dossier Pistoia:C R O N A C A D I U N A R A P P R E S A G L I A



                                                                                                           

                                                                                                                                              
Cos’è l’ex Circolo 1° Maggio

Il 18 ottobre 2008, a Pistoia, i “fascisti del terzo millennio” (così si autodefiniscono i “bravi ragazzi” di casa pound) inaugurano un loro covo in via di Porta San Marco al numero civico 161, facendolo passare per un circolo culturale (nome: Agogè).
Nei giorni precedenti gli esponenti della Rete Antifascista Pistoiese cercano di mobilitare il quartiere; si organizzano alcune riunioni, si da forma ad un Comitato Antifascista che indice una Manifestazione sotto forma di PRESIDIO in Piazza San Lorenzo, simbolo del quartiere, che ha visto la ferocia nazi-fascista degli anni ’40. Sei inermi cittadini il 12 settembre 1943 vennero fucilati al muro del convento su questa piazza.
La risposta al PRESIDIO è forte e partecipata. Molti proletari del quartiere rispondono all’appello, tutti i sinceri Antifascisti di Pistoia sono presenti in piazza San Lorenzo.
Nei giorni successivi diversi Antifascisti del quartiere si riuniscono dietro la spinta di questa Manifestazione: prende corpo il Comitato Antifascista San Lorenzo.
Nelle settimane seguenti si cercherà una sede all’interno del quartiere dove organizzare un “Presidio Permanente contro il fascismo”. Non possiamo dimenticare che sempre in questo quartiere “storico” della Pistoia proletaria e antifascista, hanno trovato collocazione anche i nazisti di Forza Nuova (via San Bartolomeo, 6), almeno fino a quando non abbiamo visto il cartello: “affittasi” (novembre 2009).
In via di Porta San Marco, al numero 38 c’è l’ex Circolo ARCI 1° Maggio. E’ chiuso da due anni. Si chiedono le chiavi per poter effettuare alcune iniziative. Non senza difficoltà, dopo una non facile discussione, viene concesso l’utilizzo di questi locali.
Per un anno l’ex Circolo 1° Maggio rappresenterà, e tuttora rappresenta un PRESIDIO antifascista nel quartiere. Le iniziative per diffondere conoscenza e creare coscienza antifascista fanno di questo spazio un punto di riferimento per tutta la città.
Presentazione di libri, con gli autori, sulle nuove destre; proiezioni di documentari sulle Lotte di Resistenza dei Popoli oppressi e/o occupati; serate di solidarietà con i lavoratori in lotta, iniziative per i bimbi del quartiere (festa di carnevale, burattini ecc.), spettacoli teatrali a sfondo antifascista come quello dell’attrice Salvatori sul massacro di Sant’Anna di Stazzema. Tutto questo rappresenta l’ex Circolo 1° Maggio.

L’Assemblea

All’ex Circolo 1° Maggio si svolge dunque un’attività non solo antifascista e sebbene concentrata nel quartiere, rappresenta comunque una realtà viva e forte nel movimento pistoiese.
Per questo alcuni compagni chiedono al Comitato Antifascista San Lorenzo di voler ospitare un’Assemblea regionale di un costituendo Coordinamento contro le ronde fasciste e razziste.
La proposta crea discussione tra gli aderenti al Comitato. Si comprende che, sebbene l’attività sia di quartiere, questa deriva fascista delle ronde rientra in un più ampio intervento contro la fascistizzazione della società. Si concorda nel mettere a disposizione i locali dell’ex Circolo per questa Assemblea.
La data viene fissata per domenica 11 ottobre alle ore 16.30.
L’assemblea quindi viene pubblicizzata, come di consueto, tramite alcuni siti internet e alcuni blog, nonché via e-mail. Tutti strumenti che la polizia (leggasi Digos) tiene sotto controllo.
Pertanto la Questura di Pistoia, nel suo continuo monitoraggio dell’attività delle organizzazioni antagoniste è a conoscenza di questa iniziativa. E non scriviamo “ipoteticamente”, in quanto ce lo confermerà il questore Manzo in una dichiarazione riportata da Il Tirreno di martedì 13, come possiamo leggere poco oltre.

