Michele Fabiani ai domiciliari | Intervista a Michele dal carcere di Sulmona

fonte: tuttoggi.info

Il Tribunale della Libertà di Perugia ha revocato l’ordine di custodia cautelare nei confronti di Michele Fabiani,
uno dei 5 giovani finiti nel mirino dell’inchiesta Brushwood e fino ad
oggi detenuto nel carcere di massima sicurezza di Sulmona. La notizia è
stata annunciata agli avvocati di Fabiani, Carmelo Parente e Marco
Lucentini, solo poco fa. A quanto è dato sapere, Michele sarebbe in
viaggio per Spoleto dove sconterà gli arresti domiciliari […].
Solo fra qualche giorno si conosceranno i motivi della decisione del collegio giudicante perugino.

Segue intervista a Michele dal carcere di Sulmona a cura di Anarchaos

Anarchaos – Innanzi tutto vorremmo che tu ci raccontassi la tua
situazione. Partendo da quando ti hanno arrestato, passando ai tre
lunghi mesi passati nel carcere di Perugia, fino al trasferimento e
alla fine dell’isolamento.

Michele – Diciamo che è abbastanza stancante riepilogare tutta la
mia situazione, anche perchè è una cosa che faccio continuamente:
parlando con gli altri carcerati, studiando con gli avvocati, scrivendo
per rispondere alle moltissime lettere che mi arrivano. Comunque è uno
sforzo che faccio molto volentieri, credo che faccia bene in primo
luogo proprio a me stesso.

Come sapete sono stato arrestato il 23 Ottobre
nel corso di una operazione dei ROS dell’arma dei Carabinieri. Una di
quelle operazioni spettacolari nelle quali i militari fanno sfilare i
loro mezzi e mostrano al popolo tutta la loro potenza; per arrestare 5
giovani accusati di una scritta sui muri, un paio di danneggiamenti e
l’invio di una lettera minatoria sono stati impegnati 108 uomini armati
fino ai denti, alcuni nascosti da passamontagna e giubbotti
antiproiettile, con l’appoggio di ben 8 elicotteri, per dirla in
soldoni, visto che l’unica cosa che oggi fa notizia sono i soldi, sono
stati sputtanati solo il giorno dell’arresto ben 65 mila euro (alla
faccia della destra che in Italia chiede più investimenti per la
“sicurezza”). io sono accusato, oltre che dell’articolo 270 bis, legge
che prevede l’arresto di qualcuno per le sue idee in base al “pericolo
presunto” di eversione (scritto dal Ministro Rocco quando Mussolini era
capo del forno e il capo dello Stato portava la corona), anche di aver
incendiato un quadro elettrico di un cantiere di Colle San Tommaso e di
aver minacciato l’avvelenamento di un supermercato COOP a Spoleto,
nonché di aver mandato una busta con 2 proiettili alla presidente della
Regione Umbria Lorenzetti. Tutte azioni rivendicate da una fantomatica COOP – FAI,
che starebbe per “contro ogni ordine politico . federazione anarchica
informale”. Inoltre sono accusato di alcune azioni anonime come
l’incendio del quadro elettrico di un palazzo in costruzione conosciuto
come “ecomostro dalla stampa locale” e del danneggiamento di una ruspa
che tagliava alberi per fare le scale mobili panoramiche, infine di
aver sporcato con vernice una villa in costruzione a Colle Risana e di
aver fatto delle scritte contro 2 carabinieri che come ricorderete mi
pestarono nel marzo 2007.

In principio sono stato portato alla caserma dei Carabinieri di
Spoleto e da lì a quella di Perugia, infine da quest’ultima al carcere
le “Capanne” a Perugia.

L’esperienza dell’isolamento
è stata terribile, per ben 2 mesi io non ho mai visto nessuno eccetto i
miei carcerieri, se non quando i miei vicini di cella per pochi secondi
al giorno uscendo e rientrando dal passeggio venivano a bussare alla
mia porta per esprimermi solidarietà. Un isolamento finalizzato
all’estorsione di una confessione, quindi una vera e propria tortura.
Il carattere torturatorio di questa pratica può non apparire in un
primo momento, ma diventa evidente quando abbiamo scoperto, perché lo
stesso PM ce lo ha detto, che tutti i colloqui con i parenti venivano
intercettati. E in questa pratica di intercettazione l’isolamento è
fondamentale; dopo una settimana che passi 24 ore su 24 da solo senza
parlare con nessuno la sola ora di colloquio con i familiari diventa un
fiume in piena di parole e sfoghi, un bisogno spasmodico di parlare che
invece sarebbe attenuato se ti venisse concessa l’opportunità di
passare anche solo un’ora al giorno con un’altra persona. Infatti non è
un caso che io ne ho passato “solo” due di mesi in isolamento, mentre
Andrea ne ha passati tre, lui che ha la sola colpa di essere mio amico
doveva sentirsi ancora di più solo così’ da crollare più facilmente. A
me invece dopo due mesi di isolamento, è stato concesso un compagno di
cella, anche se per il resto ero sempre in isolamento, ma in due. Dopo
un altro mese in questo stato sono stato trasferito a Sulmona dove
posso fare 4 ore al giorno di passeggio e sono sempre in compagnia di
altri prigionieri, mentre a Perugia l’aria era sempre di 50/60 minuti
al massimo in ambienti così stretti da non batterci mai il sole
(infatti dopo 3 mesi ero bianco cadaverico).

Tutto questo ha una sua logica di natura inquisitoria, che ricorda i
modelli investigativi del medioevo. Allora l’imputato veniva esposto
alla “via Crucis” della tortura e se era innocente dio lo avrebbe
protetto e avrebbe resistito, altrimenti avrebbe confermato la sua
colpevolezza. Se lo spogliamo delle sue raffinatezze il metodo usato
dal sodalizio ROS – Procura non cambia di molto: ti isolano e ti
provocano fino a farti impazzire e dopo, se nei tuoi deliri davanti
allo specchio o al colloquio con tua madre ti accusi, sei colpevole, se
invece fra le frasi sconnesse non riescono a capire nulla la “via
Crucis” ha dimostrato la tua innocenza.

Anarchaos – La vicenda del tuo arresto appare alquanto oscura. Al di
là del fatto che è normale che lo stato si aizzi contro i suoi naturali
nemici, gli anarchici, la montatura giudiziaria appare davvero
spropositata, in mancanza assoluta di fatti concreti, anche solo
costruiti “ad hoc” dai servi dello stato (al di là della busta coi
proiettili recapitati al presidente della regione Umbria, fatto
comunque di per sé non così grave da giustificare tutto questo). Come
mai credi abbiano deciso di arrestarti? Perché credi abbiano coinvolto
gli altri 4 ragazzi: alcuni non sono nemmeno anarchici… Credi di
essere vittima di una montatura giudiziaria utile al potere, quindi di
essere stato scelto più o meno a caso, in quanto anarchico convinto e
manifesto, oppure di essere stato arrestato in conseguenza delle tue
lotte, che sono andate a toccare dei nervi scoperti di un sistema
corrotto e fascista?

