Se Pinelli diventa fascista…Calabresi sia pur martire…

Qualche giorno or sono uscendo di casa, la mia attenzione è stata rapita dalle celie di due azzimate signore del paese (l’una la madre/moglie modello di figli e maritino modello; l’altra la zitella chiacchierona/tuttologa che per convenzione repubblicana deve abitare in misura di una ogni 500 abitanti in ogni paesello o città…) che stavano chiacchierando in maniera placida e competente…del libro di Mario Calabresi, figlio del caro commissario morto per overdose da piombo qualche annetto fa, non prima di aver partecipato all’uccisione del pericolosissimo (nonché innocente) Ferroviere Anarchico Giuseppe Pinelli, reo di puzzare di libertà, odore invero inviso alla sbirraglia d’ogni tempo e luogo. La storia è nota, non staremo a ricordarla ora (ma chi volesse rinfrescarsi la memoria clicchi qui)…fatto sta che, pur ripetendomi -come comandamento- di non entrare in nessun modo nel discorso suddetto, mentre la mente s’opponeva tenace ad ogni tipo di interlocuzione con le due esimie rappresentanti del ridente paesino…la bocca già stava chiedendo alle due se si fossero dimenticate di Pinelli Giuseppe il defenestrato, anch’egli padre di famiglia…solo un poco più ignorato dalla storiografia borghese che invero preferisce glorificare un assassino piuttosto che portare rispetto ad una vittima…ma si sa, la storia, come le leggi, vien redatta da chi detiene il monopolio della violenza e quindi del potere…ma torniamo a noi…a tutto ciò segue un acceso dibattito soprattutto sostenuto dalla nostra tuttologa, la mogliettina/madre modello come da ruolo si limita soltanto ad annuire, che con veemenza (e qualche sputacchio disordinato) mi intima di “leggere i libri di storia”. L’aneddoto sarebbe finito così, se non ché lo strascico polemico -che avevo gentilmente abbandonato ai biasimi di paese- ha portato le due rispettabili signore al cospetto di mia nonna per chiederle se…fossi fascista!!! Sì perché, il defenestrato non era altro che un fascista…Pinelli il fascista…La cosa in sé, ad una lettura superficiale potrebbe semplicemente far pensare all’ignoranza che ricopre ogni ambito della storia di questo sventurato sobborgo chiamato Italia, ma ad una più attenta lettura, e alla luce di una puntuale contestualizzazione emerge, da questa storiella come da molte altre, come il clima revisionistico imperante stia distorcendo ogni ambito di memoria collettiva, si parli di fascismo, strategia della tensione o Moggi…Il pericolo di un nuovo totalitarismo di stampo novecentesco, che sembrava formula ormai soppiantata dalla nuova dittatura del mercato globale torna invece a far capolino fra le assi scricchiolanti del capitalismo che sta cominciando a mostrare il fianco…Cosa fare dunque? Se da un lato è necessario continuare l’opera di testimonianza della memoria, cosa che il movimento Anarchico riesce a fare benissimo, è necessario uscire ancor più “allo scoperto”, legare le nostre tematiche e le potenzialità c’esse portano in seno a quegli ambiti del quotidiano che denotino –per tematiche trattate appunto, o per pratiche di lotta messe in gioco- delle potenzialità di cambiamento radicale, rispondendo alla crisi che si sta profilando –ed opponendo all’autoritarismo misto ad orgoglio nazionalpopolare messo in campo da stato ed estrema destra- esplicando le nostre teorie che vogliono in luogo dell’autorità la Libertà, del potere accentrato nelle mani di pochi l’autogestione orizzontale e federata, del privilegio l’uguaglianza…dimostrando con l’esempio e la pratica (ben più convincenti di libri, articoli e quant’altro) la possibilità di tutto ciò.
Purtroppo in certi casi –senza voler generalizzare- il movimento Anarchico sembra si sia autorelegato al ruolo di mero testimone del suo passato, pronto a far sfoggio di sé soltanto durante qualche Primo Maggio o durante qualche manifestazione di movimento, avocando ad altri (quasi sempre lontani dai nostri ideali e le nostre sensibilità) l’onere di lavorare quotidianamente per un cambio di rotta di questa nostra società.
Ciò a mio avviso capita non per mancanza d’elaborazione teorica, d’inattualità dell’Idea Anarchica e dell’Anarchismo o per mancanza di responsabilità dei compagni, ma soprattutto per una specie di sudditanza psicologica creatasi all’ombra delle sconfitte passate e che attraversa parte del movimento, sempre impaurito di non avere i numeri o di non riuscire a parlare al cuore delle persone…eppure l’esperienza c’insegna che -avendo ben chiari gli obbiettivi- può bastare anche una sola persona ben determinata per raggiungerli…Bresci non è morto in vano…Detto ciò a mio vedere il miglior modo per scongiurare e l’oblio dell’Idea Anarchica nelle nebbie della storia, e il ritorno prepotente di ideologie d’autorità e sopraffazione, è quello di “stare sulla notizia” partecipando in maniera diretta e chiara con le nostre idee e soprattutto le pratiche che più ci allignano, come l’azione diretta, a tutte quelle mobilitazioni che oppongono all’autorità la volontà (ed i corpi) degli individui; mi riferisco per esempio alle lotte contro le devastazioni ambientali e sociali, che spesso pur formate da fasce della società che poco hanno a che vedere con il sentire Anarchico, mostrano –nella pratica- forme di autorganizzazione e orizzontalità che, concimate dall’ideale Anarchico, potrebbero creare sacche di contropotere se non altro utili per ricostruire una rete di complicità necessaria ad ogni movimento che abbia come obbiettivo l’emancipazione individuale e collettiva.
Detto ciò un rischio sicuramente da scongiurare è quello di trasformare l’Anarchismo in un’istanza meramente movimentista, ché se da un lato è importante tentare di creare il massimo di convergenze possibili sui nostri “argomenti”, dall’altro va da sé che non si possa star certo ad aspettare che l’Anarchismo diventi idea di massa…pena sia lo sconfinare in un millenarismo che ridurrebbe all’inazione, sia lo strangolamento di ogni slancio individuale in luogo di un’unità di movimento che diventerebbe carcere…Ogni azione è legittimata dalla scelta di chi la pone in essere, sia essa azione collettiva o azione individuale, la rivolta (sia un volantino, uno striscione, una barricata…) contro ogni atto d’autorità diretto a costringere gli individui è non solo legittima, ma necessaria…La memoria si mantiene lottando nel presente e costruendo il futuro senza tentennamenti e con chiarezza rispetto il merito, il metodo e le finalità che proponiamo; non è più il tempo degli alibi, per nessuno, non è più il momento di aspettare, è il momento di agire…basta perdere tempo per poi doversi difendere…si tratta di guadagnarne attaccando…attaccando partecipando attivamente ad ogni mobilitazione, attaccando smascherando ogni ambito di questo presente il libertario, attaccando…in ogni maniera che la testa ed il cuore ci suggeriscono…
Evjenij Vassil’ev Bazarov.