Riportiamo quanto diffuso dai media di regime rispetto a questa fase della liturgia processuale inerente la cosiddetta operazione Outlaw: in sostanza un attacco mosso contro il circolo anarchico Fuoriluogo con l’intento di sterilizzare e smembrare pezzi del tessuto conflittuale bolognese.
Estintosi il clamore mediatico, il Pm Morena Plazzi ha riposto nella fondina l’aggravante di “eversione dell’ordine democratico”, concentrandosi sul reato associativo. Le condanne suggerite al collega giudicante vanno da 3 e 6 mesi a 4 anni per i tre compagni e la compagna ritenuti i “promotori dell’associazione a delinquere”, a due anni per altri dieci imputati, mentre verso sette compagne/i sono cadute tutte le accuse.
Segue resoconto dell’udienza:
Resoconto dal processo di Bologna contro il “Fuoriluogo”
La pm Morena Plazzi, nell’udienza per il processo “Outlaw” del 3 marzo 2014, ha formulato le richieste di pena. Per oltre un’ora ha ribadito il suo castello accusatorio, che uno degli avvocati nella arringa ha efficacemente definito “deserto probatorio”. L’incipit della requisitoria, del quale la pm è parsa visibilmente compiaciuta, ha riguardato l’esposizione della fine teoria secondo la quale gli imputati avrebbero costruito una cortina fumogena, quella della lotta contro i Cie e delle altre portate avanti negli anni di esistenza del “Fuoriluogo”, per poter invece operare surrettiziamente al fine di dare libero sfogo al loro impulso alla violenza e alla passione per lo scontro con la polizia. Un branco di sciacalli che si appoggiavano su battaglie condivisibili. Nessuno degli imputati, nelle loro dichiarazioni spontanee, avrebbe poi abiurato alla violenza dimostrando così la fondatezza della tesi della signora pm. Proseguendo, la signora ha spudoratamente dichiarato che il 270bis non si adatta agli anarchici, non ha quasi mai retto in tribunale, e che quindi hanno pensato di provarci con il 416, l’associazione a delinquere appunto che, parole testuali, “non ha bisogno di essere dimostrata, ma basta riferirsi al clima di paura che [il gruppo del Fuoriluogo] ha generato”.
Con un minimo di ritegno, ma proprio un minimo, ha riconosciuto che non c’erano le condizioni per sostenere l’aggravante di eversione dell’ordine democratico, aprendo per altro un buco enorme nel teorema accusatorio, e che forse alcuni degli imputati potevano pure essere lasciati liberi. Giusto per dimostrarsi disponibile a rinunciare a qualcosa, data l’assoluta assenza durante il processo di un qualsivoglia fondamento che desse sostegno all’accusa, per ottenere almeno un parziale risultato. Dunque le richieste sono: assoluzione per sette imputati, 2 anni come partecipanti all’associazione per dieci, 3 anni e 6 mesi per tre accusati di essere i promotori e 4 anni per chi è stata indicata come capa.
Tre dei difensori hanno fatto la loro requisitoria dopo quella della pm. Nell’udienza del 17 marzo proseguiranno altri e il 31 marzo termineranno le arringhe della difesa. La corte, nel pomeriggio del 31, si ritirerà in camera di consiglio per decidere la sentenza.
Per ora ci limitiamo a dire che l’intera operazione sin dal suo inizio, con arresti e sequestro dello Spazio di Documentazione Fuoriluogo, è stata palesemente voluta per liberare la città da elementi fastidiosi e per dare un segnale forte, per minacciare chiunque intenda lottare senza preoccuparsi troppo di non commettere reati, di rispettare il piano della legalità. Il summit, tra l’allora commissaria sindaco Cancellieri, funzionari della digos, Maroni ministro dell’interno e chissà chi altri, convocato a seguito di “attentati” a sedi di Eni, Ibm e Lega Nord in realtà mai contestati agli imputati, segnò l’inizio dell’operazione repressiva. Questo è l’insieme di poteri che ha sostenuto l’impianto accusatorio, del resto assolutamente infondato dal punto di vista probatorio. Non è che ciò ci sembri particolarmente strano, forniamo semplicemente la descrizione di una delle tante operazione dei “signori del sistema dominante” che abbiamo fin qui avuto l’opportunità di seguire passo per passo.
Anarchiche e anarchici sotto processo