Alle ore 16.00 come previsto alcuni esponenti del Comitato di San Lorenzo aprono i locali e successivamente cominciano ad arrivare gli aderenti al Coordinamento contro le ronde. Chi conosce Pistoia arriva con l’auto nei paraggi, parcheggia e raggiunge a piedi il Circolo. Altri compagni, che magari hanno contatti con compagni pistoiesi collocano l’auto al parcheggio dell’ex Breda, più facile da raggiungere uscendo dall’autostrada e fissano di farsi venire a prendere. E’ il caso di Alessandro Della Malva e la sua compagna Katiuscia. Juri, anche lui in compagnia della sua compagna, lo raggiunge e lo accompagna in via San Marco, dove arrivano alle ore 16.20. Parcheggia l’auto per vedere chi c’è già, nonostante abbia fissato di andare alle ore 16.30 alla stazione a prendere due compagni che provengono da Prato in treno. Riparte insieme alla Laura ed è obbligato dal senso unico della via a passare davanti a casa pound, dove viene visto e riconosciuto da Dessi Massimo, che si trova sulla porta del covo neo-fascista. Alle 16.43 circa sono alla stazione dove incontrano i due compagni di Prato e insieme si dirigono in auto al Primo Maggio che raggiungono alle ore 17.05.
La Digos già staziona e controlla l’ex Circolo. A tutti e quattro gli antifascisti vengono presi i documenti.
Intanto l’Assemblea era iniziata regolarmente all’ora stabilita con tutti i compagni presenti eccetto questi che arrivano appunto alle ore 17.05 circa.

Alle ore 16.40/42 una pattuglia della Digos era arrivata all’ex Circolo e introducendosi nei locali identificava tutti i presenti.
Da quel momento questa stessa pattuglia stazionerà davanti ai locali e prenderà i documenti a tutti (o quasi) coloro, a questo punto pistoiesi, o del Comitato di San Lorenzo che sopraggiungono successivamente.

   Testimonianza di Katiuscia

Siamo arrivati a Pistoia io e Alassandro con la mia macchina una Peugeot 207 nera alle ore 14.00
circa…abbiamo parcheggiato in centro lungo un viale che porta al duomo (non so essere più precisa perché Pistoia non la conosco) abbiamo passeggiato lungo il viale, c’era un mercatino in una piazza e l’abbiamo girato tutto, poi siamo arrivati al duomo dove ho anche fatto tre foto (in quel momento mi sentivo tipo una turista senza immaginare cosa sarebbe successo da li a poco) poi verso le 15 abbiamo ripreso la macchina e ci siamo fermati presso la gelateria Parè a prendere un gelato e lo abbiamo mangiato seduti ai tavolini…poi ci siamo diretti presso il parcheggio ex Breda dove avevamo appuntamento con tutti gli altri per dirigerci poi al circolo 1° Maggio per fare la riunione. Ci siamo dati appuntamento lì all’ex Breda proprio perché non conoscendo Pistoia non sapevamo come raggiungere il circolo. Siamo arrivati al parcheggio verso le 15.50 e li abbiamo trovato Juri e Laura che erano appena arrivati… pian piano sono arrivati tutti e siamo partiti per dirigerci verso il 1° maggio. Io e Ale abbiamo lasciato la mia macchina all’ex Breda e siamo saliti sulla macchina di Juri.Alle 16.20 siamo arrivati al circolo e siamo rimasti lì e non siamo più usciti fino a che la DIGOS non ci ha portato in questura.  
    

     Ma cosa era accaduto?

Vediamo da una breve lettura dei giornali locali dei giorni successivi cosa è accaduto domenica 11, nello stesso momento in cui si svolgeva l’assemblea all’ex circolo 1° Maggio.

