Da Finimondo:
Ci sono questioni che è meglio porsi di continuo. Sono questioni che danno un orientamento alla tua vita e alla tua lotta; questioni che potrebbero aiutare ad uscire dai vicoli ciechi e a schiudere nuovi orizzonti. Una di tali questioni potrebbe sembrare particolarmente banale agli occhi di alcuni, ma di fatto non lo è per nulla. «Perché siamo anarchici?». Certamente non perché sia di moda, né perché ci permetta di guadagnare molto denaro. Nemmeno perché ci prometta una vita facile, o perché concili il sonno. Siamo anarchici perché abbiamo compreso che qualsiasi oppressione, in ogni epoca ed in ogni circostanza, proviene dall’esistenza dell’autorità. Abbiamo identificato nell’autorità il nostro nemico. Ecco il cuore della lotta anarchica.
Ma che cos’è l’autorità? Dove si trova? Ne senti parlare quando vengono evocati lo Stato, il militarismo, i rapporti capitalisti. L’autorità è quindi una logica, un rapporto, è una idea. Ma l’autorità la puoi anche toccare. La senti nel gelo delle prigioni, nel rimbombo delle gallerie commerciali, sui banchi di scuola ben allineati, nell’annichilimento generato da immense torri ed imponenti cattedrali. Un centro commerciale senza venditori, né vigilantes né clienti, sarebbe semplicemente un edificio insulso e vuoto. La religione della merce non potrebbe esistere senza i suoi templi e i suoi centri di produzione. La macchina statale non girerebbe se non si concretizzasse nei municipi, nei tribunali e nelle istituzioni amministrative. L’autorità è quindi un modo di rapportarsi che si materializza in strutture al cui interno scorre la nostra vita. L’autorità, è l’insieme dei rapporti sociali che costituiscono la base di questo mondo e che si perpetuano attraverso realizzazioni materiali e persone in carne ed ossa.
Il rapporto fra la logica che regge questo mondo e le strutture materiali non è un rapporto di causa ed effetto. Il cambiamento delle strutture materiali non comporta necessariamente un cambiamento dei rapporti sociali e, allo stesso tempo, nessun rapporto sociale altro può esistere all’ombra delle strutture materiali esistenti. Non si tratta di una discussione metafisica sulla gallina e l’uovo, si tratta di una questione importante che potrebbe essere determinante nel modo di considerare e portare avanti la lotta anarchica. Numerosi rivoluzionari hanno creduto che un cambiamento delle condizioni materiali implicasse automaticamente un cambiamento dei rapporti sociali, così come molti hanno creduto che occorra anzitutto spezzare i rapporti sociali prima di radere al suolo le mostruosità dell’autorità.
L’autorità è un mostro gelatinoso che si adatta incessantemente alle circostanze mutevoli, ai fermenti della rivolta. Essa possiede una incredibile capacità di cambiare forma di continuo, addirittura di ritrarsi un poco per tornare qualche istante dopo in piena forma. È la ragione per cui gli anarchici sono contro il riformismo, contro la fede in un miglioramento graduale delle cose. Ogni riforma è funzionale al rafforzamento e al consolidamento dell’autorità. L’autorità è la gestione dei rapporti sociali e questa gestione si conforma man mano che i rapporti sociali le si concedono o la sollecitano.
Perché allora siamo anarchici? Perché sappiamo che esistono solo due possibilità: l’autorità, o la libertà. Non vi è nulla da reclamare nel senso di «più» o «meno» libertà, attraverso ciò spesso non si fa che indicare una data forma di gestione dell’autorità. L’autorità può gestire i rapporti sociali in maniera democratica, vale a dire con una sembianza di partecipazione ed un maggiore coinvolgimento dei cittadini, così come può gestirli attraverso la guerra e il massacro. E quasi sempre le differenti forme di gestione sono presenti contemporaneamente, rafforzandosi le une con le altre.
L’autorità e la libertà si escludono reciprocamente. E noi siamo anarchici perché vogliamo la libertà, la fine di ogni oppressione e di ogni sfruttamento. Se vogliamo la libertà, non può esistere autorità. È la ragione per cui la lotta anarchica è una lotta distruttrice. Essa non aspira a tenere a distanza o a ingentilire, né a minimizzare o ad adattare, la lotta anarchica mira alla distruzione, all’eliminazione dell’autorità sotto tutte le sue forme, in tutte le sue espressioni.
L’autorità si esprime in tutti gli ambiti della vita individuale e sociale. Contrariamente ad altre correnti rivoluzionarie, la lotta anarchica combatte l’autorità nel suo insieme, dunque in tutti i suoi aspetti. Essa rifiuta l’idea che certe espressioni dell’autorità debbano essere combattute come priorità, che occorra per esempio distruggere prima il capitale e solo dopo lo Stato, prima la proprietà privata e dopo il patriarcato. Tutte queste espressioni sono intimamente legate ed ecco perché l’anarchismo tende ad essere una lotta integrale. È per questo che parliamo di conflittualità permanente.
Ovviamente i conflitti in cui siamo coinvolti non sono tutti «anarchici» nel senso che mettono in discussione la totalità dell’autorità, ma in quanto anarchici rifiutiamo, nel corso di tali conflitti, di mettere da parte alcune delle nostre convinzioni o di lasciarle scivolare in secondo piano. Non accettiamo di annullare, in nome della sedicente «efficacia» di un conflitto o delle «condizioni oggettive», la tensione fra idee e pratiche, che sono il fulcro dell’anarchismo.
Così come l’autorità non è semplicemente una idea, e nemmeno un mero edificio o una figura, l’anarchismo collega due movimenti distruttivi in una sola lotta indivisibile. La corrosione dei rapporti sociali e delle loro ideologie, delle religioni e dei pregiudizi, delle tradizioni e dell’obbedienza. È il terreno delle idee anarchiche, delle idee corrosive. L’esplosione delle strutture del dominio, delle sue prigioni e delle sue fabbriche, delle sue autostrade e dei suoi commissariati, delle sue chiese e dei suoi templi del consumo: ecco l’altra parte della lotta anarchica.
Nei conflitti in cui sono coinvolti, gli anarchici devono insistere su questa distruzione necessaria e darsi i mezzi per realizzarla. In fondo, la lotta anarchica si riassume nella creazione di condizioni materiali e soggettive in cui la distruzione diventa possibile.
[Salto, n. 4, agosto 2014]