Le cime di Pietroburgo di Butkov, contemporaneo di Gogol, esce nel 1845.
Attenta disamina della società russa di metà ottocento, il testo è ambientato nelle soffitte pietroburghesi, quelle “cime” a metà strada fra inferno e paradiso abitata soprattutto da piccoli funzionari pubblici, alcuni cinici arrivisti, altri sognatori disillusi, tutti cristallizzati in un’esistenza da Cinovnik fatta di stenti, speranze appassite e vite tradite.
L’opera, che si inserisce nel filone del naturalismo russo è figlia di una scrittura essenziale ma mai noiosa o arida, permeata da un’ironia amara che a tratti assume i lineamenti della disperazione che però si tramuta quasi subito, come ad esempio nel racconto “L’abito buono” in una “serena” accettazione della propria misera condizione.
Le storie sono popolate di personaggi le cui esistenza è segnata già alla nascita da un’organizzazione sociale staticamente divisa in classi dalle quali solo la fortuna, la benevolenza di un protettore o un matrimonio ben ponderato possono aprire uno spiraglio di felicità –comunque scontata a caro prezzo- rappresentata dal quantitativo di Rubli che si riusciranno a mettere assieme il primo del mese.
Nelle storie si rincorre una speranza tisica, una felicità di cartapesta legate ad un nastrino, un matrimonio d’interesse che puntualmente non arriva o se lo fa comunque pretende un duro scotto da pagare. Un orizzonte tutt’altro che rassicurante sotto il cielo grigio di una Pietroburgo che da città diviene quasi paesaggio di quell’anima della piccola Russia costellata di miseri funzionari statali, piccoli proprietari oppressi e la grande massa di diseredati che davanti a loro non hanno che un futuro piatto e ben nitido, granitico nella sua irreversibilità che stride in maniera dolorosa con quel benessere esclusivo appannaggio delle “persone per bene”, che sembra così vicino ma che nonostante gli sforzi probabilmente nessuno di loro riuscirà ad afferrare.
Un testo godibile che tratteggia in maniera esemplare un settore della società russa all’ombra della nascita dei movimenti rivoluzionari che animeranno il paese negli anni a venire e che oltretutto ci dimostra come pur in un’epoca lontana e ad esotiche latitudini le aspirazioni di una massa rassegnata siano sostanzialmente le stesse.