Michele – Sono d’accordo, si tratta di una montatura giudiziaria
sproporzionata, anche se tutte le accuse fossero vere comunque non
potrebbero in alcun modo giustificare lo “sbarco” a Spoleto di un
“esercito di occupazione! di una tal mole né il protrarsi della
carcerazione preventiva. Il fatto è che le accuse sono assolutamente
false! Proprio per questo la carcerazione preventiva va avanti, a scopo
confessionale. Prendiamo l’esempio più “grave”, le due pallottole alla
Lorenzetti: unica prova dell’accusa è il fatto che il 15 Agosto Andrea
mi disse per telefono “Ho un regalo per te” e che il termine “soldi” in
codice (?) significherebbe “pallottole”. In realtà la difesa ha
scoperto che esistono due relazioni, una della polizia scientifica e
una dei ROS, le quali affermano la prima che il timbro della busta è
dell’8 e la seconda che il timbro è del 17. Stranamente questa cosa non
viene scritta nel mandato di lettera, ovvero quel comunicato stampa
ufficioso diffuso dalla procura da cui i giornalisti hanno attinto
informazioni per i loro articoli infamanti.

Ma il punto essenziale per me non è questo, io non ho mai sventolato
la bandiera dell’innocentismo e anche per questo lo stato mi punisce
tenendomi in carcere. Per quanto mi riguarda se domani venisse scoperto
il vero colpevole e io fossi scarcerato, dopodomani sarei di nuovo
sotto il carcere per manifestare la mia più totale e incondizionata
solidarietà. Il punto è che il regime ha bisogno di queste operazioni
spettacolari per propagandare l’efficienza delle sue forze armate, con
una destra che continua a chiedere più soldi per la sicurezza, più
carcere, più telecamere, più poliziotti e una sinistra che si scatena contro i ROM e i lavavetri,
che approva un pacchetto securitario che per la prima volta dai tempi
del fascismo prevede l’espulsione coatta disposta da un prefetto
(quindi senza possibilità di difesa) non solo per lo straniero
fastidioso, ma anche per i suoi parenti.

Di fronte a questa criminalizzazione di tutto ciò che respira, di
fronte a questo terrorismo mediatico che ha fatto credere a tutti che
siamo circondati da criminali, quando invece i reati diminuiscono da
decenni (al contrario delle carceri
che sono sempre più affollate!), di fronte a tutto ciò non ci si può
permettere che i mezzi repressivi arrugginiscano in caserma. Pertanto
si scatenano queste operazioni spettacolari, vengono spese fortune per
riempire le macchine e le case di costosissime microspie, vengono
impiegati elicotteri per arrestare 5 ragazzi accusati di fare parte di
una associazione sovversiva il cui reato più grave sarebbe minaccia a
pubblico ufficiale.

Questa volta però l’operazione è fallita clamorosamente. Basti
pensare all’indignazione non solo dei compagni più impegnati, ma anche
di tanta gente comune.

Ancora una volta il paragone che mi viene in mente è con
l’inquisizione: nel medioevo se eri colpevole ti tagliavano la testa,
ma se non avevano abbastanza prove nell’incertezza ti tagliavano solo
una mano, o se le prove erano ancora meno evidenti ti tagliavano solo
un dito, tanto per fare un esempio. Questa punizione graduale in base
all’evidenza della colpevolezza è stata usata contro tutti noi, la
gradazione galera-isolamento-domiciliari si è svolta secondo il “metodo
della testa e della mano”.

Perché questo accanimento? Cosa c’è sotto? E’ una domanda a cui è
difficile rispondere, potrebbe andare dalle mie lotte contro la tortura
tecnologica fino alle più locali battaglie in difesa dell’ambiente in
Umbria. La sproporzione di questa carcerazione è evidente se pensiamo
che solo pochi mesi fa il sindaco di Terni, insieme a una decina di
presunti complici, si è visto recapitrare un avviso di garanzia per
“disastro ambientale” per le note vicende che ruotano intorno
all’inceneritore e che hanno fatto visitare d’urgenza una trentina di
lavoratori. Nessuno dei reati che ci vengono contestati senza una sola
prova prevede l’aggressione fisica, materiale, di nessuno, mentre 30
lavoratori visitati e le migliaia di ternani che si sono respirati la
loro “monnezza” hanno subito un’aggressione fisica, materiale appunto,
alla loro salute. Eppure queste carogne non si faranno neanche un
giorno di galera e ancora sono lì a gozzovigliare dall’alto del loro
potere, mentre chi manifesta per l’ambiente sta ancora in galera dopo
quasi 6 mesi.

Anarchaos – Tu sei da anni molto attivo sul fronte della lotta
contro le torture tecnologiche in Italia. Ci vuoi spiegare perché è
così importante per te questa lotta e perché questa dà così tanto
fastidio al “potere”, cosa è la tortura tecnologica e da chi viene
praticata, e quali sono i passaggi più importanti che questa lotta ha
fatto nel corso degli anni, da quando Paolo Dorigo ha iniziato a
denunciare di essere vittima di tortura tecnologica.

Michele – “Tortura tecnologica” è un termine non scientifico ma
politico, nel senso che è un termine che accomuna sotto di se tutte
quelle torture fatte con strumenti sofisticati che hanno la particolare
caratteristica di essere “incredibili” agli occhi della stragrande
maggioranza della gente. In generale possiamo dire che ci sono due tipi
di tortura tecnologica: quella fatta con mezzi di violenza a distanza e
gli esperimenti finalizzati al controllo della mente umana.

Il primo caso dovrebbe essere noto a tutti, invece in Italia c’è
ancora chi stenta a crederci. E’ paradossale la cosa dato che invece in
altri paesi armi come il taser e le altre “pistole” elettriche sono un
tema di grande attualità: pensiamo alla Francia dove questa estate
queste armi sono state legalizzate, o al Canada dove ci sono state
recentemente manifestazioni di massa contro queste tecnologie dopo
l’ennesimo morto ammazzato dalla polizia con un uso sproporzionato di
questi strumenti. In Italia invece nessuno ne parla. La cosa è strana
dato che una delle “vittime eccellenti” di queste nuove violenze è l’ex
economo della Camera Maurizio Bassetti che sostiene di subire questi
trattamenti da quando ha denunciato alcuni scandali di palazzo.

