riceviamo e pubblichiamo
"Diamoci la mano, figli della Nazione italiana! Diamoci la mano,
fascisti e comunisti, cattolici e socialisti, uomini di tutte le
opinioni. Diamoci la mano, e marciamo fianco a fianco per strappare il
diritto di essere dei cittadini di un paese civile quale è il nostro".
(Palmiro Togliatti, 1936)
Coerente con la propria italica tradizione stalinista, l’attuale
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha commemorato oggi il
"giorno della memoria", celebrando le vittime degli "anni di piombo" e
del"terrorismo". Senza distinzioni. Attrazione principale dell’evento
spettacolare, per la prima volta sui nostri teleschermi, la presenza
simultanea fra il pubblico delle vedove Calabresi e Pinelli. I media ce
le hanno mostrate insieme, mentre si abbracciavano e si baciavano (più
convinta la prima, un po’ imbarazzata la seconda). La moglie dello
sbirro assassino assieme alla moglie dell’anarchico assassinato, unite
ieri nel dolore e nel lutto, oggi negli inviti presidenziali. La
riconciliazione nazionale ha fatto un altro passo in avanti. Dopo che
ci è stato spiegato fino allo sfinimento che fra partigiani e
repubblichini non vi sono differenze, e che anche fra sfruttatori e
sfruttati non vi sono differenze, oggi veniamo avvisati che pure fra
servi dello Stato e nemici dello Stato non vi sono differenze. Ma
davvero? Scusate la malacreanza, ma un rigurgito ci sta salendo in
gola. Se non lo sputiamo fuori immediatamente, corriamo il rischio di
finire soffocati.
Innanzitutto l’ipocrisia di Napolitano, con le
sue lacrime di coccodrillo, ha di che lasciare esterrefatti. Ma
Pinelli, secondo la giustizia italiana, non era deceduto prima per
"morte accidentale", poi per "malore attivo"? Non si era sentito male
mentre veniva interrogato e, volendo prendere un po’ d’aria ed essendo
un po’ sbadato, era scivolato giù dalla finestra? Ma allora, perché
definirlo "vittima del terrorismo"? Ha avuto un incidente, tutto qui.
Questa perlomeno è la versione fornita dallo Stato di cui Giorgio
Napolitano è Presidente.
A meno che… a meno che il signor
Napolitano sia perfettamente consapevole che Pinelli non scivolò
affatto giù dalla finestra, ma venne scaraventato fuori da chi lo stava
interrogando. E chi lo stava interrogando? Il commissario Calabresi,
per l’appunto, con i suoi tirapiedi. Ora, qui bisogna decidersi. O
Pinelli è rimasto vittima di un tragico ma banale incidente, oppure è
stato ammazzato. Nel primo caso, lasua vedova può anche starsene a casa
a piangere il marito. Nel secondo, con quale faccia tosta la si invita
a una simile commemorazione? Se Pinelli è una vittima del terrorismo,
non sono stati di certo i comunisti delle Brigate Rosse ad ucciderlo e
neppure i fascisti dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Terrorista è lo
Stato, quello Stato oggi rappresentato nella sua più alta carica da
Giorgio Napolitano. Sono stati questi terroristi ad uccidere il
ferroviere anarchico: i poliziotti della Questuradi Milano Luigi
Calabresi, Vito Panessa, Pietro Mucilli, Giuseppe Caracuta,Carlo
Mainardi, ed i carabinieri Savino Lo Grano e Attilio Sarti. Senza
dimenticare il questore Marcello Guida, il capo dell’Ufficio Politico
Antonino Allegra (questore di Trieste nel 1985, all’epoca
dell’esecuzione in strada dell’autonomo Pietro Greco, detto Pedro), il
suo vice Beniamino Zagari, ed il commissario Antonio Pagnozzi.
Probabilmente non si saprà mai chi fra questi terroristi abbia sferrato
il colpo mortale a Pinelli, ma non importa: sono tutti responsabili
della sua morte.
Quanto a Luigi Calabresi, soprannominato
"commissario Finestra" già prima della morte di Pinelli per la sua
mania di interrogare i sospetti facendoli sedere sul bordo del balcone
del suo ufficio, il minimo che si possa dire è che ha avuto quello che
si meritava. Che sua moglie e la sua prole lo piangano, è ovvio, è
umano, è comprensibile. Ma che si mettano pubblicamente sullo stesso
livello vittima e carnefice è disgustoso, è aberrante, è infame. Le
loro vedove potranno anche essere unite nel dolore, ma loro erano
divisi dalle scelte di vita: amante della libertà l’anarchico, servo
dello Stato lo sbirro. Per quanti sforzi faccia il vecchio stalinista
seduto al Quirinale, non vi è riconciliazione possibile. E mai vi sarà.
Dietro
il revisionismo oggi imperante si intravede l’intenzione di
disinnescare preventivamente la rabbia che potrebbe esplodere da un
momento all’altro nei confronti di un mondo sempre più intollerabile.
Come se le stragi sul lavoro, la povertà dilagante, le retate razziste,
le guerre continue, le devastazioni ambientali… dovessero essere
accolte con toni concilianti, potendo suscitare tutt’al più un
rassegnato ed ordinato disappunto. Ma la lingua batte dove il dente
duole. Le barricate erette in Argentina e ad Oaxaca, come i fuochi
accesi in Francia e in Grecia, sono un incubo per i nostri signori e
padroni. È per questo che oggi si affrettano a dispensare in dosi
massicce il bromuro della riconciliazione e la camomilla
dell’ecumenismo. Spetta a noi fare in modo che quelle barricate e quei
fuochi non rimangano solo un nostro sogno.