Stefano Cucchi, pestato a morte in galera

LA STORIA
Giallo per la morte di un geometra dopo l’arresto. «Vogliamo la verità»
Denuncia della famiglia di Stefano Cucchi, assistita dal legale che seguì il caso di Federico Aldrovandi

Regina Coeli (Reuters)
ROMA – «Vogliamo la verità sulla morte di
Stefano. Quando lo hanno arrestato stava bene. La mattina dopo aveva il
volto tu­mefatto. Sei giorni più tardi è morto, senza che noi
potessi­mo vederlo prima…».
È lo sfo­go di Ilaria, sorella di
Stefano Cucchi, 31 anni, geometra nello studio di famiglia nel
quartiere Casilino. Il ragazzo, basso di statura e molto magro, è stato
arrestato la notte del 16 ottobre nel par­co Appio Claudio. I
carabinieri lo hanno bloccato mentre spac­ciava droga: ecstasy, cocaina
e marijuana. Cucchi, piccoli pre­cedenti alle spalle, è stato
ac­compagnato a casa dove viveva con i genitori per la perquisizio­ne.
Il padre e la madre lo hanno visto che «camminava sulle pro­prie gambe –
ricordano – . Era preoccupato, è normale, ma sta­va bene. E non aveva alcun se­gno sul viso».

La mattina suc­cessiva, al termine dell’udienza di convalida in
tribunale, il ra­gazzo è stato condotto a Regina Coeli dopo che i
carabinieri lo avevano consegnato alla poli­zia penitenziaria. «Non c’è
sta­to alcun maltrattamento», assi­curano i militari dell’Arma.
Cucchi,
secondo la ricostru­zione dei carabinieri, ha trascor­so la notte
dell’arresto in came­ra di sicurezza nella stazione Tor Sapienza.
«Appena
arrivato ha detto di essere epilettico – ag­giungono i militari
dell’Arma ­. In quella stessa notte il pianto­ne l’ha sentito
lamentarsi. Tre­mava, aveva mal di testa. Così è stata chiamata
un’ambulanza, ma Cucchi ha rifiutato le cure e non è voluto andare in
ospeda­le. Poi si è messo a dormire e la mattina è stato condotto in
tri­bunale ».
Quando il giovane è arrivato in carcere è apparso però
in pre­carie condizioni. È finito al pronto soccorso, «per dolori al­la
schiena», spiegano Luigi Manconi e Patrizio Gonnella, delle
associazioni «A buon dirit­to » e «Antigone», e il giorno successivo
nel reparto peniten­ziario del «Pertini». Lì è morto per arresto
cardiaco la notte di giovedì scorso. E solo allora ai genitori e alla
sorella è stato permesso di vederlo, ma da die­tro una vetrata: «Aveva
il volto pesto, un occhio fuori dal bul­bo, la mandibola storta»,
rac­contano.

Ora si attende l’esito dell’autopsia, già effettuata, «senza darci
il tempo di nomi­nare un perito di fiducia, anche se sembra che Stefano
avesse tre vertebre rotte», sottolinea Ilaria, che ha nominato come
le­gale Fabio Anselmo: è lo stesso che ha assistito la famiglia di
Fe­derico Aldrovandi, il giovane morto a Ferrara nel 2005 dopo una
colluttazione con alcuni po­liziotti che lo stavano arrestan­do.
«Vogliamo la verità – con­clude Ilaria – Stefano era un bra­vo ragazzo.
Avrà pure commes­so qualche errore, ma non dove­va morire così».

Sulla vicenda interviene il garante dei diritti dei detenuti del
Lazio, Angiolo Marroni: «Aver impedito ai genitori di far visita al
figlio moribondo è un reato ed è di una gravitá estrema – spiega -. È
previsto dall’ordinamento che si consenta ai parenti di visitare il
malato anche quando è in stato di detenzione e se gli è stato vietato
per evitare che possa parlare e raccontare quello che gli è successo, è
un reato di occultamento»
Secondo Marroni, al giovane è stato
proibito di denunciare i suoi aggressori, perciò «trasferirò tutti i
dati alla magistratura come di norma si fa in questi casi, sia in
presenza di un reato, ma anche nell’ipotesi di un reato».

Paolo Foschi e Rinaldo Frignani
Corriere della sera, edizione romana pagina 5
27 ottobre 2009