Il controllo mentale, l’altra “branca” della tortura tecnologica,
può apparire in un primo momento più irrealizzabile. Se si
approfondisce il tema si scopre invece che è stato proprio l’ex
presidente degli USA Bill Clinton ad ammettere che esperimenti del
genere sono stati condotti su centinaia di cavie americane.

In particolare in Italia ci sono decine si persone che hanno
prodotto lastre e TAC in cui ci sarebbero dei “corpi estranei” e in
alcuni casi, come quello di Paolo Dorigo, queste immagini
somiglierebbero a quelle di noti casi internazionali.

Questa lotta ha un’importanza politica enorme perché, qualora
venisse a galla, spaccherebbe la facciata civile e umana delle
democrazie occidentali, dimostrando la loro totale identità con i
regimi più crudeli della terra.

Anarchaos: Oramai sono più di 100 giorni che sei chiuso in una
cella. Vuoi provare a spiegare cosa significa stare rinchiuso, tra
l’altro in regime di carcere duro, per tutto questo tempo? Il carcere è
un sistema di controllo fisico e mentale, e di sperimentazione diretta
di nuovi sistemi di controllo (tra cui appunto quelli iper tecnologici
di cui abbiamo parlato sopra). Un mezzo per plasmare la mente e il
corpo delle persone. La società è tutta costruita come un carcere, di
certo, ma è dentro quelle mura che avviene il processo di avanzamento
del sistema di controllo. Hai affermato di avere il timore che il
carcere possa condizionare il tuo io nel futuro. E’ ancora così?

Michele – Si, il timore espresso nella lettera del 26 Ottobre, credo
che vi riferiate a quella, dopo 7 mesi è ancora valido. Ma non per
ragioni di controllo e di violenze su di me, ma per una questione ben
più profonda. Io avevo ed ho paura che la mia capacità di analisi possa
essere modificata dal carcere, che diventi in qualche modo
“carcere-centrica” dimenticando altre questioni altrettanto importanti
come l’ambiente, lo sfruttamento, la guerra, che se uno vuole essere
davvero rivoluzionario non deve perdere d’occhio ghettizzandosi su uno
solo di questi temi tutti ugualmente essenziali. Cerco di spiegarmi
meglio: io non voglio che la mia lotta abbia un valore di mera
testimonianza, voglio costruire davvero un mondo senza frontiere, senza
carceri, senza sfruttamento, senza inquinamento, voglio davvero vivere
una vita in cui non devo più lottare, perché questi obbiettivi sono
stati raggiunti e posso godere con chi amo la libertà conquistata. Per
fare tutto questo, o almeno per sperarci, non bisogna perdere il
contatto con la realtà concreta.

Il mio quindi era un problema personale ed esistenziale, ma in
qualche modo anche “scientifico”: non volevo perdere il contatto e la
capacità di analisi di un mondo che andava nella direzione opposta alla
mia. Da quando sto in galera ho conosciuto delle persone fantastiche,
esiste tra i prigionieri una solidarietà unica che fuori non incontri.
Se te ne vai in giro in una grande metropoli ti capita di incrociare
decine di migliaia di persone in pochi minuti, ma non ti chiedi mai chi
sono, dove vanno, se sono felici, se sono delusi, se sono innamorati,
non ti poni questi problemi perché la città e la società di massa ha
seminato una indifferenza spaventosa nelle nostre anime. Invece in
galera, anche nella condizione di isolamento che vivevo a Perugia, ogni
persona che incontri è un essere umano e tu percepisci immediatamente
la sua umanità, immediatamente tu ti interessi a lui e lui si interessa
a te e sinceramente vi preoccupate che l’altro risolva il suo dramma.
Ebbene mentre io vivevo questa esperienza che mi avvicinava ai “mostri”
della Tv e mi faceva scoprire la loro intrinseca umanità,
contemporaneamente milioni di persone facevano un percorso esattamente
opposto. Mi riferisco ad episodi come l’omicidio Reggiani a Roma, che
ha scatenato la caccia allo zingaro, le leggi speciali, l’invocazione
elettorale di “più galera per tutti”, la “certezza della pena”, la
“sicurezza”, il controllo poliziesco e militare del territorio, ecc.

Per me quindi è stata una sofferenza incredibile apprendere notizie
di questa deriva xenofoba e securitaria dalla Tv della mia cella, nella
consapevolezza che invece io con i “mostri” dei telegiornali ci vivevo
e che in fondo gli volevo anche bene, una consapevolezza che mi dava e
mi dà ancora il terrore di non essere più in grado, una volta uscito,
di propagandare gli ideali di libertà, di solidarietà, di amore
dell’anarchia. Non ero nei bar o al mercato di paese a sentire cosa
diceva questa massa impazzita che vuole più polizia e più carcere, non
ero al lavoro per sapere come era possibile che i miei colleghi
avessero dimenticato che la guerra non deve essere tra poveracci ma
contro i padroni, come avrei mai potuto e come potrò mai più essere in
grado di contrastare nella mia soggettività questa ondata di razzismo?

In questo caso non c’entra niente il controllo, il mio problema è di
natura antropologica, ovvero di capacità di essere umanamente in grado
di vivere e di capire la natura dello scontro contemporaneo.

Invece per rispondere alla domanda – dato che ho cambiato argomento,
ma ne valeva la pena – io penso che ormai il mondo intero si sta
trasformando sempre più in una gigantesca galera. Viviamo in una
“guantanamizzazione” della società, in un periodo storico dove la
repressione viene spacciata per sicurezza, dove il controllo viene
spacciato come garanzia; per lo meno così è per la vita metropolitana.
Per guantanamizzazione della società non si intende soltanto l’aver
costruito materialmente una gabbia fatta di telecamere, satelliti,
caserme, intercettazioni, ma si intende anche una guantanamizzazione
della cultura: culturalmente l’effetto Guantanamo è quel principio
autoritario per cui quando il nemico è fuori dal politicamente
corretto, fuori dalla compatibilità con la nostra società, allora ogni
suo diritto viene meno così come ogni scrupolo umanitario; il nemico
diventa terrorista, non ha diritto né a processi né ad avvocati, può
essere torturato, può essere imprigionato in via preliminare e finanche
in via preventiva, perché esiste il suo presunto pericolo di
aggressività futura.