     “Un gruppo di circa 15 persone ha assalito oggi pomeriggio (domenica 11) intorno alle 16.30 il circolo….”
 Il Tirreno (on line) art. 1746075 – domenica 11 ottobre
     “Non abbiamo riconosciuto nessuno – dice ancora Tomasi – anche se gli aggressori hanno agito a viso scoperto.”  
La Nazione – lunedì 12 ottobre – Cronaca di Pistoia pag. 1
     “Intorno alle quattro e mezza di ieri pomeriggio un gruppo di circa 20 persone ha fatto irruzione all’interno del circolo ……Testimoni confermano le parole di Tomasi: ragazzi giovani”
 Il Tirreno – lunedì 12 ottobre – pag 7
     “Al Primo Maggio domenica c’era un’assemblea in corso, con militanti dei Carc di altre città toscane, che sono stati portati in questura per accertamenti”.
dichiarazione del questore Manzo  Il Tirreno – martedì 13 ottobre pag. 11
     “Nel pomeriggio di domenica, una quindicina di persone a volto scoperto…hanno fatto irruzione a Casa Pound dove si trovavano un militante e il consigliere comunale di Alleanza Nazionale, e dirigente regionale dei giovani del PDL, Alessandro Tomasi, 30 anni.”
La Nazione mercoledì 14 ottobre Cronaca di Pistoia pag.5

La RAPPRESAGLIA

Sui giornali leggiamo che l’incursione a casa pound è avvenuta “intorno alle ore 16.30”. Un poco dopo. Infatti sappiamo con certezza che la comunicazione telefonica che avvisava dell’avvenimento è giunta alle ore 16,37.
Ma soprattutto sappiamo che la persona che dalla finestra di casa assiste all’irruzione (il quale però, come del resto il Dessi e il Tomasi, non saprà riconoscere nessuno degli aggressori) al telefono chiama il 112, ossia i Carabinieri.
Può sembrare un aspetto secondario,  ma sicuramente non lo è.
MISTERO L’INTERVENTO DELLA DIGOS IN MENO DI 4-5 MINUTI?
NO! NESSUN MISTERO!
La Questura già aveva predisposto un “monitoraggio” dell’Assemblea al 1° Maggio. Dunque niente di strano se la Digos era già a controllare il Circolo.

E questo gli permette di sapere che nessuno degli aggressori è entrato al 1° Maggio. Sono ben coscienti dell’innocenza degli Antifascisti.
E noi sappiamo che è tutta una MONTATURA. Voluta da chi? voluta per cosa? Queste sono domande che poniamo.

Più sopra dicevamo che intorno alle ore 16.40/42 una pattuglia della Digos, comandata dall’ispettore Milicia Roberto, si portava in via di Porta San Marco, 38 e introducendosi nell’ex Circolo identificavano tutti i presenti.
Ovviamente senza dare alcuna giustificazione di ciò e lasciando i presenti esterrefatti di questo abuso.
I tempi ci portano ad ipotizzare che questa pattuglia si sia mossa dalla questura per dirigersi direttamente all’ex circolo 1° Maggio senza prima recarsi sul luogo dell’aggressione, o, come detto sopra, era già in loco.
Come non pensare che gli ordini impartiti a questa pattuglia erano di identificare tutti i presenti all’assemblea che la questura sapeva svolgersi al Primo Maggio?
Come pure a tutti coloro che raggiungeranno l’ex circolo nelle ore successive.

Ma possiamo ipotizzare una seconda direttiva avuta da questa pattuglia: tenere sotto monitoraggio l’ex circolo e impedire che qualcuno si potesse allontanare.
Ovviamente nessuno ha pensato di allontanarsi, anche per il solo fatto che neppure sapevano cosa era accaduto appena 200 metri oltre. L’Assemblea è proseguita nella più totale tranquillità e serenità. Anche questo denota la totale ignoranza dei partecipanti di quanto avvenuto a Casa Pound.

