Milano – Solidarietà antirazzista tra lavoratori della DHL

Milano – Malko, dipendente albanese della
DHL, attivo nelle lotte aziendali, viene licenziato perché è scomodo,
perché le sue azioni possono ispirare altri, perché i tanti lavoratori
stranieri dell’azienda devono chinare il capo e subire, sterilizzando
così i bacini dello scontro.

Alla DHL di Milano si ripropongono in ambito specifico le stesse
dinamiche che stanno rapidamente trasformando l’Italia, e non solo, in
un territorio dove la xenofobia trova applicazioni quotidiane,
istituzionalizzate e pervadenti tutti i contesti sociali, sempre più
esplicitamente collegate e funzionali alle esigenze di un Capitalismo
preoccupato per il proprio avvenire. La guerra tra poveri fa comodo ai
padroni secondo la sempre attuale strategia del “divide et impera”; le
forze storicamente più vicine ai dominatori e agli sfruttatori,
scendono in campo con nuovo vigore, sicuri dell’osso lanciato sotto il
tavolo, impauriti dalle trasformazioni in atto e consci della libertà
di azione concessagli a livello istituzionale e culturale. E’ così che
per contrastare la pericolosa unione tra lavoratori immigrati e
italiani, il 6 giugno scorso, i caporali della DHL attaccano un
picchetto aziendale sfoggiando la croce celtica; è così che pochi
giorni dopo, i dirigenti licenziano uno degli esponenti di spicco delle
lotte sindacali nell’azienda, Malko, per una non meglio precisata
“giusta causa”.
Gli immigrati devono essere schiavi silenziosi e ubbidienti, sedati
dalla paura delle ritorsioni in ambito lavorativo, dai rastrellamenti
nelle strade che percorrono quotidianamente, sui mezzi pubblici che
usano per spostarsi, dai raid contro i loro esercizi commerciali e le
loro abitazioni.

Dalle prime ore di lunedì mattina i compagni di lavoro di Malko picchetteranno i cancelli dell’azienda.

Alla DHL di Milano, e in sempre più realtà anche distanti dallo
sfruttamento lavorativo, italiani e migranti iniziano un percorso di
lotta congiunta, non solo per la salvaguardia del proprio boccone, ma
in un percorso di solidarietà che potrebbe superare quelle categorie
sociali come “immigrato” e “lavoratore” che semplificano e riducono
l’umanità, il coraggio e la rabbia di molti individui che scelgono di
non accettare passivamente l’esistente.