In questo contesto, quindi, cambia anche la definizione di carcere;
il carcere non è più il luogo dove si è prigionieri. O meglio, è vero
che nel carcere si è prigionieri, ma non basta, è una definizione
troppo vaga dato che prigionieri lo siamo tutti e tutti i giorni in
questo mondo, L’essenza del carcere non è la prigionia, che ormai è
diventata l’essenza di tutta la società moderna, ma l’isolamento. Oggi
essere rinchiusi vuol dire essere soli, essere privati delle persone
che ami, essere privati dell’amore delle persone che ami, essere
privati della possibilità di protestare, di fare assemblee o cortei,
fino a essere privati di qualsiasi contatto con qualsiasi altro essere
umano in quello che è l’isolamento vero e proprio.

La cosa più piacevole per me è stato ricevere lettere, un gesto concreto in grado di rompere l’isolamento.

Anarchaos – Sappiamo che hai intrapreso per 1 giorno lo sciopero della fame
in solidarietà con gli ergastolani in lotta. Ci puoi raccontare
qualcosa a riguardo, e le tue impressioni dal carcere? Ci sono stati
altri carcerati che hanno portato avanti questa lotta nel carcere dove
eri e sei ora, che tu sappia?

Michele – Solitamente io nutro qualche dubbio su queste forme di
protesta. Diciamo che lo sciopero della fame in sé e per sé conduce a
un paradosso logico: se il dominio è brutale come sostieni ti lascia
crepare fregandosene, se invece lo Stato si preoccupa e viene in tuo
soccorso la tua tesi sulla loro spietatezza viene smentita; in ogni
caso si tratterebbe di una sconfitta.

Per fortuna però spesso la realtà è meravigliosamente illogica e non
basta un giudizio astratto come quello di sopra per descrivere una
protesta straordinaria come quella nata il primo dicembre 2007. Prima
di tutto perché non deve essere necessariamente lo Stato a
preoccuparsi, ma magari è la gente che sta fuori che si mobilita spinta
da questa protesta, e ciò rappresenta appunto una confutazione
dell’alternativa logica di cui parlavo sopra. E soprattutto perché si
può ridurre ad un mero ragionamento astratto la sofferenza di tanta
gente.

L’ergastolo è una cosa terribile, una vera e propria pena di morte
differita e rende evidente che le chiacchiere pseudo garantiste sulla
galera come luogo di rieducazione sono solo delle menzogne. Cosa potrai
mai “recuperare” quando sai che passerai in carcere ogni giorno della
tua vita?

Non posso neanche immaginare che cosa si provi, per me ogni mese che
passa ci sono istanze o appelli per tornare a casa, incontro i miei
familiari e la mia ragazza ai colloqui, ma so che prima o poi uscirò.
Ma chi sa di non uscire più come può affidare il proprio affetto e il
proprio amore a sei ore di visite al mese?

Marx definiva i “proletari” come “coloro che non hanno nulla da
perdere tranne le loro catene”. Sembra riferita proprio a loro, agli
ergastolani…

Nel carcere dove stavo prima non aveva aderito nessuno, invece a
Sulmona so che qualcuno ha partecipato. Essendo stato da solo ho fatto
un po’ a modo mio, ho fatto 24 ore e le ho fatte domenica 2 dicembre,
così da “fregare” i controlli sanitari e creare un minimo di scompiglio
nelle apatiche domeniche carcerarie.

Anarchaos – Nel corso degli anni tu hai sempre sostenuto apertamente
posizioni piuttosto radicali, senza nascondere la tua simpatia verso i
movimenti rivoluzionari, ed esprimendo in tutto e per tutto le tue
idee. Credi sia stato un errore tattico, quello di non autocensurarsi
in pubblico, per non esporsi alla repressione dello Stato? Quale è per
te l’importanza di aver fatto questa scelta?

Michele – La domanda è molto precisa e richiede una risposta altrettanto precisa, che forse non saprei dare.

Se molto più semplicemente mi fosse stato chiesto se è stato un
errore esporsi così tanto in pubblico, io avrei risposto “indignato”
che no, non è stato affatto un errore, ma anzi sono orgoglioso delle
mie scelte. Ma qui mi si chiede molto di più: nella vostra domanda non
si usa semplicemente il termine “errore”, ma l’espressione “errore
tattico”. C’è una bella differenza. Innanzi tutto dobbiamo metterci
d’accordo su che cosa significa la parola “tattica” e soprattutto
dobbiamo capire quali sono i nostri obiettivi prima ancora di dire se
le strategie e le tattiche che usiamo per raggiungerli sono o non sono
adeguate.

Per questo rispondere a questa domanda diventa problematico, dato
che bisognerebbe argomentare una serie di premesse che comunque non
porterebbero ad una soluzione definitiva del problema, ma a risposte
relative ai vari punti di vista. Se il mio obbiettivo è il mio
benessere, la mia realizzazione personale, l’appagamento dei miei
bisogni, la mia libertà egoistica (in senso positivo, alla Max Stirner)
– e in parte lo è – allora è stato un errore tattico esporsi così tanto
perché di fatto l’arresto, l’isolamento mi fanno soffrire, impediscono
la mia realizzazione, non mi permettono di appagare i miei bisogni ma
anzi mi creano nuovi problemi. Se, però, il mio obbiettivo è
inquadrabile in una strategia di liberazione personale ma anche
collettiva dei miei fratelli, di difesa della natura e dell’ecosistema
che ci permette di vivere (e quindi è indispensabile anche per il mio
appagamento egoistico), di risposta ad una società spersonalizzante – e
in parte lo è – allora è stato tatticamente giusto avere il coraggio di
assumermi le mie responsabilità, difendere la mia individualità dal
grigio anonimato di questo sistema firmando i miei articoli,
costringere lo stato a fermare le mie idee, così inoffensive ma anche
pericolose per loro, con ogni mezzo facendo emergere il suo volto più
brutale e tutte le sue contraddizioni.

La tattica è per definizione una cosa relativa, dipende dove
vogliamo andare. Molto più importante della tattica invece è il mio
sentimento di libertà e ribellione e il mio orgoglio per le scelte che
ho fatto.

Anarchaos – La solidarietà è un’arma. Quanto è importante per un
compagno in carcere la solidarietà che viene da fuori? Quali credi
siano i modi migliori per aiutare chi sta in carcere in una situazione
difficile come la tua? Credi che il “movimento” si sia mosso e si stia
muovendo bene per ottenere la vostra liberazione e per dare risalto a
tutta la vicenda?

Michele – Io un giudizio sul movimento di solidarietà non lo voglio
dare per non violare la sua autonomia e il suo radicamento sul
territorio. La mia idea è che il movimento di solidarietà non deve solo
essere l’espressione delle mie idee, ma neanche delle idee delle altre
vittime di questa crudele repressione. Al contrario deve essere
espressione delle idee di chi ne fa parte, di chi si riunisce nelle
assemblee e partecipa alle manifestazioni. E’ vero che c’è un comune
denominatore tra tutte queste individualità ovvero la volontà di
lottare per la libertà del compagno, dell’amico, del famigliare
imprigionato, ma non per questo il prigioniero deve rappresentare una
figura autoritaria sul movimento.

