Alcune domande:
– Serviva veramente un corteo svolto con queste modalità, senza visibilità e contatto con la popolazione, senza gesti dimostrativi importanti, con la radicalità ridotta al lumicino?
– Ha giovato al “movimento” una sceneggiata come quella che si è svolta all’arrivo del corteo?
– E’ normale che qualcuno si arroghi il diritto di decidere figli e figliastri durante una manifestazione?
Una riflessione:
In piazza si è assistito alla volontà di un sindacato di base di dirigere la nuova ondata di dissenso che sta attraversando il paese in maniera esclusiva e con modalità univoche; la volontà egemonica dei cobas si dimostrò già ai tempi del sedicente sciopero "generale dei sindacati di base", convocato in maniera verticistica da cobas appunto, cub ed sdl, senza consultare le rispettive "basi", ed escludendo per volontà bernocchiana SLAI ed USI (l’uno per dissidi con il leader maximo cobas, gli altri perché piccola realtà anarcosindacalista non degna di menzione…); l’esperienza si è ripetuta a l’Aquila.
Nel capoluogo abruzzese si è assistito ad un corteo "fatto perché doveva essere fatto", ma privo di quel reale contenuto d’opposizione radicale che dovrebbe caratterizzare una mobilitazione contro il G8…a cosa è servito, lo chiediamo nuovamente, un corteo tra i campi? A chi è giovato? Dal camion hanno detto che il baraccone è servito quanto meno come segno di maturità del movimento…ma ci chiediamo che movimento e quale maturità? Se ci accontentiamo di finire con le nostre bandieruzze in tv ok, lo scopo è stato raggiunto, ma se l’obbiettivo fosse quello di contribuire a generalizzare il dissenso (la rivolta diremmo noi) allora…fallimento completo.
A fronte di tutto ciò a mio vedere l’epoca dei grandi raduni di piazza ha fatto il suo tempo; la possibilità di una reale trasformazione dell’esistente, che vada di pari passo con una trasformazione del sentire individuale e collettivo non può che passare dall’incentivazione delle sacche di resistenza locali che si oppongono alle devastazioni sociali ed ambientali (discariche, inceneritori, rigassificatori, tav, basi ecc…), facendo sì che queste non scadano e si diluiscano in un mero rapporto di dialogo con il potere (che vorrebbe dire sconfitta) o in una lotta basata sulla "richiesta", su ricorsi e referendum (l’esperienza dimostra la loro inutilità), ma che mantenga tutte le sue caratteristiche di radicalità (nelle modalità e nelle richieste) e che si basi sulla volontà degli individui di auto determinare il proprio futuro, un futuro basato sull’autogestione ed il mutuo appoggio.
Le esperienze di tante mobilitazioni popolari (TAV, Basi…) dimostrano non solo che l’autogestione delle lotte è possibile, ma che queste risultano incidenti fin tanto che non accettano le modalità di confronto che il potere impone, che prevedono tutti i mezzi per riassorbire il dissenso e le rivendicazioni popolari entro l’alveo del sistema vigente di priorità (il profitto) e valori (i mercati).
Con questo non voglio dire che le piazze abbiano perso di significato, ma voglio dire che lo hanno e lo avranno solo se quell’ambito sarà la risultante ed il punto d’incontro di tante esperienze di lotta quotidiane. Solo così, a mio vedere, si potrà sperare di cambiare realmente le cose. Meglio tante piccole braci, che si sviluppano e covano -apparentemente- sotto le ceneri, che un unico grande incendio ogni tanto…