Il comportamento degli agenti ci induce a pensare che questi permanessero in via San Marco anche e soprattutto in attesa di “ordini superiori”.
Quali?
Quelli che si stavano decidendo in questura in una ipotetica riunione.
Riunione diretta da chi?

Non dimentichiamo che nel frattempo il consigliere comunale del PDL, che fino ad allora si trovava nel covo di casa pound, Tomasi Alessandro era stato condotto proprio in Questura.
Fino a che punto può essere influente un’esponente del PDL nel determinare un’operazione come quella scattata nelle ore successive?

Occorre anche pensare che Tomasi non verrà ascoltato nei giorni seguenti, mentre solo al Dessi si dà il compito del riconoscimento.
Riunione che pensiamo si protrae fino verso le 18.00-18.30.
Infatti, alle ore 18.30 circa allorché l’Assemblea al Primo Maggio ha termine, con un tempismo che spesso manca in situazioni di ben altra importanza, sopraggiungono sul luogo diverse auto di polizia e carabinieri.

E mentre i presenti all’Assemblea si salutavano e si dirigevano verso l’uscita un numero consistente di poliziotti ne impedivano la sortita, affermando che nessuno poteva lasciare il Circolo. Intimano che si deve perquisire l’ambiente. Momenti di discussione: richiesta del mandato di perquisizione, richiesta delle motivazioni. Niente di niente. Niente di più ILLEGALE!

E così, mentre i circa 20 partecipanti all’Assemblea vengono DEPORTATI in questura si procede alla perquisizione minuziosa di tutti gli angoli del Circolo. Risultato: “La perquisizione iniziata alle ore 18,45, terminava alle ore 19,30 successive con esito negativo per quanto riguarda il rinvenimento degli oggetti di cui sopra” (armi, n.d.r.) così leggiamo nel verbale di perquisizione redatto successivamente in questura. Norma che fuoriesce da ogni pratica che vuole la redazione del verbale nel luogo stesso della perquisizione. Ripetiamo: senza alcun mandato, ma si appellano ad un art. 41 t.u.l.p.s

 

E’ d’obbligo aprire qui una finestra sulla perquisizione, come si legge sul verbale “ex art. 41 T.U.L.P.S. (Testo Unico di Pubblica Sicurezza R.D. 18 Giugno 1931).

 “Il profilo della legittimità della perquisizione nell’ambito della disciplina speciale appare quanto mai ambigua”
“La perquisizione nella disciplina speciale”  dott. Antonio Calafiore.
Ed ancora: “In materia  di perquisizione sul posto, l’art. 41. 22.05.1975, n. 152 rappresenta un esempio eloquente in quanto palesa evidenti lacune nel momento in cui non indica tassativamente quei requisiti di “necessità e urgenza” che dovrebbero sottendere alla esecuzione dell’atto”.

Ed infine: “Anche l’art. 41 t.u.l.p.s., infatti, consentendo agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria di effettuare perquisizioni, anche per indizio, lascia alla libera iniziativa, e alla valutazione discrezionale, degli organi di polizia il potere che la Costituzione, all’art. 13 comma 3°, riserva invece a questi organi solo in via eccezionale, in casi di necessità e di urgenza tassativamente indicati dalla legge.”
    
