La liturgia del capitale

Anno del signore 2013, la liturgia del capitale, officiata dalle gerarchie della sua chiesa si palesa ogni giorno di più, esonda dalle cattedrali della finanza, dalle quali colpiva e colpisce con violenza ma in maniera subdola, relegando la tragedia dello sfruttamento generalizzato  a mero dramma personale/familiare, interpretato sul palcoscenico della contingenza attraverso monologhi rivolti a nessuno spettatore poiché ognuno e reso attore ed unico uditore del proprio dramma.
Anno del signore 2013, nel momento in cui anche nel paese della rassegnazione e del voto al martiriologio si cominciano a notare -anche se ancora in embrione- i primi colpi d’ala della rabbia che monta i detentori del moderno scettro del comando, un tablet collegato costantemente con le agenzie di rating -la sublimazione ed il perfezionamento dell’anelito del mistico al rapporto diretto con il divino-, hanno dato mandato ai loro sgherri di “pacificare” ogni minimo sommovimento a suon di manganelli e gas CS. Prima che la rabbia, nutrita dalla disperazione divampi, prima che il processo d’autopoiesi del homo_consumens_graficaneracapitale sia messo in discussione, si rende necessario scatenare la folgore della violenza “legale” contro ogni forma anche minima di rivendicazione, ed allora ecco le cariche selvagge contro studenti, operai, dipendenti di sanguisughe multinazionali, sfrattati, disoccupati, ribelli, ecc…Il dio mercato esercita il suo imperio perché sa di poterlo fare, e può farlo per l’annale abitudine del “cittadino” (termine che avendo perso la patina dorata donatagli dall’illuminismo e dalle filosofie positiviste, oggi non è altro che un sinonimo di schiavo remissivo ed acquiescente) a chinare il capo ed accettare come ineluttabile ogni nuovo colpo infertogli dalla “vita” (chiedetevi, quanta responsabilità ha la religione della rinuncia, del “porgere l’altra guancia”, del “perdona il tuo nemico”, de “gli ultimi saranno i primi”, in tutto questo).
Anno del signore(?) 2013, si impone una scelta fra due possibilità. la prima è quella di continuare la marcia verso una gabbia sempre più angusta ed inospitale, verso uno sfruttamento ed una schiavitù sempre più oppressivi ed organizzati scientificamente, roba da far impallidire l’organizzazione da media impresa dei lager nazisti, oppure abbandonarsi al dolce tepore della rabbia che genera rivolta, che dona soltanto la certezza dell’imprevisto dal quale può nascere una nuova alba, a patto che ci sia la risoluzione necessaria a trasformare l’anno del “signore” nel primo istante di un nuovo big bang. Focolai si stanno accendendo in tutto il mondo, mai come oggi le prospettive per un incendio su vasta scala hanno rischiarato l’orizzonte della possibilità di abbattere il sistema di sfruttamento vigente, ma come si palesa sempre più il “vecchio” non si lascerà mettere da parte senza lottare, ben conscio che la sua possibilità di sopravvivenza consiste nello sfruttamento sempre più intensivo dei corpi e delle menti, e quindi metterà in campo ogni mezzo del quale dispone, dall’attacco economico a quello fisico a mezzo degli apparati repressivi che gli stati -succursali territoriali del capitale transnazionale- mettono a sua disposizione.
Se da un lato è auspicabile che in ogni luogo si creino momenti (più o meno effimeri o stabili) di autogestione orizzontale che dimostrino fattivamente la possibilità della libera e volontaria cooperazione, è altrettanto innegabile la necessità di rispondere colpo su colpo agli attacchi che ci vengono portati, ed occorre farlo con ogni mezzo, vincendo ogni pregiudizio, sia “etico” che ideologico; in questo senso il rifiuto aprioristico all’uso della violenza diventa null’altro che una sostanziale rinuncia a lottare radicalmente per la propria liberazione. Nessuno cederà mai volontariamente i propri privilegi. Capisco l’orrore, le resistenze, ma non è preferibile combattere per assicurarsi una possibilità futura che avviarsi stancamente verso un orizzonte che ad oggi è fin troppo chiaro?  Ad ognuno la scelta, ma almeno chi decidesse di continuare a vivere per concessione non si lamenti delle proprie disgrazie, non chieda grazie che non gli verranno rese, non si indigni per le botte fuori dalle scuole o i posti di lavoro, poiché sua è stata la scelta. Smettere di aver paura, di aver fiducia nell’istituzione, nella trascendenza dell’autorità e dello sfruttamento, questi i passi irrinunciabili.
mArco.