Milano | 1° maggio No Expo – “Un po’ di possibile, altrimenti soffochiamo…”

Pubblico il seguente testo pur non condividendone una discreta parte ma che trovo interessante soprattutto per le righe iniziali e per l’analisi della non spendibilità politica della giornata milanese e del suo ruolo di sirena assordante rivolta a chi, nello schifo che ci circonda è sempre pronto a voltarsi dall’altra parte; a chi si rassegna ogni giorno, chi accetta questo esistente così com’è, con il suo sfruttamento e le sue gabbie, i ribelli di Milano hanno urlato che ogni tanto lo schifo esplode e torna al mittente, si tratti di una banca o di chi ne accetta l’esistenza e accetta il sistema che certe istituzioni sottendono. Altresì trovo pericolosa la logica del calderone da barricata:
“E così, tutti quelli che erano in piazza a Milano, determinati ad abbellire un degradato arredo urbano e pronti a scontrarsi con la polizia (autonomi o anarchici che siano) dovrebbero aver capito di essere in questo momento l’unica forza reale, radicale e dirompente in questo paese di fascisti, infami, delatori e democristiani. E non parliamo delle aree, quelle resteranno sempre separate, ma dei compagni e delle compagne che per l’ennesima volta si sono ritrovati insieme per le strade. E le relazioni, che in questa “internazionale” sono tutto, condensano anni e anni di lotte comuni. Lotte in cui la posta in gioco è la vita, lotte che combattano quel capitalismo che ha devastato e saccheggiato il pianeta e i suoi abitanti umani e non umani.”
non basta essere assieme fra i gas lacrimogeni per rivendicare cameratismo con “compagni(?)” che hanno nel portafoglio il santino di Lenin, soprattutto a fronte di recenti gravi fatti, detto ciò gli spunti interessanti ci sono:

Milano, corteo no-⁠expo del 1 maggio.

Benvenuti nel deserto del reale… o meglio, benvenuti nella desertica realtà che viviamo ogni giorno. Qualche tempo fa in giro per l’Europa, e ieri a Milano vi abbiamo fatto assaggiare un po’ di quella devastazione con cui la maggior parte di noi è costretta a convivere ogni giorno. Vi abbiamo fatto vedere un po’ di quella rabbia che molto probabilmente anche molti e molte di voi covano sotto la coltre di una vita da miseria. Vi abbiamo sbattuto in faccia quella guerra in cui siamo ingaggiati ogni giorno nei nostri quartieri e nelle città in cui viviamo. Quella guerra che vi ostinate a non voler vedere, quella guerra nascosta sotto i veli mediatici della pace occidentale, minacciata, a quanto ci dicono, solo dai cataclismi e dai cosiddetti terrorismi…

E ora di nuovo riascolteremo il coro dell’indignazione civica: la violenza degli antagonisti, la cieca follia dei devastatori. Ma siete davvero così rincoglioniti? Fermatevi un secondo e provate a guardare con più attenzione tutto quello che la stampa e la tv hanno prodotto in questi giorni… poi scendete in strada e confrontatelo con quello che vedono i vostri occhi, con quello che sentono le vostre orecchie e la vostra pancia, con la paura che avete di perdere tutto, con quella voglia di farvi gli affari vostri che vi assale perché vi sentite ridotti all’impotenza e pensate che qualsiasi cosa facciate tanto tutto resta uguale. Provate a mettervi in gioco e all’ascolto e forse riuscirete a capire…

Riuscirete a capire che vivete davvero una vita di merda. E che molto spesso dite che non c’è niente da fare. Ma così parlano solo i cadaveri. E forse visto che intorno a voi c’è solo morte parlate proprio come dei vecchi che stanno per morire. E questo è il paese di merda in cui vivete, un paese di vecchi. Vecchio nella mente, vecchio nelle ossa. Qui da noi i “giovani politicizzati” sono più vecchi dei vecchi e la politica è l’abitudine più vecchia di sempre. Ecco perché non ci stupiremo nell’ascoltare, ancora una volta, le litanie di “movimento”: si dirà che giornate come queste possono dividerlo, il “movimento”, che i riot fini a se stessi non sono valorizzabili su un piano politico, e che gli obiettivi colpiti erano casuali e “capisco la banca ma le macchine non bisognava toccarle”… Chi utilizza questi argomenti come critica forse dovrebbe cominciare a chiedersi veramente cosa vogliono dire giornate come queste.