Non si capisce perché se è giusto che tra gli anarchici ci si
riunisca in maniera orizzontale e libertaria quando ci si mobilita per
le lotte sul posto di lavoro, in difesa dell’ambiente, contro la
guerra, non dovrebbe avere lo stesso spirito anti-autoritario anche
quando si solidarizza con le vittime della repressione, ma in questo
caso il prigioniero viene mitizzato.

Io non voglio che questo accada. Sono felice che ci siano dei
soggetti che si riuniscono per protestare contro la mia detenzione e
qualsiasi azione questi portino avanti, dalla più moderata alla più
radicale, è benvenuta.

Facciamo un esempio per capirci. Io non avrei mai fatto una
fiaccolata né mi sarei affidato a politici e parlamentari, ma se un
insieme di individui che va – faccio degli esempi a caso – dal
contadino che mi ha conosciuto perché lottavo contro un’opera che
rovinava anche il suo campo, al tifoso di pallacanestro che stima Dario
come giocatore della squadra locale, al frequentatore del bar dove
lavorava Andrea, decide di riunirsi e in quell’incontro, anche cercando
una sintesi tra posizioni diverse, sceglie quella forma di lotta io la
rispetto e li ringrazio. Anzi dico di più, sono contento che il nostro
arresto almeno abbia portato a una protesta così trasversale e così
partecipata da “costringere” i compagni a iniziative diverse da quelle
solite.

Quali sono i modi migliori per aiutare un prigioniero? Io ovviamente
rispondo a nome mio: le tante lettere e una persona speciale che mi ama
e che mi aspetta

Anarchaos – Hai per anni contribuito alla gestione di un sito
internet anarchico. Che importanza ha per te questo? Credi che la
diffusione via internet delle tue idee abbia contribuito a farti
arrestare? Internet difatti è il “luogo” forse più controllato e meglio
controllato esistente, ma anche un ottimo mezzo di propaganda degli
ideali anarchici.

Michele – Sinceramente io non ho una particolare preferenza per
internet rispetto ad altri strumenti per veicolare le nostre idee, non
credo che esistano degli strumenti privilegiati rispetto ad altri e non
mi sono mai piaciute le teorie “sempliciotte” in cui si elegge la
novità del momento a nucleo fondamentale di un sistema geniale che dura
solo pochi mesi, come facevano i primo no global della fine degli anni
’90 o come fa il movimento di Beppe Grillo più recentemente, ovvero
fare quelle affermazioni banali su “internet come sale del movimento” o
la “rete come un grande strumento democratico”.

Io non la penso affatto così, io credo che gli strumenti vanno
usati, gettati, ripresi, revisionati in base alle esigenze concrete del
momento.

Mi sono ritrovato a scrivere su internet, e non piuttosto in un
giornale per ragioni casuali e contingenti. Per esempio per aprire un
giornale ci sono in Italia delle leggi che definire liberticide è poco:
ci vuole qualcuno che si assume la responsabilità di iscriversi in
tribunale in qualità di “direttore responsabile”, per farlo deve essere
iscritto all’ordine dei giornalisti, per essere iscritti all’ordine dei
giornalisti si deve aver pubblicato un certo numero di articoli su
giornali a loro volta iscritti in tribunale, ovvero ci deve essere un
direttore che già fa parte di questa casta che decide di pubblicare i
tuoi scritti e di farlo con il tuo nome e non con le sole iniziali come
accade sempre, insomma per un ragazzo di 20 anni aprire una rivista e
iscriversi è semplicemente impossibile, almeno che non si scelga la via
della stampa clandestina.

Questo è solo uno degli esempi concreti che si possono fare per
spiegare perché io ho scelto internet. Personalmente non sono né un
amante né un esperto di informatica, ho trovato un sito,
www.anarchaos.it, dove vengono portate avanti analisi profonde e dove
ci scrivono, secondo me, le migliori menti dell’anarchismo
contemporaneo, in gran parte giovani sotto i 30 anni.

Per quanto riguarda l’aspetto del controllo, bisogna tener presente
che quando si scrive in internet si corrono certi rischi e bisogna
sempre essere consapevoli di ciò che si fa e di ciò che si rischia.
Anche per questo non credo che internet sia il luogo meraviglioso di
liberazione che gli altri descrivono. Ma piuttosto uno strumento a
disposizione dell’individuo in carne ed ossa che sta dietro allo
schermo e che deve saper capire quando è venuto il momento di usarne
altri più utili.

Anarchaos – Negli anni hai prodotto numerosi scritti di teoria
anarchica. Come vedi il movimento anarchico dei giorni nostri? Credi ci
siano validi pensatori dell’anarchismo? Nel 2008 l’anarchia ha ancora
bisogno di teorici, o serve soprattutto una pratica anarchica che possa
opporsi all’esistente?

Michele – L’ipotesi anarchica è la sola delle ipotesi di alternativa
al sistema socio-politico dominante a non essere uscita sconfitta nel
corso del secolo appena passato. Questo non può essere preso come un
merito o un successo, dato che nasce anche dal fatto che è stata
un’ipotesi meno sperimentata delle altre, ma è certamente un punto di
partenza.

Il movimento anarchico dei nostri giorni è, a mio avviso, l’unico
movimento rivoluzionario ad avere “qualcosa da dire” riguardo ai
problemi a noi contemporanei. Prendiamo il marxismo, che per un secolo
e mezzo ha parlato di superiorità della classe operaia e del
proletariato industriale, oggi si trova in difficoltà, una difficoltà
che è costitutiva di questa ideologia ed è difficilmente risolvibile.
Una difficoltà analoga emerge osservando la divisione, nei paesi
sviluppati, tra “lavoratori utili” e “lavoratori inutili”. Ad esempio i
call center producono ricchezza finanziaria, liquida, per il padrone,
ma non producono beni materiali. Nelle ideologie rivoluzionarie del
passato si pensava all’operaio che per liberarsi dal padrone occupava
la fabbrica, la faceva propria, sopravviveva con una produzione
autogestita. Pensiamo allo stesso modello per i precari iper-sfruttati
di un call center che pubblicizza televisioni al telefono: ve lo
immaginate un call center occupato che manda avanti la produzione in
modo autogestito? La produzione di cosa? Quali possibilità ho di
sopravvivere? Faccio queste riflessioni non in maniera aristocratica,
ma da persona che ci ha lavorato per un anno in un call center.

