Probabilmente da vegan non ho potuto mettermi le classiche fette di prosciutto sugli occhi, ed è per questo che da tempo ho deciso che la lotta all’alta velocità portata avanti con le modalità del sedicente movimento NO TAV, autoritario, borghese, a tratti reazionario, autoreferenziale, non faceva per me. Ora noto che anche altri “compagni” cominciano a capire di che pasta è fatto il movimento dei movimenti, pasta però che alcuni hanno contribuito ad impastare, accettando sino ad ora l’inaccettabile, dalle iniziative con le amministrazioni all’incedere grillino sul quale poche parole si sono spese, ai vaniloqui e agli ipse dixit periniani, il tutto in nome di una “grande famiglia” che però da tempo ha assunto sempre più i contorni di un apparato votato al pensiero unico.
Ora sembra suonata una sveglia, invero stonata. Buona cosa sarebbe stata non partecipare alla marcia, magari autorganizzarsi e creare qualcosa di alternativo e rispondente alle aspirazioni dei “dissidenti”, invece no, si cammina e ci si sottomette alle scelte dei capipopolo, salvo piangere in un comunicato che più che ai leaders (che ci sono da sempre, li vedete solo ora?) NO TAV nell’ottica di una dialettica movimentista sembra rivolto a tutti quei compagni che da tempo nutrono seri problemi nei confronti del movimento del treno crociato e sembra proprio un modo, forse inconscio, per salvare la faccia e la propria “purezza militante”.
Alcune domande: ma se non ci fossero stati i sindaci sarebbe stato tutto ok?
La gestione autoritaria del movimento da parte di alcuni noti non avrebbe infastidito?
Il risultato elettorale non è bastato a sbattervi in faccia il fallimento di un libertarismo sfumato e all’acqua di rose che invece di far penetrare fra le masse (ma credete anche voi in questo animale mitologico!?) un non specificato “pensiero anarchico” non ha fatto altro che trasformare i compagni in manovali di un movimento che alla prima occasione non ha trovato di meglio che affidarsi nuovamente al salvatore di turno, leggasi Grillo?
Di domande ce ne sarebbero tante altre, ma già queste, se indagate un minimo, non avrebbero portato a ripensare la partecipazione ad un’esperienza che se in passato ha avuto elementi potenzialmente interessanti, ad oggi mostra tutti i limiti di un’impostazione sostanzialmente democratico/borghese? Credo di si, ma come sempre non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire…
Che dire…speriamo almeno che la scottatura di questa estate serva per ripensare seriamente e RADICALMENTE la lotta contro l’alta velocità e la maniera d’intervento degli anarchici, che magari questa volta non si vergogneranno di dirsi e di agire come tali…
Segue il testo uscito in questi giorni:
Il testo che segue, frutto del confronto tra un po’ di compagne e di compagni, è stato distribuito e discusso durante la prima assemblea del campeggio itinerante dal 17 al 27 luglio in Valsusa. Il dibattito che ne è nato è stato senz’altro interessante.
Cometa. Meglio non guardare dove si va che andare solo fin dove si vede.
Carlo Michelstaedter, Il dialogo della salute e altri dialoghi
In tutti questi anni, rispetto alla lotta in valle abbiamo scritto di rado, perché spesso avevamo qualcosa di meglio da fare: vivere un’esperienza. Quando abbiamo imbrattato qualche foglio, è stato per lo più l’entusiasmo a ispirarci, anche là dove era necessario esprimersi su problemi difficili e urgenti. Abbiamo cercato di stare in questa lotta per come siamo. Vogliamo rapporti umani chiari e sinceri, non opportunismi politici. Alle componenti politiche – che di norma lisciano il pelo alla gente tacendo le critiche scomode – il nostro atteggiamento è spesso risultato ingenuo, quasi patetico. Ma “scomparire” nelle lotte a cui partecipiamo, mettendo avanti idee e pratiche invece di organizzazioni e bandiere, rifiutare il gioco mediatico a favore dell’elemento vivo di una situazione è una scelta, senz’altro in controtendenza, che porta per lo più rogne giudiziarie.
Ci piacciono i sentieri impervi e poco battuti. Meglio l’incertezza della destinazione, che la certezza di finire impantanati nella merda politica.
Eppure oggi a muoverci è l’amarezza, per la sensazione che in tutti questi anni non ci siamo davvero ri-conosciuti. Il famoso “rispetto per le differenze” esiste nella misura in cui le differenze siano riconosciute per tali. Altrimenti abbiamo solo l’appello all’unità (non a caso parola prediletta dagli stalinisti del PCI), sempre fatale per le minoranze dissidenti.
Cosa ci amareggia? Il fatto che nel programma del campeggio itinerante di quest’anno siano stati inseriti degli incontri quasi quotidiani con le amministrazioni comunali, incontri che di fatto lo caratterizzano e rendono evidente una scelta di percorso che cerca appoggio e complicità nella sponda istituzionale. Ovvio che non può essere la nostra e, chissà, neanche quella di qualcun altro. Di sicuro non di chi riconosce nella trappola della politica qualcosa che toglie possibilità, invece di darne, all’avanzamento della lotta. Quante energie le elezioni hanno sottratto alla lotta? Tanti sono ancora convinti, come dieci anni fa, che il parere dei sindaci no tav possa influenzare le decisioni su di un’“opera di interesse strategico nazionale”? Questa illusione non è forse un modo di aggirare le difficoltà oggettive del movimento?