 
Testimonianza di Antonio

Abito non lontano dall’ex circolo 1° Maggio e facevo parte del Comitato Antifascista San Lorenzo. Domenica 11 ottobre ho pranzato con mio figlio e la mia compagna. Successivamente, verso le 16.30, mentre la mia compagna doveva passare da casa sua, io mi sono recato presso l’ex circolo per partecipare all’assemblea regionale, o quanto meno vedere di cosa si trattasse.
Mi incammino e raggiungo via di San Marco n° 38, circa alle ore 16.45, parcheggiata davanti ai locali vedo un’auto civetta della Digos e alcuni agenti, tra cui riconosco l’ispettore Milicia.
Entro nel circolo, al momento ci sono solo i circa 20 antifascisti che partecipano all’assemblea, che si svolge nella sala a sinistra sul fondo. Tutto il resto del circolo è lasciato incustodito. Pertanto decido di rimanere all’ingresso per evitare brutte visite. E qui rimarrò tutto il pomeriggio, avendo un paio di discussioni con l’ispettore Milicia.
Alle ore 18.30 circa, al momento dell’incursione in massa di un numero inspiegabile di poliziotti, vengo preso dalla polizia  quale responsabile per il Comitato per la perquisizione che intendono svolgere.
Mi accordo con un capitano (così penso, dal numero di stelle e di cui non
conosco il nome, ma potrei in qualsiasi momento rintracciare) che afferma di essere il dirigente di questa operazione. Chiedo che la perquisizione venga
effettuata da un numero congruo di agenti. Ci accordiamo su un numero di circa 5-6 che si identificano, comunque sono tutti in divisa. Chiedo e ci accordiamo che tutti gli altri agenti non interessati alla perquisizione

rimangano fuori dai locali, in modo da non intralciare e creare disagi. Per il Comitato, oltre al sottoscritto, rimangono altre 3-4 persone. Tutto procede tranquillo per una quindicina di minuti, con la minuziosa  ispezione di alcune stanze. In seguito sarò costretto ad invitare il capitano responsabile della perquisizione a chiedere ad alcuni agenti in borghese introdottisi nei locali ad uscire. Ad un primo invito questi lasciano il terreno. Non passa che pochi minuti e la  circostanza si ripete e questa volta ad introdursi nei locali sono un numero assai alto di agenti della Digos e verosimilmente anche di altre squadre. Si crea una situazione di vera e propria confusione dove un agente in borghese con una borsa a tracolla “sospetta” si aggira per i locali.
Ma è costretto ad uscire velocemente così come era entrato, presumo dopo che si è reso conto di non poter svolgere un qualche compito che gli era stato commissionato.    

In questura

Alcuni avvenimenti anormali accadono all’interno della questura.
Appena condottovi, Alessandro Della Malva viene immediatamente isolato dai rimanenti antifascisti e portato in altra stanza, anzi nel sotterraneo. Per fortuna la sua compagna Katiuscia chiede di rimanere accanto a lui e questo non lo possono negare se non vogliono da subito dichiarare le loro reali intenzioni.
Nell’ingresso, dove permangono le persone che erano sopraggiunte nel periodo successivo alla prima identificazione (tra cui Juri), vi è pure una ragazza bionda, inizialmente in compagnia di un altro giovane che dopo non molto si è allontanato, la quale si identifica, quando interpellata, come: “sono la fidanzata dell’aggredito”. Trattasi della fidanzata di Tomasi, la quale per lungo periodo prende appunti in un blocchetto. Cosa? Forse descrive le persone presenti fisicamente e nei loro abiti? Possiamo ben pensare a questo in quanto un’antifascista (Juri), sempre rimasto nell’ingresso e che uscirà dalla questura senza alcun provvedimento, risulterà tra i quattro posti agli “arresti domiciliari” lunedì 9 novembre. E più avanti vedremo le motivazioni del “fermo”.
Per almeno 3-4 ore a nessuno viene data alcuna motivazione della deportazione in questura, solo molto dopo si affermerà che sono lì per essere identificati; ricordiamo che l’identificazione di tutti gli antifascisti deportati era avvenuta nel primo pomeriggio alle ore 16.45 circa.
Così come è accaduto nel pomeriggio, in cui la questura si è presa due ore per decidere l’operazione da effettuare, così adesso si prendono ancora più ore per “COSTRUIRE” qualche prova in modo da poter dare corpo alla RAPPRESAGLIA decisa nell’ipotetica riunione pomeridiana.

Solo alle 5 del mattino successivo si informerà che per 3 antifascisti è scattato il “fermo giudiziario” e posti agli arresti (uno in carcere e due ai
domiciliari) mentre per altri 9 scatta una denuncia oppure escono dalla questura come “fortemente indiziati” (è il caso di Marco).

