“Rispettiamo solo i pompieri” è o meglio era uno slogan che si sentiva spesso durante le manifestazioni, coro passato piuttosto di moda visto il ruolo sempre più attivo che questi ultimi interpretano durante gli sgomberi delle occupazioni.
Esistono vari tipi di pompieri; ci sono quelli che spengono incendi preservando ad esempio i boschi che ci circondano (fino a quando ci saranno…) e quelli ben più sinistri che si arrogano il ruolo di domare la rabbia sociale che preme sempre di più. A scanso di equivoci, non parlerò di gendarmi o funzionari di partito, già troppe parole si sono spese sul loro ruolo, ma voglio puntare il dito contro i capi popolo in potenza, i detentori della verità e dell’opportunità rivoluzionaria, voglio puntare il dito contro chi a parole si spende a favore di un non ben precisato futuro alternativo a quello cui vogliono destinarci oligarchi e mercato globale e che nella pratica, più o meno scentemente si spendono, in ogni frangente di conflitto, ad agire appunto da pompieri e da gendarmi al fine da estinguere ogni anelito alla rivolta per poi decantare ai quattro venti la riuscita di questo o quel corteo, dove “riuscita” significa partecipazione folcloristica all’autorappresentazione di un movimento che nella pratica si configura solamente come il vecchio che non passa, come una dimostrazione simbolica di dissenso che non rompe con i meccanismi di controllo e gestione dell’esistente lasciando in sospeso il come ed il quando affrontare in maniera seira e radicale il nodo del rovesciamento degli schemi d’oppressione.
A proposito del recente corteo romano un rappresentante dei Cobas (si sempre loro, gli infami che aggrediscono i compagni a guisa di birro e che ai birri i compagni consegnano, il passato insegna e testimonia…) si è vantato del servizio d’ordine volontario di 300 “pompieri” che ha impedito a “facinorosi” ed “infiltrati” (definizione che i nostri dispensano a profusione in puro stile sovietico) di portare a termine i propri atti di “teppismo”…come dire, dove non arrivano i birri arriviamo noi, a tutelare l’ordine pubblico e il contenimento del corteo all’interno dell’alveo del diritto di manifestare “legalmente consentito”. Insomma, i nostri continuano a vantarsi di riuscire a tenere a freno la rabbia che monta, senza spiegarci però a che pro, in funzione di quale progetto (e questo è strano, vista la loro passione per la pianificazione, quella si estrema) spendano tante energie ad abbassare la temperatura della rivolta che attraversa non solo l’Italia ma tutta Europa…che vogliano tentare di emulare le “gesta” dei militanti del partito comunista greco che ogni tanto tentano di caricare i compagni anarchici (ricordate il dicembre scorso, nel quale i “rossi” difesero il parlamento greco al fine di far svolgere regolarmente le consultazioni che portarono all’approvazione delle leggi strangola popolo che sono tutt’ora al centro della battaglia sociale in terra ellenica…)? O forse pensano di dover tenere “buona” la rabbia fin quando i tempi politici saranno maturi (ma non è un ritornello che in vari periodi storici ha avuto nefaste conseguenze?)? Che vogliano passare alla storia come hanno fatto i loro nonni della CGL che durante il biennio rosso soffocarono la rivolta dando il là a quella che Fabbri chiamò con indovinata precisione la “controrivoluzione preventiva” che dette il i natali al fascismo (diavolo, potrebbero essere davvero così stupidi!)? Chissà…Certo è che il ruolo di questi figuri sta diventando sempre più rischioso per tutti coloro i quali ricercano in ogni momento la possibilità di fare un passo in più verso l’inconoscibile futuro…
Ma, mi si dirà, non penserai mica che mettere a ferro e fuoco una città possa significare qualcosa di più di una giornata di rabbia…probabilmente no, ma certo finché si continuerà a tessere le lodi dei popoli greci, spagnoli o sudamericani che in piazza dimostrano tutta la radicalità della quale il periodo abbisogna e si farà di tutto perché qui i bancomat o le vetrine delle agenzie di credito rimangano in piedi beh, non so proprio come si potrà pensare di avviare un processo di cambiamento radicale. Apologia della violenza? Non proprio…mi limito a notare che se qualcuno pensa di poter raggiungere questo famoso cambiamento attraverso le tesi di rinnovamento strutturale, che postulano la morte del sistema a mezzo del suo svuotamento di significato attraverso la creazione al suo interno di momenti di autogestione e di ripensamento dei rapporti individuali mi viene da pensare che costui ha fatto i conti senza l’oste, infatti il potere non perirà mai senza combattere per la propria sopravvivenza e a tal fine utilizzerà tutti i mezzi dei quali dispone, che si qualificano in ultima istanza come l’utilizzo esclusivo, intensivo e indiscriminato della violenza….ma non solo…
