Un’altra storia della Bassa. La morte di una non-persona, di un clandestino, di un fantasma tra milioni di altri fantasmi.
L’articolo pietista non si interroga minimamente sul perché un lavoratore in Italia da quattro anni risulti “clandestino”, né sul fatto che un clandestino non può prendere la patente, né può opporsi se la cooperativa di facchinaggio per cui lavora lo manda a faticare a quaranta chilometri da casa sua.
Meglio illudersi che la vedova verrà aiutata, che i trevigliesi porteranno mazzi di fiori sulla bara, perché in fondo noi italiani siamo brava gente, ché farsi domande troppo scomode.
Questo forse non è un omicidio razzista, perché parlare di razzismo è riduttivo nella situazione in cui ci troviamo. Una parte delle persone che vivono in Italia non sono discriminate per la “razza” a cui appartengono: semplicemente non esistono, se non come braccia, corpi invisibili. Spesso, cadaveri. Mai persone.
Zoilo Gutierrez Ore ha dovuto morire per riappropriarsi della propria identità, del proprio nome. Ma la sua foto che compare di fianco all’articolo ha una sola parola come didascalia, semplice, precisa come un colpo di pistola: clandestino.
MUORE INVESTITO MENTRE VA AL LAVORO
Tutti i giorni faceva la spola da Cavenate percorrendo 40 chilometri pur di non rimanere disoccupato
Treviglio – Falciato in bici mentre si reca al lavoro in città. Zoilo Gutierrez Ore, boliviano di 37 anni, in Italia da 4 anni ma ancora clandestino, tutti i giorni percorreva 40 chilometri in bicicletta, 20 all’andata e 20 al ritorno. Da Cavenate Brianza, dove viveva con la moglie, veniva fino a Treviglio in sella alla sua due ruote. La sua meta era il centro commerciale «Il Pellicano» di viale Montegrappa, dove una cooperativa gli aveva trovato un posto da facchino. Lunedì all’alba, mentre percorreva la Statale 11 al confine con Cassano, è stato falciato e ucciso da una «Fiat Multipla» con a bordo sei manovali di Cologno al Serio.
Era due mesi che Zoilo Gutierrez Ore si alzava alle 4 di mattina e partiva per Treviglio. Da agosto infatti lavorava in città, al centro commerciale dove prendeva servizio alle 7. Utilizzando il permesso di soggiorno del fratello, era riuscito a farsi assumere da una cooperativa del Milanese che poi gli aveva trovato quell’occupazione. Un posto «scomodo» per Zoilo che, non avendo la patente e non disponendo dei soldi per comprare neppure un motorino, non aveva altro mezzo che la sua bicicletta per percorrere i 20 chilometri tra la sua abitazione e Treviglio. Un posto però prezioso per l’extracomunitario, perché quel lavoro per lui era la speranza di poter avere una vita migliore e di poter spedire dei soldi ai tre figli che era stato costretto a lasciare in Patria ai genitori. Una speranza che però si è bruscamente interrotta lunedì.
Erano circa le 6.30 quando Zoilo Gutierrez Ore ha superato il ponte di Cassano immettendosi sull’ex Ss 11. Ha
Sul posto è poi intervenuta la pattuglia della Polizia Stradale di Treviglio che ha effettuato i rilievi mentre la salma di Zoilo Guiterrez Ore veniva portata alla camera mortuaria del cimitero cittadino. Solo nel pomeriggio gli agenti sono riusciti a rintracciare Malena Drew Arze 34 anni, la moglie del boliviano risultata anche lei senza permesso di soggiorno. Martedì mattina la donna è arrivata a Treviglio per riconoscere la salma del congiunto. Con lei il console onorario della Bolivia Giuseppe Crippa. La sezione milanese dell’associazione dei boliviani in Italia ha annunciato che chiederà un permesso di soggiorno per la vedova e raccoglierà dei fondi per aiutarla. La salma sarà rimpatriata la prossima settimana.
Il Giornale di Treviglio, 17/10/2008