9 Novembre

Trascorrono ben 29 giorni e lunedì 9 novembre quattro antifascisti tra quelli deportati in questura l’11 ottobre vengono perquisiti nelle loro abitazioni e vengono sottoposti al provvedimento degli “arresti domiciliari”.
Due di Pistoia (Juri, 32anni  e Marco, 29 anni) e due di Livorno (Lorenzo e Selvaggio).
La perquisizione, almeno per quanto riguarda i due pistoiesi è alquanto stramba.
A casa di Juri non si scomodano molto.
Semplicemente: subito chiedono una maglietta di una determinata marca con un determinato disegno. Era la maglietta che Juri indossava domenica 11 ottobre, quando è stato deportato in questura dove è rimasto varie ore. E vogliamo ricordare che è sempre rimasto nell’ingresso dove era la fidanzata di Tomasi.

Non possiamo con certezza affermare che questa abbia passato alcune ore con il camerata suo fidanzata (consigliere comunale) e da questi abbia preso
ordini precisi su quello che avrebbe dovuto fare in questura appena avessero portato coloro che erano alla riunione al Primo Maggio. Però la sua tranquillità,
il suo prendere appunti e successivamente allontanarsi con ancora maggiore tranquillità ci porta a pensare un qualche suo ruolo in tutta questa faccenda.

Non potevano certo portarsi via solo la maglietta, troppo evidente.
Ma tutto l’altro materiale sequestrato consiste in volantini (distribuiti), giornali, libri e altro materiale che possiamo trovare in qualsiasi libreria.

A casa di Marco invece si chiede subito di un cappellino con visiera color verde. Marco ne ha diversi di questi cappellini con visiera e quasi tutti color verde. Lui che porta sempre uno di questi in testa. Centinaia di foto lo possono ben dimostrare. Prendono quello che indossava la domenica 11 ottobre, e non si sbagliano; sono ben sicuri di quello che devono prendere. Era stato in questura più di dieci ore: sotto le telecamere di sorveglianza. A Marco si arriva a sequestrare il computer. Ci pare un po’ strano che questo lo si possa far passare per “corpo di reato”. Più facile pensare ad un accanimento poliziesco contro un vero antifascista.
Eppure con questi banali oggetti di riconoscimento (che comunque non possono costituire alcuna prova, visto quanto detto in precedenza) Marco e Juri rimangono tuttora ai domiciliari

Si può ben pensare che questo sia unicamente: ACCANIMENTO GIUDIZIARIO.
Accanimento giudiziario che il p.m. Luigi Boccia  e il G.I.P. Matteo Zanobini  portano avanti senza motivazioni giuridiche di sostegno.
Dopo 29 giorni difficilmente ci si può appellare alla “reiterazione del reato”, al “pericolo di fuga”, alla possibilità di “inquinare le prove” per giustificare un provvedimento di arresti domiciliari.

Come minimo tutto questo sarebbe ridicolo se non fosse vero che quattro antifascisti si trovano tuttora agli arresti domiciliari.
Del resto siamo di fronte ad una indagine costruita a tavolino: con “fonti confidenziali” (il classico dito che vorrebbe coprire il gigante), con testimoni che ci sono ma non esistono, con riconoscimenti fatti due giorni successivi.

Come possiamo non pensare ad un “inquinamento delle prove”?
In due giorni si può aver letto gli “appunti” della fidanzata,
si può aver visto le riprese della  Questura,
ma soprattutto: si può essere “imbeccati”.
Dopotutto è lo stesso Tomasi Alessandro (consigliere comunale) a dirci, tramite La Nazione di lunedì 12:
“NON ABBIAMO RICONOSCIUTO NESSUNO”

Una domenica pomeriggio in Grecia… | foto

Breve resoconto, parziale, di quel che è accaduto il pomeriggio di domenica 6 dicembre 2009 in Grecia.

fonte: lib.comtraduzione: http://culmine.noblogs.org/foto: varie agenzie

Disordini sono scoppiati ad Atene e Salonicco durante il primo
giorno dell’anniversario dell’omicidio di Alexis Grigoropoulos con la
polizia che ha dimostrato estrema brutalità lasciando due persone
gravemente ferite da una carica con le moto ad Atene.