Come i fatti dimostrano ogni esperienza che si ponga in contrasto, quando non al di fuori dell’ambito del controllo dello stato o del mercato, viene attaccato (quale altro termine usare?) da questi ultimi che agiscono im maniera decisa (e qui “deciso” va inteso dall’attacco economico fino all’attacco fisico) al fine di soffocare ogni anelito di rinnovamento. Quando ad esempio la Libera Repubblica della Maddalena fu ATTACCATA dai guitti in divisa nel Giugno del 2011 un solerte funzionario affermò che l’esperienza andava soppressa -tra le altre cose- perché era inpensabile che all’interno del territorio nazionale ci fosse un luogo che si definisce “libera repubblica” con regole proprie che si pongono fuori dalla legalità normata, poco importa se in quel territorio si stesse praticando fattivamente ed in maniera radicale quello che i più individuano come pratica “genuinamente democratica. Questo esempio dimostra di come ognuno che non sia disposto ad ingoiare il fiele che ci viene propinato quotidianamente nelle sconfinate mense dello sfruttamento scientifico non possa fare a meno di mettersi in rapporto con il tema della violenza…
La violenza in sé non piace a nessuno, credo che tutti preferirebbero passare il proprio tempo a coltivare le proprie inclinazioni, ma come non piace esercitarla credo dovrebbe essere ancor meno allettante tollerarla o subirla passivamente; la società ci violenta giornalmente, quindi ogni atto è atto di resistenza.
Da dove cominciare? Chissà… lascio volentieri ad altri, fini progettatori di futuri sistemi politici infallibili il compito di sbagliare per l’ennesima volta le loro profezie…voglio limitarmi soltanto a pensare che la pratica deve informare la teoria e viceversa, che l’imprevisto genera imprevisti, che la rabbia genera rivolta (che è diverso dal dire rivoluzione, ma di questo tratterò nel prossimo scritto) e che la rivolta è certamente un passo importante oltre l’apatia della rassegnazione…sempre che i “pompieri” di base lo permettano (ma sono certo che nel brevissimo periodo anche loro verranno trattati come meritano)…la rivolta di piazza può essere anche un fuoco di paglia, ma è un fuoco che lascia sempre degli strascichi di consapevolezza in più, consapevolezza di cosa si incontrerà là dove si decida di agire con radicalità, consapevolezza che il potere non ha scrupoli nell’utilizzo della violenza, consapevolezza che questa violenza va affrontata e può essere vinta se vogliamo liberarci da questo stato di cose. Utopia? Semplicismo? Mi sembra semplicemente utopico sperare e pensare che il potere ceda il passo senza colpo ferire davanti ad arcobaleni e dolci sorrisi o che decida di morire di più o meno lenta eutanasia…
Ma allora come spiegarsi la resistenza ideologica e fisica di certe frange organizzate di movimento? I motivi sono e possono essere molteplici…
Non tutti i gruppi politici (usando il termine politica nell’accezione più larga del termine intendendo il “politico” come lo spazio sociale ed intellettuale nel quale si formano sia le idee che la loro applicazione pratica), nonostante i proclami più o meno rivoluzionari, nella realtà si pongono come vero elemento di novità e di rottura con il sistema d’ordine vigente, ma spesso non fanno altro che riproporre i medesimi strumenti e le medesime strutture di gestione dell’esistente già in essere, magari modificandole o “modernizzandole” in parte, lasciando però sostanzialmente inalterate le strutture di base. Serviamoci di un esempio mutuato dalla famosa polemica Fra Stirner e Feuerbach. Il filosofo dell’Unico, in maniera acuta e sensata, accusava Feuerbach, riguardo al suo testo “l’essenza della religione”, dove si proponeva di smontare la metafisica delle religioni fondando in sua vece una fisica della ragione, di aver semplicemente incarnato il concetto di dio con un’altro non meno astratto ovvero il concetto di uomo ed umanità, secolarizzando di fatto la forma mentis religiosa in un sistema politico che pur rifiutando la trascendenza e l’oppressione del divino sull’umano riproponeva il medesimo schemo fondando la religione dell’Uomo e di fatto imponendo la trascendenza e l’oppressione del comcetto di umanità sui singoli elementi che questa umanità dovrebbero formare.