Cominciamo dal “movimento”…quella strana cosa che collega l’impolitico del popolo con il politico dello stato. Quella malattia tutta italiana che spesso affossa e ha affossato la spinta rivoluzionaria. E forse risentiremo anche i suoi teorici avventurarsi in complesse analisi politiche, parlare del ’77, dell’autonomia, diffusa, operaia e stronzate varie. Vi siete mai chiesti perché la figlia di uno dei peggiori partiti comunisti d’Europa abbia fallito così miseramente? Perché la grande spinta rivoluzionaria degli anni ‘70 si sia frammentata in cosi tante sigle e siglette, lasciandoci in eredità tante teorie e troppa rassegnazione? Ecco, questa “internazionale” di compagni e compagne che lottano quotidianamente sui territori, che si incontrano in giro per l’Europa e sulle barricate, vuole sbarazzarsi proprio di tutta questa melma politica. E speriamo dunque che la giornata di Milano metta a tacere anche tutti quegli scazzi che finché restano su questioni di principio e non si misurano con la lotta nelle strade, con il respiro del compagno e della compagna che ti è accanto e rischia con te, fa il gioco di tutti quei politicanti che si nascondono più o meno dietro le loro pre-confezionate identità.

E così, tutti quelli che erano in piazza a Milano, determinati ad abbellire un degradato arredo urbano e pronti a scontrarsi con la polizia (autonomi o anarchici che siano) dovrebbero aver capito di essere in questo momento l’unica forza reale, radicale e dirompente in questo paese di fascisti, infami, delatori e democristiani. E non parliamo delle aree, quelle resteranno sempre separate, ma dei compagni e delle compagne che per l’ennesima volta si sono ritrovati insieme per le strade. E le relazioni, che in questa “internazionale” sono tutto, condensano anni e anni di lotte comuni. Lotte in cui la posta in gioco è la vita, lotte che combattano quel capitalismo che ha devastato e saccheggiato il pianeta e i suoi abitanti umani e non umani.

E così quello che è successo ieri a Milano era davvero l’unica opzione possibile. Di fronte ai salamelecchi dei soliti noti, di fronte alla paura dei soliti gruppetti e di fronte alla clamorosa ed evidente presa per il culo che rappresenta l’expo non si poteva fare diversamente. Anzi non si poteva non fare. Sarebbe disonesto dire che non ci piace infierire su un mondo di vetro e acciaio ma questa volta l’occasione richiedeva proprio una bella spallata distruttiva. E a chi cercherà di dare un significato politico al corteo no expo risponderemo con un ghigno. La verità è che giornate così non possono essere capitalizzate politicamente, non esprimono la rabbia dei precari o della plebe (o come la si voglia chiamare), non esibiscono nessuna potenza, non producono e non vengono da un preciso soggetto politico. Per noi, giornate come queste esprimono solo un possibile, sono, per chi combatte tutti i giorni e in diverse forme una guerra sotterranea al capitalismo, una boccata d’aria fresca.

E chi ci verrà a parlare dei motivi della protesta contro expo diciamo solo una cosa: a noi di expo ce ne frega poco o niente. Dovremmo davvero interessarci ad una pagliacciata di tali dimensioni? Una esposizione universale del nulla, che parla di fame nel mondo, di capitalismo verde dal volto umano? Il corteo no expo era un’occasione, domani sarà un’altra. Ma solo se sapremo o proveremo a ritentare la magia. Perché è vero, anche con tutta l’organizzazione del mondo ci sono troppe varianti impossibili da prevedere e solo insieme, tutti e tutte insieme si può tentare, ogni volta, l’impossibile. Quella magica alchimia di coraggio, determinazione e, perché no, di incoscienza che ci fa sentire vivi. Proprio così, come si leggeva sui muri di Roma il 15 Ottobre 2011, a Milano “abbiamo vissuto”.

E cosi Milano è uguale a Francoforte, alla valle di Susa o alla Zad, le sue strade sono quelle di Barcellona come quelle di Atene o di Istanbul. E i riot inglesi, di Baltimora, di Stoccolma, del mediterraneo risuonano come melodie di una stessa musica. Una musica che dice senza mezzi termini che ci avete stufato. Che non smetteremo di disturbare i vostri sonni pieni di incubi, di sabotare le vostre misere vite piene di fragilissime sicurezze, di rovesciare le vostre paure da cittadino attivo. Siamo tanti e tante, e forse è il caso di iniziare a capire da che parte stare.

E poche cose in questo mondo ci fanno ridere così tanto come la scena di tutti quei cittadini milanesi che scendono in strada per ripulire, o come una ragazza che si fa un selfie con una macchina bruciata… ma ogni epoca ha il suo ridicolo, questo il nostro…
Insomma avete voluto la vostra festa? La vostra bella inaugurazione? Beh…anche noi.
Alla faccia di tutti quelli che si riempiono la bocca di democrazia, infiltrati e violenza. E qui non serve entrare nello specifico. Ancora credete che ci siano gli infiltrati? Ancora credete che questo mondo vada solo sistemato? La democrazia è questa, e prima o poi ci soffocherete dentro.
E chi crede che ce ne sia una migliore è ancora più sognatore di chi invece vuole l’insurrezione.

Ci vediamo sulle prossime barricate…

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