Di fronte a questi problemi i rivoluzionari sono diventati dei
riformisti, le loro richieste non erano più finalizzate alla redenzione
dell’individuo che sta dietro al telefono come prima era l’individuo
che stava alla pressa, né tanto meno la conquista collettiva dei mezzi
di produzione, ma si limitano a questioni come la stabilizzazione dei
contratti o l’aumento del salario. E non può che essere così, è
concettualmente inimmaginabile un’organizzazione sociale diversa
all’interno della stessa società post-moderna.

Il problema è quindi quello di voltare radicalmente pagina, di
superare la modernità e di passare ad un’altra era. E qui rispondo alla
seconda parte della domanda, quella in cui mi si chiede se nel 2008
l’anarchia ha più bisogno di teoria o di pratica. L’era moderna si è
caratterizzata come l’era del dualismo, come l’era della dialettica,
come l’era in cui il pensiero si polarizza in due tesi contrapposte,
dove c’è la tesi e l’antitesi, la modernità o il passato, la teoria o
la prassi. Bisogna superare questo modello concettuale: bisogna
criticare la modernità non per tornare al passato ma per costruire una
nuova era, bisogna dire che la teoria e la pratica sono la stessa cosa,
che non esistono differenze e trovano la loro unità nel momento
dell’azione diretta.

Il movimento anarchico può riuscire in questa impresa perché è molto
malleabile, riesce ad adeguarsi alla realtà concreta e non si
“affeziona” di solito a metodi e principi del passato. Il pensiero
anarchico (per fortuna) non ha mai costruito un rigido sistema logico,
con principi primi, teoremi, assiomi, leggi, ma si è limitato ad
osservare la realtà ed ipotizzare le evoluzioni che di volta in volta
apparivano più adeguate alla sua evoluzione in senso libertario.

Il grande limite dei sistemi assiomatici è che non sono modificabili
con il divenire del mondo, una volta che si pongono dei principi e poi
se ne traggono deduttivamente le conseguenze non c’è spazio per
nient’altro, non appena la realtà si evolve tutto il sistema cade a
pezzi, perché logicamente partendo da determinati principi si può
giungere necessariamente a determinare conseguenze, quando il mondo
cambia vanno cambiati anche i principi .

Per gli anarchici è stato completamente inutile uno studio
dettagliato dell’economia come quello che ha fatto Marx non
finalizzandolo a modificare le cose, ma a fissare delle leggi che poi
solo pochi decenni dopo sono state smentite da nuovi principi economici
(basti pensare al concetto di welfare dove lo sfruttato non deve essere
spolpato fino al midollo ma deve avere il tempo e i soldi per essere
anche lui un consumatore…). Nel movimento anarchico non vi sono né
santi mastri né teorici di riferimento, ci sono stati piuttosto dei
compagni che in periodi diversi hanno detto la loro su come
rivoluzionare questo mondo: da Bakunin a Malatesta, da Bonanno a Zerzan.

Anarchaos – Quali credi siano le priorità del movimento anarchico?
Credi che la lotta contro il carcere e la controinformazione su esso
siano una di queste (anche dal punto di vista tattico)? E’ cambiata la
tua idea a riguardo dal momento dell’arresto?

Michele – Sicuramente l’obiettivo di distruggere le galere e
costruire un mondo dove la fratellanza e la solidarietà prendano il
posto della diffidenza e della repressione è uno degli aspetti
essenziali dell’ipotesi anarchica. Si le mie idee si sono modificate
non nel senso che si sono “moderate”, ma nel senso che si sono
“ampliate”. Come ho già detto prima, sono sempre stato contrario a
concentrare l’attenzione del rivoluzionario su un singolo aspetto, ma
penso che lottare contro il carcere, contro le frontiere, per
l’ambiente, contro la guerra siano temi di uguale importanza.

Paradossalmente proprio in carcere questa convinzione si è
rafforzata. Vi racconto un episodio: ero a Perugia in totale isolamento
ed ho incrociato per pochi secondi un prigioniero che stava per venire
scarcerato ma che era incredibilmente triste. Mi ha raccontato gli
ultimi mesi della sua vita: era stato arrestato perché, con alcuni suoi
compagni senza tetto, erano entrati in una casa a passare la notte ed a
cercare del cibo; gli altri erano ai domiciliari da qualche settimana,
mentre lui era rimasto in galera dato che non era stato trovato nessun
domicilio. Questa persona preferiva il carcere alla strada! E’ stata
un’esperienza sconvolgente per un anarchico come me che ha sempre
creduto nella possibilità di un mondo senza galere. Lì ho capito che da
quel momento in poi lo scopo della mia vita non doveva essere più
“solo” quello di distruggere le galere, ma “anche e soprattutto” quello
di creare un mondo in cui nessuno sta così male da preferire il carcere
alla libertà.

Scusate la digressione, ho il vizio di cambiare spesso argomento, ma
questo è uno dei temi che intendo affrontare con più precisione, dato
che parlare delle priorità del movimento anarchico significa completare
la risposta che nella domanda precedente avevo lasciato in forma
astratta.

Parliamo di cose concrete. La proposta che avevo cominciato ad
abbozzare poco prima del mio arresto era: “distruggere le città”. Un
progetto teorico che deriva in parte dall’anarchismo verde e
dall’anarco-primitivismo, ma che è essenzialmente diverso da questo
perché non propone di “tornare indietro”, cioè di accettare il dualismo
manicheo o modernità o passato. Ma di “andare avanti”, di superare
l’era moderna ipotizzando un modello diverso, ancora mai sperimentato
sul nostro pianeta.

Le città sono l’essenza del nostro modello sociale, anzi di più,
esse sono l’identità del nostro modello sociale, la città è di per sè
un modello di organizzazione. Basti pensare che nella nostra era il
suddito viene chiamato “cittadino”; può vivere a Londra come in un
paesino delle Alpi, ma per avere il diritto alle cure sanitarie, il
diritto di voto, il diritto ad un processo cosiddetto “equo”, il
diritto alla proprietà privata devi essere un cittadino. Se non sei un
cittadino allora sei un clandestino, puoi essere imprigionato senza
aver fatto nulla ed essere espulso. Opporsi a questa società non vuol
dire elemosinare il diritto alla cittadinanza, ma rifiutarlo.

