L’UNICO VERDETTO È VENDICARSI – V
La solidarietà sembra diventata una parola svuotata, predicata da persone ostentanti la libertà individuale al seguito della predicazione di un’idea, quella anarchica.
Un movimento attaccato alla flebo della povertà d’animo in cui la macchina sociale l’ha prodotto e rinchiuso.
Questa considerazione verrà più facilmente colta da chi con quella società non ha più niente a che fare perchè non vuole averci niente a che fare. Naturalmente non voglio discutere della sussistenza e della sopravvivenza in cui ogni essere vivente deve districarsi perchè i maghi e i preti delle parole ne farebbero avido bottino per le loro speculazioni sociali sottraendosi a un confronto diretto e sincero con le loro paure che ben si nascondono dietro lo spettro della massa popolare e che di conseguenza precludono ogni sviluppo di prospettive successive al superamento delle sudette.
Quando poi questa pietosa solidarietà implode nel totale fallimento con la pretesa di avere uno status sociale in quanto si crede di svolgere un lavoro importante e rilevante, i piagnistei si sprecano e la frustrazione dilaga.
Basta guardare bene poi per capire che più che una torre d’avorio con cui porsi come avanguardia assomiglia solamente ad un castello di stuzzicadenti.
Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.
La solidarietà non può essere che una vendetta perchè significa un legame fra due o più individui, un legame che se viene spezzato genera un’esplosione e non un’implosione nella paura del crollo del nostro castello, perchè il castello non ha alcun significato se non quello che gli attribuiamo noi individualmente come facciamo con un’autorità esterna.
Sono accusato della tentata rapina della pistola di un agente di polizia.
Episodio per la quale dal 17 ottobre 2013 sono detenuto agli arresti domiciliari nel modenese.
Per quanto stia vivendo questa prigionia non so affermare cosa sia peggio fra la repressione
e la delusione amplificata da fattori tanto semplici quanto subdoli come lo sfiatamento dei rapporti d’affinità, successivo alla frattura tra i percorsi di lotta seguiti insieme ad altri/e compagni/e prima e l’arresto in seguito, creando una spaccatura netta fra ciò che si considera mero sostegno e solidarietà rivoluzionaria.
Io non voglio questa millantata solidarietà (ricevuta o mancata che sia), oggi più che mai, diventata parvenza del cancro dell’intero movimento anarchico.
Ciò che voglio sono compagni a cui il mio pensiero si rimanda, nel tempo scandito di tanto in tanto dalle loro azioni che mi raggiungono e mi fanno stringere i pugni. Sperando poi di poter ricambiare un giorno o l’altro. Sapendo che non importa la distanza, sai di poter affidare quel pensiero di rivalsa a tutti/e i/le più probabili e improbabili compagni/e là fuori.
Ciò che voglio sono quelle “strane creature”, infinitamente diverse fra loro ma che considero egualmente fratelli e sorelle in questa guerra, le cui diversità non sono difetti ma peculiarità.
In tempi più sereni il riso e lo scherzo segnavano i primi passi della via giusta, ma altrettanto ci si riconosce con quelle stesse creature a combattere insieme nel buio e nell’ombra.
Ciò che voglio sono quelle “strane creature”, ognuna con le proprie possibilità e ognuna coi propri ritmi, dettati dalle inifite connotazioni personali e dagli infiniti fattori psicologici, fisici e momentanei. Ritrovandosi poi nei momenti pericolosi in cui escono le persone per come sono veramente, e dimostrare al nostro nemico che non potrà mai isolare coloro che costantemente cerca di reprimere e dividere.
Io voglio tutto, dichiarando guerra contro ciò che distrugge la vita e tutti coloro che sostengono qualsiasi muro di una prigione, precludendo conflitti. Solo tentando di estendere dappertutto lo stato di conflittualità permanente possiamo trovare la liberazione che cerchiamo.
Liberazione dal cemento e dal denaro.
Se questo non è il senso del risultato che bisogna ottenere,
mi domando cosa vuole dire ditruggere un palazzo;
mi domando cosa vuole dire far esplodere un bancomat;
mi domando cosa vogliano dire tutti gli ammassi teorici di parole che si continuano impassibilmente ad accumulare, in attesa di chissà quale propizio utilizzo o momento migliore in cui sfoderarle.
Dare fuoco a tutte le prigioni,
così come incendiare tutte le parole pensate e non dette;
così come incendiare noi stessi di passione.
LA MIGLIORE DIFESA È L’ATTACCO!
/Fausto Ricchi “Aksl”