Allo stesso modo i sistemi politici autoritari (per comodità e per rimanere nell’ambito della polemica mi occuperò solo dell’autoritarismo a sinista o…sinistro, decida chi legge…) di stampo comunista (a scanso di equivoci, non voglio generalizzare, ma non posso certo prendere in esame tutta la pletora di tendenze che si rifanno alle dottrine marxiste o non che si pongono a “sinistra”) che si dicono rivoluzionari, se si intende come “rivoluzione” un movimento che rivolti radicalmente le condizioni non solo politiche, ma psicologiche dell’esistente, dovrebbero forse dirsi “riformatori”. Il perché di questa affermazione può risultare piuttosto chiaro, soprattutto se applichiamo il modello “Stirner” alla nostra polemica, mi interessa anche mettere in luce alcuni aspetti psicologici della faccenda, che spesso vengono o sottaciuti o non presi in considerazione, soprattutto nel rapporto fra “liberatori” e “liberati”.
E’ chiaro come in un sistema che ammetta e ritenga necessario il perdurare di una sovrastruttura sociale per gestire “la società” la rottura non possa che essere formale ma non sostanziale. Se Feuerbach non aveva fatto altro che sostituire a Dio l’Uomo, lasciando inalterate le strutture costitutive dell’impianto religioso, i sistemi autoritari socialisti non fanno altro che prendere per buono ed utilizzare lo stesso metodo (certe volte senzientemente, certe altre meno, altre volte ancora in nome di un non ben determinato “gradualismo”) sostituendo al vertice della direzione politica agli oligarchi rappresentanti le elites economiche, il concetto di “popolo” incarnato però fattivamente dai dirigenti del partito che dovrebbe rappresentarlo: il dio/popolo rappresentato in terra/al governo dai sacerdoti/funzionari di partito…ma questo modo di agire non mette in discussione ma anzi legittima de facto le strutture gerarchiche e di dominio che fin ora hanno informato ogni sistema politico statale nello scacchiere della storia, dandogli soltanto una pessima mano di novità senza però in realtà affrontare il nodo di un reale e diverso modo di intendere i processi di interazione con l’esistente. Altro punto in comune di tutti i sistemi autoritari e l’esclusivismo ideologico che si palesa nell’attacco e la repressione di ogni realtà alternativa al proprio disegno. Se il sistema religioso pontifica il dogma della fede nella trascendenza divina, il sistema autoritario postula come indiscutibile l’adesione all’ideologia dominante. Se la religione punisce con la dannazione la contravvenzione al dogma, il sistema autoritario punisce con il carcere chi non si sottomette al proprio dominio. Qualcuno potrebbe farmi notare di come il fine ultimo dei sitemi comunisti sia l’educazione del “popolo” al fine di giungere alla dissoluzione dello stato, che però si rende necessario viste le condizioni di “minorità”, sottomissione ed abitudine alla delega delle questioni sociali cui questo stesso “popolo” è stato abituato da centinaia d’anni d’oppressione, insomma lo stato rappresenterebbe il famoso periodo di “transizione”…eppure sembra così strano voler combattere l’abitudine coltivando…l’abitudine…tutti riterrebbero folle chi, volendo combattere la superstizione religiosa, imponesse ai suoi discepoli di recarsi tutte le mattine a messa, ma questo stesso assurdo riportato in ambito politico assume una necessità che sembra essere indubitabile…pontificare la dissoluzione dello stato, della minorità dell’individuo, della la sua abitudine alla sottomissione ed alla delega…imponendogli di delegare tutte le questioni più importanti allo stato (con l’adesivo “popolare” proprio dietro, vicino alla targa) e la sua totale remissione di fronte all’ipse dixit del partito beh, ditemi voi che differenza c’è…
