Torino – La catena spezzata

Ancora una volta piazza della Repubblica era
piena di divise e lampeggianti. Questa sera da proteggere c’erano la
Porchietto e il suo folto codazzo di supporter razzisti, leghisti e
fascisti vari. Non abbastanza per cingere d’assedio la Porta Palazzo
come si proponevano di fare, ma abbastanza per dare fastidio a chi
pensa che anche solo il cattivo odore dei razzisti sia una
provocazione, pare che tra militanti e militari la Porchietto sia
riuscita alla fine a mobilitarne alcune centinaia. Ma anche i razzisti
e polizia hanno avuto la loro buona dose quotidiana di fastidio. Da
subito la manifestazione viene disturbata da una rumorosa samba band
che tenta di avvicinarsi ai più indesiderati, i leghisti, ma viene
tenuta a bada da un nutrito cordone di poliziotti. Qualcuno riesce a
infilarsi e insultare Borghezio da distanza molto ravvicinata. Da un
balcone su via Milano sventola uno striscione con su scritto chiaro e
tondo “razzisti”. Qualcun altro la notte prima aveva scritto per terra
“spezziamo le catene, cacciamo i razzisti!”.

All’improvviso, da corso Giulio Cesare arriva un autobus circondato
da una nuvola di fumogeni e torce, usato come ariete da altri di
antirazzisti. La polizia – colta di sorpresa – riesce a bloccare
l’autobus e a respingere i contestatori, saranno una decina, a
manganellate, e riesce a fermarne uno, malmenandolo finché non si
accorgono che sono un pochino osservati. Ma in cambio di questo
brillante risultato il fianco della manifestazione è lasciato scoperto,
e la samba band è lieta di avanzare respingendo i leghisti oltre corso
Regina Margherita, senza smettere di suonare. Poco dietro l’autobus
oramai vuoto viene srotolato uno striscione che dichiara “nessuna pace
per i razzisti”, si accende ancora qualche fumogeno e si grida “fuori i
razzisti dai quartieri” e svariati insulti. Diversi stranieri si
fermano dietro lo striscione, interessati. Qualche giovane figlio di
Casablanca, ma nato e cresciuto a Porta Palazzo, chiede se ci sia
l’intenzione di attaccare la polizia. Un altro passa in bicicletta
vicino all’antirazzista fermato e grida “razzisti di merda!” come gesto
di sfida. Molti guardano dalle finestre, altri scendono per vedere e
chiedere cosa succede.

Stufi di fronteggiare uno stupido cordone di poliziotti, i
manifestanti piegano lo striscione e si disperdono, momentaneamente. I
razzisti nel frattempo si sono ridotti a poche decine, e il cordone di
poliziotti arretra. Alla spicciolata, i manifestanti riescono a
raggiungere corso Regina Margherita, ma vengono nuovamente respinti a
calci e manganellate e si attestano di fianco al Palafuksas. Da qui, si
vede passare, tranquillissimo, l’antirazzista che era stato fermato,
scortato in commissariato da diversi celerini e poliziotti in borghese
imbufaliti. Ora, assieme agli antirazzisti ci sono anche diversi
stranieri, in tutto saranno ormai una cinquantina. Dopo un po’ di samba
e un po’ di cori si decide di partire in corteo spontaneo attorno alla
piazza, per spiegare e ribadire che a Porta Palazzo c’è spazio per
tutti, ma non per i razzisti, e per chiedere la liberazione del
compagno fermato, molto conosciuto in quartiere. Il corteo termina
all’inizio di corso Giulio Cesare, e lì si scioglie. Diversi, italiani
e stranieri, danno la propria disponibilità nel caso in cui il compagno
non venga liberato la sera stessa, “tanto sapete dove trovarci”. Quindi
strette di mano, strizzatine d’occhio, “grazie mille”, “no, grazie a
voi”, qualche pezzetto di fumo, tanto affetto e la consapevolezza che
quel che è successo stasera è stata una cosa veramente di tutti. E il
compagno fermato? Beh, dopo un’oretta di provocazioni in commissariato,
i poliziotti lo devono rilasciare senza neanche una denuncia. Anzi, per
ripicca, gli fregano un coltellino così piccolo da non meritare neanche
un verbale di perquisizione.

macerie @ Giugno 18, 2009