Se qualcuno o molti volevano coinvolgere i sindaci lo potevano fare, ma senza imporlo come impostazione generale della marcia. Abbiamo avuto difficoltà a partecipare alle assemblee preparatorie e non ne abbiamo seguìto appieno – responsabilità nostra – gli sviluppi. Nonostante questo, alcune compagne avevano fatto presente la propria contrarietà, e quindi siamo rimasti basiti nel leggere il programma, perché non rispecchia le sensibilità e le differenze di tutte le persone che hanno partecipato all’organizzazione del campeggio. Nel tempo, in tanti anni di lotta insieme, la fiducia reciproca è cresciuta notevolmente proprio perché quando abbiamo deciso, insieme, di fare o non fare una cosa, siamo stati sempre conseguenti con gli accordi presi. E per noi anarchici, che non abbiamo alcuna fiducia nella Legge, che è imposta dall’alto, gli accordi, frutto invece di un libero confronto, valgono più di ogni altra cosa.
Ma è possibile che ci siamo ri-conosciuti così poco? Rispetto ad alcune iniziative strettamente valsusine – organizzate a moda nostra, come si dice qui – spesso non ci siamo espressi. Ma la lotta no tav ha da tempo superato i confini territoriali – pur avendo in Valle il suo cuore pulsante – e i campeggi estivi sono proprio, soprattutto a partire dal 2011, una delle occasioni costruite insieme tra valligiani e non. E infatti la proposta del campeggio itinerante è stata fatta da compagni e compagne che non vivono in valle.
Non abbiamo mai preteso che tutti fossero anarchici, ci mancherebbe, ma abbiamo sempre messo l’accento su quei pochi e insieme irrinunciabili elementi che ci uniscono. Il modo di intendere il rapporto con le istituzioni locali non è fra questi. Ci battiamo, sognatori quali siamo, per una società in cui non esista più la delega, in cui i Consigli della gente sostituiscano le istituzioni locali dello Stato. E ciò che sogniamo per domani ci sforziamo di viverlo fin da oggi.
Siamo anche convinti che ciò che ha fatto innamorare tante donne e tanti uomini rispetto a questa lotta è proprio il fatto che essa è stata assunta e vissuta in prima persona. Che ha, cioè, cambiato le vite di chi vi partecipa.
Leggiamo poi che alle amministrazioni locali, oltre alla bandiera no tav, si vuole donare la bandiera con i nomi dei compagni in carcere. Che dietro l’iniziativa ci sia l’intento sincero di rafforzare la solidarietà verso i compagni lo sappiamo. Se fossimo degli opportunisti (visto che la liberazione dei compagni ci sta ovviamente molto a cuore), potremmo dire “tutto fa brodo”. Ma cambiando posizione a seconda dei contesti non si costruisce nulla di solido. Anche questa iniziativa non la condividiamo e non possiamo tacerlo. Primo perché siamo sicuri che ai compagni detenuti questo tipo di solidarietà non fa piacere, secondo perché, ufficializzata nel programma come iniziativa della marcia Avigliana-Chiomonte, ci coinvolge nostro malgrado. Dagli arresti di dicembre in poi siamo riusciti a fare in modo che ciascuno trovasse le proprie forme di solidarietà, fermi nelle intenzioni e aperti nel confronto, capendo cos’era comune e cosa non lo era.
Era così difficile immaginare che a diversi anarchici e anarchiche consegnare delle bandiere con i nomi dei compagni a sindaci e amministratori non risultava gradito? Siamo una componente di questa lotta (che, sia detto en passant, sta pagando anche un discreto prezzo repressivo). Questo non ci rende né superiori – ci fa tendenzialmente schifo chi specula sui propri compagni dentro per acquisire “peso politico” –, ma nemmeno subordinati a chicchessia.
Posizione minoritaria? Può essere, ma nulla per noi è mai stato questione di numeri. Abbiamo cominciato a partecipare a questa lotta ben prima della sua esposizione mediatica, proprio perché ne condividevamo sinceramente l’obiettivo. Ci sono mille ragioni per cui abbiamo dato il nostro modesto contributo contro l’Alta Velocità – la promessa che abbiamo fatto dopo la morte di Sole e Baleno, ad esempio –, ma nessuno di questi era strumentale. Certo, vogliamo fare la rivoluzione, farla finita con lo Stato e con il capitalismo. Ma la lotta contro il TAV non è mai stato un mero pretesto, funzionale ad altro, bensì un obiettivo che condividevamo e condividiamo appieno anche nella sua portata circoscritta. Ci abbiamo messo e ci mettiamo testa e cuore.
Tra i tanti gesti di solidarietà possibili, non è accettabile scegliere per tutti quelli che non sono di tutti. E un programma è una cornice per tutti e tutte, che ci costringe a dire chiaro e tondo che non siamo d’accordo. Rispettiamo le differenze, ma a partire dalla nostra, di differenza, presenti nella lotta per ciò che siamo, diciamo e facciamo. I silenzi interessati non ci appartengono. Siamo venuti lo stesso al campeggio, perché un’estate di lotta in Valle è importante per tutti. Ma non sacrifichiamo per niente e nessuno – foss’anche la rivoluzione sociale – i nostri valori e i nostri metodi. Settari? No, onesti con noi stessi e con gli altri.
Questa lotta ci riserva e ci riserverà tante difficoltà. Altri tre compagni – a cui va tutta la nostra solidarietà – sono in galera. Le difficoltà ce le assumiamo con tutta la generosità di cui siamo capaci, chiari, sempre, con i compagni e le compagne di strada (e di sentiero).
13 luglio 2014
anarchiche e anarchici contro un mondo ad alta velocità