Prendiamo una metropoli europea non troppo grande come Milano: a
Milano vivono milioni di persone che mangiano pane, pasta, vino,
zafferano, latte, ma nessuno di loro coltiva i campi di grano, possiede
vigne, munge le vacche, ecc. Significa che questi prodotti devono
arrivare da fuori, che c’è chi lavora per produrli, che ci sono camion
che inquinando li portano nei supermercati milanesi e ci sono delle
persone che lavorano ed usano l’unità di misura denaro accumulata
lavorando per comprarli. In generale solo una microscopica parte della
popolazione produce beni di prima necessità, se tutti facessero questo
tipo di lavori si produrrebbe molto meno avendo più tempo per l’amore,
l’arte, la filosofia, la politica, l’ozio. E’ vero che in passato tutti
erano contadini eppure si viveva peggio di ora, però è anche vero che
oggi vi sono delle tecnologie che permettono al lavoro di poche
migliaia di persone di sfamarne milioni. Inoltre va considerato il
fatto che la società agraria del futuro non sarà feudale come quella
del passato, ma socialista. Pensiamo quale vantaggio centinaia di
milioni di persone del sud del mondo che non hanno di che mangiare
riceverebbero imponendo, a qualche decina di milioni di europei che
lavorano in ufficio, ad andare a produrre beni alimentari! Per non
parlare del guadagno che riceverebbe l’ambiente in una società
organizzata in modo che ognuno sia esattamente collocato nel luogo dove
vengono prodotti i beni che gli permettono di vivere.

Questa cosa nel mondo povero è ancora più evidente. Possiamo dire
che il processo di urbanizzazione delle megalopoli è stata la più
grande catastrofe che le popolazioni asiatiche e latino-americane hanno
dovuto subire, superabile solo dai danni dell’effetto serra se non si
risolve al più presto il problema ambientale. Le multinazionali hanno
prodotto una concorrenza sleale che ha messo sul lastrico milioni di
contadini poveri, miliardi di persone che si sono riversate nelle città
spinti dalla richiesta di lavoro industriale (non ci sono mai stati
tanti operai sulla faccia della Terra, alla faccia di chi dice che
l’era industriale è finita, ma anche alla faccia di chi dice che la
classe operaia è la classe “eletta”), ma che spesso sono precipitati
nella miseria delle baraccopoli di periferia. Nel frattempo le
agricolture intensive delle multinazionali hanno consumato la terra, le
monocolture l’hanno impoverita, i bio-carburanti hanno tolto cibo alle
popolazioni e miliardi di asiatici che stanno cominciando a vivere
all’occidentale stanno avendo un effetto catastrofico sul clima e sulle
risorse del pianeta. E’ evidente che la colpa di tutto questo è del
modello metropolitano-industriale, è evidente che l’unica soluzione è
distruggere le città. Ciò risponderebbe a molti degli interrogativi del
movimento anarchico, compreso il carcere. La possibilità di un mondo
senza galere è realizzabile solo nelle micro comunità, non a caso
urbanizzazione e guantanamizzazione stanno andando di pari passo: dove
ci sono le città ci sono anche telecamere, caserme e galere.

Anarchaos – In uno dei tuoi ultimi scritti prospetti un approccio
sperimentale all’anarchismo, un approccio sperimentale alla
rivoluzione. D’altra parte ritieni anche che uno degli elementi
fondamentali per un rivoluzionario siano i sentimenti e l’etica. Non
credi che le due cose siano in conflitto? Un approccio sperimentale
appare essere oggettivo e scientifico, credi sia un approccio corretto
per un rivoluzionario? (Bakunin diceva che la rivoluzione è per ¾
fantasia…)

Michele – Non è affatto vero che l’approccio sperimentale
dell’anarchia è un approccio oggettivista. Galileo, che non poteva
essere anarchico ma del metodo sperimentale è il fondatore, affermava
che non bisogna cercare l’essenza delle cose ma studiare le loro
accezioni, per tornare al presente Cellucci parla del metodo analitico
come un metodo incerto, dove non conta la verità delle ipotesi ma la
loro plausibilità. Cosa c’entra questo non l’oggettivismo? Niente. Se
io affermo che tutti gli A sono B e tutti i B sono C, allora il
risultato che tutti gli A sono C è oggettivo, deduttivo, necessario,
non può che essere così, la rigorosità della deduzione ti impone questa
conclusione. Ma se io affermo di avere un problema X e ipotizzo la
soluzione A la soluzione B e la soluzione C,c’è poco di oggettivo, è la
sperimentazione con la realtà che ci indica l’ipotesi più plausibile, e
in ogni caso non si tratta di una soluzione universale, ma di qualcosa
che vale “fino a prova contraria”, fino a che non si è modificata la
realtà o fino a che non veniamo a conoscenza di nuovi dati.

facciamo degli esempio politici anziché logici: gli assiomatici in
politica possono essere considerati coloro i quali pongono dei problemi
primi (dio, il mercato, la crescita, la lotta di classe, ecc) e da
questi pretendono che la realtà si comporti così come prevede il loro
oggettivo sistema logico. Con tutti questo l’anarchismo sperimentale
non c’entra proprio un bel niente. In generale il metodo
ipotetico-sperimentale, che sia applicato nella scienza come nella
politica, non conosce verità universali ma solo ipotesi plausibili.
Prendiamo ancora una volta l’esempio dell’ambiente, così importante ai
nostri giorni. Esistono varie ipotesi pr risolvere questo problema: c’è
l’ipotesi del capitalismo “dal volto umano” di Al Gore, c’è l’ipotesi
non-violenta della decrescita felice, c’è l’ipotesi primitivista di
Zerzan, c’è l’ipotesi anti-industriale di Kaczynski, c’è la nostra
ipotesi di distruggere le città.

Da un punto di vista logico queste ipotesi sono egualmente
plausibili, quindi non si può dire in maniera oggettiva quale ha
ragione e quale ha torto. Per questo contano anche i sentimenti e
l’etica. L’ipotesi di Al Gore può anche salvare il pianeta dalla
distruzione, ma pr me rimane inaccettabile perché comunque vivremmo in
un mondo in cui lo sfruttamento e la miseria non vengono estirpati.
Altro esempio, anche l’ipotesi primitivista può salvare il pianeta, ciò
non toglie che io egoisticamente dormo meglio nel mio letto che in una
caverna!

Sentimenti e metodo ipotetico non sono in conflitto, facciamola
finita con questa cultura moderna che obbliga al dualismo tra scienza e
sentimenti! Io sinceramente non vedo molte differenze tra il faust di
Goethe che vende l’anima al diavolo in cambio del sogno irrealizzabile
di una conoscenza assoluta e i teoremi matematici di Goedel che
dimostrano l’impossibilità logica di un sistema perfettamente
assiomatico.

