Da Radioazione:
Solidarietà per gli anarchici non ha che un solo ed unico significato: Attacco.
Fiumi di parole stanno scendendo a valle, e riempendo il lago dell’idiozia dove confluiscono le varie acque, già da tantissimi anni.
Ogni singola goccia di quelle acque sono lacrime di cordoglio verso chi non c’è più su questo pianeta di merda, o chi viene ibernato per qualche mese/anno nelle fredde patrie-galere degli Stati.
La speranza che il lago dell’idiozia, prima o poi, si riempisse e trasbordasse oltre il proprio letto per inondare i recinti preimpostati dalle democrazie, è diventata una fiaba da raccontare ai più giovani per non rimanere soli, isolati e per continuare ad aggiornare un curriculum vitae di lotta (?).
Sono anni e anni che ci ripetiamo: “La solidarietà non è cosa scritta”.
Sono anni, e mi rivolgo sempre al territorio “nazionale” dove vivo, che la solidarietà è sempre rimasta parole da scrivere su un comunicato, un telegramma in carcere, sulle mura delle città, negli slogan urlati in presidi e manifestazioni.
Chi ha preferito esprimerla in tutto il suo significato ne ha dovuto pagare il conto presentato dalla repressione, ed è a loro – coloro che invece delle parole di circostanza hanno preferito il fuoco o la polvere nera – che ora sono indirizzate quei fiumi di lacrime incoerenti.
Noi che siamo fuori fingendo di essere liberi; noi che siamo gli autori di tante lacrime versate sulla cellulosa o sulla tastiera; noi che continuiamo a vivere sperando che prima o poi qualcosa accadrà (cosa impossibile, se non saremo noi stessi i primi a muovere il culo dalle sedie…); noi che invece di dare un nostro apporto pratico ci scanniamo sulla teoria…quindi su ennesimi fiumi di parole…
Noi tutti a piede libero siamo l’incoerenza più becera che possa esistere, e se non crediamo nei concetti della giustizia di “colpevolezza e innocenza” dentro di noi dobbiamo sentirci “colpevoli” di non fare un passo oltre le sedie. Noi tutti dobbiamo sentirci “colpevoli” della lunga prigionia dei nostri compagni.
Non è più tempo di fare i “Ponzio Pilato” dell’anarchismo.
Non è più tempo di lavarsi le mani con una frase su un muro, sulla carta o urlata.
Non abbiamo bisogno del numero per agire, quindi non abbiamo bisogno di avere i passati/futuri nemici accanto a noi, tanto meno di unirsi tutti insieme appassionatamente in assemblee che ricordano “il muro del pianto”.
L’agire non ha bisogno né di numeri né di assemblee. L’anarchismo inizia con la liberazione dell’individuo.
L’agire, o ce l’abbiamo dentro e lo mettiamo in pratica oppure siamo tutti parolai.
Abbiamo ricevuto il conto presentatoci dalla repressione molte volte, ora è arrivato il tempo di iniziare almeno a “fare il vento”*. Se poi riusciamo a farlo, e nello stesso tempo distruggendo qualche loro attività ancora meglio.
Chi pensa che i tempi non siano ancora maturi resterà disabile a vita.
Chi dice che i tempi non siano ancora maturi, invece, sarà per sempre un umile pecora rinchiusa negli ampi pascoli delle metropoli e dello Stato.
Pensare che agire e dare il proprio apporto ad un’insurrezione significa riempire gli scaffali o i banchetti di libri, organizzare cene o concerti benefit, fare un sito web o un giornale di carta, inondare le celle dei nostri compagni detenuti di telegrammi di cordoglio…
Bene…chi pensa tutto questo e non vuole rischiare le proprie “proprietà private” resterà per sempre un prete, o un umile uomo/donna di fede, che si prende in giro raccontandosi che con le preghiere si risolve tutto.
La solidarietà è pratica.
Partendo da tale concetto penso sia arrivato il momento di fare la scelta:
Da che parte si vuole stare, e le alternative non sono tante. Sono solo due:
1) Mettere in gioco tutto se stessi, e non a parole, per la distruzione totale e la liberazione totale.
2 ) Rimanere fermi, a parlare, piangere, chiacchierare, infangare, criticare, sperare che arrivino i tempi maturi senza che la “gente si spaventi”…rimanere umili pecore nei recinti dello Stato, accettando pascoli impostati, e dando in questo modo il proprio consenso silenzioso all’esistenza dello Stato.
Abbiamo subito già tutti una grande violenza: quella di essere stati messi al mondo…a questo mondo…
Ora è arrivato il momento di mettere fine alle volontà altrui, e sbattergli in faccia le nostre di volontà.
RadioAzione, gennaio 2015
* “fare il vento”, è un espressione usata per scappare dal ristorante senza pagare il conto.