Ma tutto ciò è normale all’interno di qualsiasi sitema autoritario e più nello specifico all’interno di un qualsiasi sistema politico che tenti di informare la realtà plasmandola su un sistema ideologico rigido e preordinato. Ogni realtà che tenti di forzare gli avvenimenti in forza di un “pensato” non potrà che ammettere e necessitare, al suo interno, di strutture repressive e coercitive investite dell’autorità e del compito di vigilare sull’ortodossia ideologica riducendo “il pensante”, la creatività sociale, a pura manifestazione formale di libertà, reprimendo tutto ciò che rischi di mettere in discussione i principi “legalmente dati”. In sostanza il progetto autoritario si pone in ultima istanza soltanto di sostituire un potere in essere con un potere in potenza senza mettere veramente in discussione l’esistenza stessa di quest’ultimo. In questa prospettiva là dove il progetto della “conquista del potere” non sia ancora una realtà i suoi partigiani non possono che fare in modo di acquistare autorevolezza (poi da tramutare al momento opportuno in autorità) utilizzando e mettendo in mostra quelle doti immediatamente riconoscibili davanti a persone nate e cresciute in un regime che dalla culla alla tomba insegna a rispettare il dogma, la struttura, la gerarchia e le capacità di comando. Sviluppare quindi le proprie attitudini dirigistiche, dimostrandole in ongni situazione che simbolicamente si configuri come specchio delle possibilità di cambiamento, diventa irrinunciabile, nonché una discreta palestra per eventuali scenari futuri. Il dirigismo dei movimenti è il pane quotidiano degli autoritari, dei futuri presidenti, ministri del popolo, gendarmi, funzionari…
Come detto se la volontà e quella della presa del palazzo d’inverno, fin quando “i tempi non saranno maturi” la necessità sarà quella di acquisire autorevolezza e credibilità e questo lo si farà sia tentando di porsi a riferimento e guida dei movimenti, tentando di creare un immaginario culturale che avalli le proprie posizioni. Questo progetto viene solitamente portato avanti sia attraverso i momenti di “interpretazione” ideologica (quanti “Talmud” del Capitale di Marx esistono?) sia attraverso i momenti di polemica (quando non proprio di diffamazione) nei confronti di tutti le esperienze “politiche” che non si conformino ai propri schemi…e questo dai tempi de “La miseria della filosofia” (testo scritto da Marx per polemizzare cdon Bakunin ed il nascente Anarchismo). Sia chiaro, la “polemica” quando è mossa da sincera volontà indagatrice è sempre positiva, ma quando la strumentalizzazione di quest’ultima muta in diffamazione le cose cambiano decisamente…e In questo ambito la diffamazione e la menzogna sono armi comunemente utilizzate. Il sovversivo non allineato diviene quindi un “infiltrato”, un “delinquente comune”, un “frescone”, un “cretino strumento inconsapevole della reazione”, un “velleitario”, un “povero utopista”; quante volte abbiamo sentito accuse del genere rivolte verso compagni partecipi di momenti di conflitto, e quante volte non siamo stati noi stessi vittime dei vaniloqui dei diffamatori per vocazione politica? Ma questo non dovrebbe interessarci particolarmente, soprattutto oggi in un momento storico nel quale la fluidità degli accadimenti lascia presagire tutto ed il contrario di tutto…un conto è però non interessarsi alle elucubrazioni di tronfi leaders d’apparato (sia politico, sindacale o quant’altro), un conto e rischiare di passare brutti quarti d’ora per colpa di infami e simili…in questo caso la faccenda cambia radicalmente, ma non sta a me indicare strade, sia mai, il ruolo del faro (ma nemmeno quello della lampadina a risparmio…) non mi si addice…certo ho la mia idea su come pormi in fronte a certi figuri, ma ogni realtà, ogni situazione ha le sue specificità che devono essere affrontate in maniera singolare e specifica, non sta a nessuno indicare strade o sentieri, ma credo che ci sia da parte di tutti la necessità di difendersi dagli attacchi di questi novelli capi popolo che rischiano di regalarci manette e processi…queste righe vogliono quindi essere null’altro un contributo al dibattito…capisco la domanda: “…e perché allora perdi tempo a scrivere pagine su pagine!?” Semplice, solo per condividere -come detto- qualche riflessione individuale e perché…mi piace scrivere… resisto a tutto tranne che alle tentazioni…
M.