Prendiamo da un altro punto di vista. Gli animali seguono l’istinto
eppure si evolvono e riescono a risolvere il problema della
sopravvivenza. Si può anche dire che questo processo abbia una sua
logica, ma non è certamente una logica proposizionale come quella
umana. In altre parole la mente felina non pronuncia la frasetta “se mi
faccio crescere gli artigli sopravvivo meglio”, eppure riesce a
risolvere così il problema della sopravvivenza con l’istinto, perché
non dovrebbe farlo anche l’umanità che per la prima volta dai tempi
dell’ultima glaciazione la sua sopravvivenza è messa a rischio da
guerre e inquinamento?

Tra l’altro è dimostrato anche scientificamente che nella
formulazione delle ipotesi pr risolvere un determinato problema
intervengono anche fattori come i sentimenti, l’istinto e la fantasia.
Per questo non è fuori luogo la frase di Bakunin che “la rivoluzione è
per tre quarti fantasia e per un quarto realtà”. Ma una frase secondo
me perfetta per descrivere l’elemento ampliativo della scienza, ch si
contrappone a chi vede la scienza come sistema chiuso è la seguente “è
solo ricercando l’impossibile che l’uomo a sempre realizzato il
possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva
loro come possibile, non hanno mai avanzato di un solo passo”.

Anarchaos – Sempre a riguardo dell’anarchismo sperimentale: se
l’esperienza ci portasse a credere che una società anarchica, o
comunque molto lontana da questa, sia impossibile, cambieresti idea
sull’anarchismo? Non credi che essere anarchico faccia parte più di una
scelta che di un risultato di un’analisi razionale della realtà? Non
credi che l’oggettivismo e lo scientismo sia uno dei grossi problemi
del mondo moderno, nonché sua conseguenza diretta? In che modo la tua
idea di anarchismo sperimentale differisce dallo scientismo oggi
diffuso e imperante?

Michele – In parte ho già risposto nella domanda precedente: noi non
affermiamo che l’essere anarchico sia il risultato di un’analisi
razionale della realtà, pensare questo significa non aver affatto
capito l’anarchismo sperimentale. Al contrario io credo che l’essere
anarchico sia una scelta: di fronte ai problemi politici, economici,
ambientali del nostro tempo l’anarchia è un’ipotesi alternativa a
questo schifo e l’anarchismo è chi sceglie questa ipotesi.

Sono inoltre d’accordo che lo scientismo e l’oggettivismo siano i
dogmi della nostra era e che vadano combattuti con forza. Episodi come
la svolta reazionaria del Vaticano ci devono far riflettere: essi
nascono dal senso di insoddisfazione e paura per gli aspetti più
mostruosi della modernità. Il punto è che papa e cardinali propongono
una soluzione peggiore del problema: tornare indietro, criticare
l’illuminismo, osannare il medioevo. Eppure spesso la critica
anti-clericale si è limitato a questo aspetto esteriore e non ha
individuato il vero nocciolo della questione. Se la chiesa sta facendo
una svolta oscurantista è perché la modernità ha fallito, per evitare
di tornare davvero al medioevo non basta strillare che la chiesa
sbaglia, ma proporre noi qualcosa di diverso a questo esistente
scientista e oggettivista.

Hawking che viene definito dalla stampa “il più grande scienziato
del mondo” (come se questa possa mai essere una definizione
giornalistica) e se ne va in giro a dire che tra poco avremo una
visione così nitida dell’universo che potremo prevedere ogni singolo
evento, per me è un pazzo scatenato alla pari di Heidegger che se ne
andava in giro a dire che il più grande problema del mondo era il
“problema dell’essere” e che per risolvere questo inutilissimo problema
ci voglia un ente privilegiato come l’essere umano una rigida gerarchia
di concetti ontologici, o alla pari di un altro pazzo che predica
contro il relativismo e i preservativi.

Tutti e tre – lo scienziato, l’esistenzialista e il dogmatico – sono
figure emblematiche di questa era decadente e sono tutti egualmente
esponenti di un metodo di ragionamento, quello assiomatico, per cui
esiste o va cercato un principio primo da cui dedurre tutta la realtà.

Tornando all’oggetto della domanda, lo scientismo che sta
distruggendo il mondo, io crdo che il modo migliore per combatterlo sia
mostrare quanto poco scientifico è questo cosiddetto scientismo. Non
c’è proprio nulla di scientifico nel fissare degli assiomi e nel
dedurne le conseguenze da un punto di vista strettamente teorico perché
gli assiomi per essere fondati hanno bisogno di qualcosa di irrazionale
come l’intuizione, da un punto di vista pratico perché un sistema
chiuso come quello assiomatico è inefficace per descrivere la realtà.
Ad esempio Aristotele, il filosofo assiomatico per definizione, era
convinto che il mondo era stato ormai quasi del tutto coperto e la
conoscenza non aveva bisogno di nuove idee, ma di una giustificazione e
sistematizzazione delle conoscenze già acquisite. Questo la dice lunga
sulla pazzia di chi in un mondo a rapida evoluzione come quello
contemporaneo pretende di dettare una formula in grado di descriverlo
una volta per sempre.

Ora proviamo a rispondere alla prima domanda, ovvero. “se
l’esperienza ci portasse a credere che una società anarchica sia
impossibile, cambieresti idea sull’anarchismo?”. Cominciamo col dire
che la domanda è mal posta. Infatti a fare i “precisini” la risposta
corretta è che l’esperienza non potrà mai dirci che l’anarchia sarà
sempre impossibile, dato che se a qualcuno è venuta in mente questa
ipotesi significa che essa ha un senso. Facciamo un esempio banale: un
romano si pone il problema di come arrivare ad Atene prima possibile e
ipotizza di arrivarci in volo; ora, questa ipotesi nell’antichità
sarebbe sembrata assurda mentre ora ci apparirebbe normalissima. Se è
giusto che le ipotesi non sono mai vere in eterno, ma possono sempre
essere modificate, allo stesso modo è anche vero che le ipotesi oggi
non plausibili un giorno potrebbero diventarlo.

Ma non credo che sia questa risposta così retorica e precisina
quella che cercavate. Per questo dico che la domanda è mal posta. Mi
permetto di dire che secondo me la domanda corretta era un’altra,
ovvero: “se l’esperienza ci fornisse un’ipotesi che appare migliore di
quella anarchica, tu cambieresti idea sull’anarchismo?”.

In questo caso la risposta è: certamente si. per me l’anarchia non è
una religione e anche le nostre più belle utopie devono essere pronte a
modificarsi se questo è più utile al nostro benessere. Ciò che spinge
un individuo a ribellarsi è il proprio malessere, la propria
oppressione, come direbbe Stirner ogni soluzione che appaga il mio
egoismo è ben accetta. Per me l’unico movimento rivoluzionario è
l’anarchismo, ma questo deve rimanere un movimento non una setta

Febbraio – Maggio 2008