convince nessuno, che ci sembra
insolito l’atteggiamento della comunità, in quanto per un minimo
rispetto verso l’appoggio che noi costantemente abbiamo dato loro, Juan
in particolare, disposto a dare la sua vita per difendere quella
resistenza, la quale sentiva come propria perché considerava le
famiglie di Temucuicui come la sua stessa famiglia, essi avrebbero
dovuto mettersi in contatto da subito con i sui genitori per chiarire
quanto accaduto.

– che non riposeremo fino a che non si sappia tutta la verità, che
ripudiamo qualsiasi atteggiamento di complicità e di copertura su
quanto accaduto, che continueremo contrattaccando i mezzi di
informazione che lucrano sulla spalle del dolore estraneo manipolando
la verità, e che innalziamo il nome del nostro fratello Juan, Orangu,
quale coraggioso lottatore sociale la cui morte non permetteremo che
resti nell’impunità.

Affinché la lotta continui giorno dopo giorno, OKUPA “el hogar”.