Una lettera di Nicu e i suoi compagni dal carcere di Sollicciano.

Ieri
mattina, sabato 19, io e i miei compagni della sesta sezione del
reparto giudiziario ci siamo svegliati come in un cantiere in corso.
Rumori di ferro, martellate che rimbombavano, materiali che venivano
trascinati graffiando il pavimento e i nostri timpani. I rumori
provenivano dal piano superiore. Più tardi veniamo a sapere cosa stava
succedendo e il motivo di tutto ciò.

No,
no! Non c’era nessuna sommossa o nessuna rivoluzione arrivata per
aprirci i cancelli e ridarci la libertà. Magari! Ma non c’erano neanche
lavori di ristrutturazione o di risanamento di questi cimiteri.

C’era
la direzione, invece, che, fregandosene altamente delle proteste dei
detenuti scoppiate in questa estate contro il sovraffollamento
(arrivato a 950 detenuti su una capienza di 450), montava la terza
branda nelle celle dell’ottava sezione. Era l’unica sezione dove, fino
a ieri mattina, le celle erano ancora delle loro capienza prevista,
cioè di due brande.

La
direzione penitenziaria e i politici in questo modo non hanno fatto
altro che sputare in faccia ai detenuti e aggiungere un altro schiaffo
alle condizioni di tortura che questi sono costretti a subire.
Condizioni che fin troppo spesso spingono tanti di noi, per protesta o
disperazione, a gesti estremi, come l’automutilazione e il suicidio.

Ricordiamo,
prima di chiudere, che le carceri non sono solo le tombe che tolgono la
libertà e la vita a tanti uomini e donne con la scusa che viene buttata
in faccia alla società: che questi servono a difenderci dall’assassino,
dallo stupratore e così via. Ma sono soprattutto lo strumento che il
potere usa per il mantenimento della sua supremazia, e il ricatto con
il quale i politici e gli sfruttatori tengono l’umanità intera piegata
sotto il giogo dello sfruttamento.

Il carcere è la frusta che punisce e colpisce le mani di tutti gli sfruttati che cercano di strapparsi le catene.

Tutto qui!