Rivista “Avalanche”: “Percorsi liberatori d’attacco”. Testo di Nikos Romanos su organizzazione, sigle ed acronimi

Il seguente testo intende essere la continuazione del dialogo sugli strumenti dell’insurrezione anarchica e sui modi di organizarci; un dialogo iniziato ad un incontro anarchico internazionale in una campagna francese e che adesso continua da una cella del carcere in Grecia.

Le opinioni qui espresse sono i miei personali punti di vista, quindi dovrebbe essere chiaro che promuovono una posizione particolare riguardo alla questione. Tuttavia, non desidero far prevalere una posizione su tutte le altre; quello che conta è come i vari differenti, ma complementari, punti di vista comunicano e interaggiscono tra di loro. Di fronte ad un nemico che presenta tanta flessibilità per quanto riguarda l’uso e la molteplicità di mezzi e di forme d’attacco, la diversità delle considerazioni e delle pratiche da parte degli anarchici è assiomatica. Qualunque prospettiva differente non può essere promossa in modo dogmatico, bensì basandosi su un’idea base dell’attacco poliedrico.

In primo luogo dobbiamo parlare del vero e proprio concetto dell’organizzazione, una parola alquanto fraintesa negli ambienti anarchici.

Ci troviamo di fronte un nemico con delle funzioni complesse e complicate. Una delle caratteristiche principali che rendono il nemico così potente è la costante evoluzione e l’organizzazione della paranoia sociale che oggi subiamo: un’organizzazione tecnologica, militare, architettonica, civile, industriale, economica, scientifica. Ogni aspetto di questo mondo è stato organizzato, correggendo costantemente le sue imperfezioni attraverso un sistema intelligente, che presenta un enorme numero di servitori.

Di fronte a queste condizioni chiunque creda che è capace di combattere senza organizzarsi è come minimo ingenuo.

“Nel 1972 i porci mobilizzarono 150.000 uomini per dare la caccia alla RAF, utilizzando la televisione per coinvolgere la gente nella caccia all’uomo, con l’intervento del Cancelliere Federale, e centralizzando tutte le forze della polizia nelle mani della BKA; ciò ci fa capire che, a questo punto, un gruppo di rivoluzionari numericamente insignificanti è stato sufficiente per mettere in moto tutto il materiale e le risorse umane dello Stato; era già chiaro che il monopolio di Stato sulla violenza aveva dei limiti materiali, che le loro forze potevano essere esaurite, che, a livello tattico, l’imperialismo è una bestia che divora gli umani, ma a livello strategico è una tigre di carta. Era chiaro che dipende da noi sia la continuazione dell’oppressione, che la sua distruzione.” (Ulrike Meinhof)

Possiamo quindi dire che chiunque non si organizza trasformerà se stesso in un’innocua aggregazione, che prima o poi sarà assimilata dal meccanismo alienante dell’esistente. Perderanno gli attributi combattivi che li rendono pericolosi al nemico, e di conseguenza saranno deportati dal campo di battaglia antagonista.

Invece, chiunque decide di combattere il sistema avrà bisogno di organizzare la propria ostilità per diventare efficace e pericoloso. Quindi, la discussione sui modi di organizzare noi stessi, con le caratteristiche insite nei valori anarchici, inizia da qualche parte su questo punto.

Il dilemma quindi è se ci organizzeremo attraverso un organizzazione anarchica centrale che sarà il punto di riferimento per il movimento anarchico, o in maniera decentralizzata e diffusa attraverso i gruppi di affinità che manterranno la loro autonomia politica, sia nei termini d’azione che nelle decisioni collettive.

Per quanto riguarda il modo centralizzato di organizzarsi, parlerò in generale, invece di utilizzare termini specifici su chi e come ha optato per questo in Grecia.

Se guardiamo storicamente, queste due forme di organizzazione sono sempre esistite, ma mai coesistito. Nella Guerra civile spagnola gli anarchici erano organizzati a livello centrale per combattere i fascisti, e la stessa cosa è avvenuta durante gli altri tentativi rivoluzionari.

Il caso è lo stesso con la maggior parte delle organizzazioni di guerriglia urbana dei decenni passati, a cui si accostarono nuovi compagni nel contesto di un particolare progetto politico, mirando così a rafforzare l’organizzazione invece di una diffusione armata, dove l’autonomia di ogni individualità si apre alla possibilità di creare fronti caotici di attacco.

Questa comprensione dei modi organizzativi non dovrebbe essere vista separatamente dalle condizioni sociali e politiche del periodo.

I combattenti di quei periodi studiavano i loro avversari con i propri strumenti analitici, combattevano per la libertà e pagavano il prezzo con le uccisioni, sentenze pesanti, torture, sezioni di isolamento. Quelli tra di loro che non hanno rinunciato ai propri valori, fanno la propria valutazione critica delle esperienze acquisite attraverso gli anni, esperienze che ovviamente meritano studi accurati; ma se ci aggrappiamo a questo siamo destinati al fallimento. Quello che conta è cosa stiamo facendo oggi, nell’epoca in cui viviamo.

Quindi, per me, l’organizzazione centrale e il centralismo rivoluzionario sono fantasmi che dobbiamo scacciare da noi.

Inoltre, un’indicazione di questo è il fatto che tutte le organizzazione anarchiche centrali rimaste hanno mantenuto solo il glorioso marchio di quell’epoca, sprofondando nel riformismo, mentre nella vita quotidiana rinunciavano all’azione diretta e alla ribellione, e non hanno nulla a che fare con qualcosa attinente alla combattività. Si rifiutano di comprendere gli enormi cambiamenti avvenuti a livello sociale e politico, si rifiutano di parlare del grado di oppressione odierna, dell’avanzamento della scienza, della fascistizzazione tecnologica, del dominio delle multinazionali, e continuano a sciorinare teorie ideologizzate sul conflitto tra capitale e lavoro, utilizzando termini che sono stati scritti cento anni fa, in un’altra epoca del capitalismo.

Ancora peggio, si rifiutano di agire, incapaci di comprendere che se vivessero nei gloriosi tempi passati, che rimpiangono, sarebbero comunque solo delle comparse, dato che non si esporrebbero mai a dei rischi.

Ora, per quanto riguarda il centralismo rivoluzionario all’interno dei gruppi di guerriglia urbana, nonostante io capisca le cause e gli effetti che stanno dietro tale scelta, comunque ne sono contrario, perché penso che il nostro scopo non è camminare tutti insieme secondo un comune progetto-programma politico, bensì diffondere i nostri mezzi ed esortare ognuno a salvaguardare la propria autonomia, e di conseguenza contribuire alla creazione di nuove percezioni e possibilità per intensificare l’azione anarchica polimorfa.

Per questo io opto per l’organizzazione informale, che considero più qualitativa ed efficiente, per motivi che spiegherò più tardi. La componente di base che fornisce tangibilità all’organizzazione informale (e non solo) non è altro che l’azione diretta; altrimenti saremmo semplicemente un branco di ciarlatani con della retorica dissidente.

La cosa più importante per un anarchico è decidere a intraprendere l’azione, perché in questo modo l’individualità supera la paura inflitta dalla dominazione, relativa alla scelta dell’azione rivoluzionaria; quando intraprendi un’azione, superi i fattori inibitori che ti conducono all’inerzia, prendi la vita nelle tue mani e acquisti la capacità di influire in misura maggiore o minore sulle circostanze che ti definiscono la vita. Intraprendere l’azione equivale a rivendicare le nostre vite che ci sono state rubate, quindi foggiare le caratteristiche di un essere umano libero che combatte per liberarsi dalle loro catene, dai loro doveri sociali, su base quotidiana, abolendo i ruoli autoritari imposti e costruendo una cultura che genera la qualità di una vita nuova, la vita di un anarchico insorto che infligge ferite aperte taglienti al mondo odierno.

Dopo aver preso questa decisione, arriva la sperimentazione. Gli anarchici non dovrebbero avere delle posizioni fisse; loro sono costantemente in movimento, perché senza il movimento vengono portati all’autodistruzione dal dogmatismo ideologico. Loro riconsiderano le cose, criticano se stessi ed esplorano l’esperienza collettiva per adattarla al corrente periodo storico. Loro congelano il proprio cuore per sopportare il dolore e danno fuoco a ciò che resta per cancellare le tracce della loro “quieta” vita passata. Da questo punto in poi quello che conta è la lotta, ma anche la vendetta, perché chiunque abbia vissuto la violenza in prima persona e non ha cercato vendetta, ebbene si merita la propria sofferenza.

Ma torniamo alla questione della sperimentazione pratica, cioè all’azione con i suoi numerosi modi, metodi e forme.

Io penso che l’organizzazione dei nostri desideri dovrebbe essere espressa attraverso le Reti d’Azione, di elevato carattere distintivo, dove tutti saranno capaci di leggere le parole e le opere di ognuno, di trovare ispirazione, riflettere e agire assieme a noi, o combattere contro di noi. Essere visibili (in modo comunicativo) fa parte del nostro intento di realizzare il massimo grado di polarizzazione sociale, per metter in chiaro il ruolo che ognuno ha nell’edifico autoritario, e poi passare dalla critica armata ad una critica fatta di armi.

A mio parere la rivendicazione è ciò che dà significato ad un’azione, la conduce ai tuoi obiettivi desiderati e spiega, a chiunque sia interessato a rompere il circolo vizioso di oppressione e passare all’offensiva, i motivi e le ragioni che ti hanno portato a realizzarla.

Semplice e chiaro. In un mondo strapieno di informazione generalizzata e terrorismo di bombardamenti virtuali, nessuna azione può parlare da sola, finché i soggetti-autori non ne parlano.

L’elevato carattere distintivo che ho menzionato sopra si riferisce ad entrambi invariabili nomi e acronimi insurrezionali; per me i nomi invariabili nelle azioni insurrezionali sono di un’importanza particolare, perché in questo modo le tue azioni sono collegate una ad altra, e nello stesso tempo intensificano il proprio slancio.

Inoltre, il tuo discorso assume maggior importanza se è connesso alla consistenza della tua azione. Hai la possibilità di elaborare strategie d’azione insurrezionale rendendone tutto il tuo pensiero comprensibile, creare un punto di riferimento e lanciare una sfida ad agire, quindi inasprire la minaccia rivoluzionaria, spezzando il monopolio statale sulla violenza, e come anarchici rivendicare la propria parte della violenza per volgerla contro il nemico.

Passando ora all’utilizzo degli acronimi, è utile allo stesso modo ad un livello più ampio; la loro importanza principale è il loro contributo a riconoscere la resistenza che si manifesta senza un centro, ma bensì orizzontalmente e caoticamente nello stesso tempo, dipendente dalle scelte dei ribelli.

Penso che l’esistenza degli acronimi è importante anche come mezzo di propaganda. Le reti di traduzione possono svolgere il lavoro del messaggero tra i gruppi insurrezionali, indipendentemente dal fatto che questi utilizzano un acronimo o meno. Tuttavia, l’esistenza di una o più reti informali che usano gli acronimi e si riconoscono tra di loro aumenta lo slancio delle azioni, inserendole in un contesto globale, piuttosto che frammentario, e crea una struttura solida (per quanto riguarda la sua esistenza, cioè l’azione continua), che è anarchica e insurrezionale nelle sue radici.

INVECE DELL’EPILOGO

E’ ormai chiaro che nel nome della “sicurezza cittadina” sono state fabbricate minacce sociali artificiali, in modo da fornire un alibi politica per commettere i più grandi crimini statali, istituendo sempre più pratiche di controllo e di sorveglianza, e inasprendo le leggi antiterrorismo. Tutto questo con lo scopo di consentire ai cittadini privilegiati dei paesi sviluppati, che si sono aggiudicati questo prestigioso titolo, di sentirsi sicuri mentre i loro statalisti protettori intensamente e indistintamente seminano morte attorno a loro.

E’ per questo che immagino una condizione belligerante nei centri urbani, in cui i ribelli ogni giorno elaborano piani d’attacco, creando una minaccia asimmetrica che farà a pezzi la coesione sociale e la stabilità politica, e seminerà insicurezza nei centri riproduttivi del capitalismo. Il flusso regolare di merci non sarà più dato per scontato e i rappresentanti dell’oppressione vivranno nella paura.

Non abbiamo cosa aspettare, quindi organizziamoci e colpiamo la società del capitalismo; le azioni rivoluzionarie formano le condizioni oggettive, allora moltiplichiamole.

Forza a tutti i compagni detenuti e fuggitivi.
Forza a 4 anarchici in sciopero della fame in Messico*

Nikos Romanos
Dikastiki Filaki Koridallou, E Pteryga,
18110 Koridallos, Atena, Grecia

Ottobre 2014

*Nota: Quando questo testo è stato scritto, Fernando Bárcenas, Abraham Cortés Ávila, Carlos López Marín e Mario González, detenuti nelle differenti carceri in Messico, erano ancora in sciopero della fame. Il 17 ottobre 2014 i compagni hanno fermato il loro sciopero. Il 31 ottobre Mario è stato rilasciato dal carcere. Libertà per tutti!

Traduzione: RadioAzione [Croazia]
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