Brutalità della polizia durante le manifestazioni per commemorare il
primo anniversario dell’assassinio di Alexandros Grigoropoulos. Oggi
c’è stata una operazione di polizia caratterizzata da barbarie e da
violenza contro i manifestanti in tutta la Grecia. Sotto gli ordini dei
socialisti la violenza della polizia ha lasciato decine di feriti.

Ad Atene la marcia di protesta convocata alle 13:00 a Propilei è
stata attaccata dalle forze di polizia anti-sommossa, prima ancora di
partire. I manifestanti hanno lottato erigendo barricate di fuoco e
costringendo la polizia a ritirarsi con l’utilizzo di pietre. I
manifestanti anche occupato la sede rettorale dell’Università di Atene
nel Propilei, ammainando la bandiera greca e sostituendola con una
bandiera nera. La marcia s’è poi diretta verso piazza Omonia, dove
degli scontri hanno avuto luogo e alcuni negozi sono stati distrutti e
dati alle fiamme. A piazza Syntagma forze di polizia motorizzate (il
team Delta) caricano i manifestanti, lanciando anche delle pietre
contro
i compagni. Per via dell’orgia di violenza poliziesca, un membro
anziano del Partito Rivoluzionario dei Lavoratori-trotzkista (EEK) è
stato segnalato essere in gravi condizioni a causa delle lesioni
riportate; gravemente ferita anche un’anziana militante.  Al momento
sono 60 i manifestanti fermati dopo questa carica.

A Salonicco, il corteo di 3.000 manifestanti è stato caricato dagli
agenti anti-sommossa con lacrimogeni e bombe assordanti. Da lì sono
iniziati gli scontri. La polizia ha circondato circa 200 manifestanti
al di fuori del Ministero di Macedonia e Tracia, ma sono stati liberati
dal resto del corteo. La notte precedente, la polizia ha
fatto
irruzione nel Politecnico di Salonicco arrestando 8 persone. Secondo
fonti di polizia, gli 8 avrebbero attaccato l’Expo internazionale con
delle molotov.

A Larissa, il corteo di protesta è stato caricato dalle forze
anti-sommossa. Durante gli scontri che ne sono seguiti, sono state
distrutte delle telecamere a circuito chiuso, lanciate pietre ed erette
barricate.

Bologna – Falso allarme bomba in tribunale e altro

Sfogliando "L’informazione" di venerdì 4
dicembre veniamo a sapere che la mattina precedente il tribunale è
stato evacuato a seguito di un’allarme bomba rivelatosi poi falso.

"Verso le 9.30 una voce mascile ha telefonato al centralino di via
Garibaldi annunciando due bombe che sarebbero esplose di lì a poco. A
quel punto è scattato il piano di evacuazione per facilitare il lavoro
di bonifica da parte della polizia. Dapprima del vecchio Tribunale dove
si svolgono le udienze del monocratico e poi in via Garibaldi. Verso le
11.30, al termine dei controlli, sono rientrati tutti e sono riprese le
normali attività.

Sempre dai giornali :

Qualche giorno fà il carlino riportavano anche la storia di un
signore di una certa età pizzicato nottetempo nei pressi della
struttura psichiatrica in cui era ospite durante il giorno. Lì veniva
fermato dai carabinieri con,
a loro dire, addosso cacciaviti
coltelli ed una molotov. Secondo gli inquirenti le sue intenzioni
sarebbero state quelle di fare irruzione nel posto "per danneggiarlo".

Atene – Rilasciati i 5 compagni italiani | Solidarietà con tutti gli arrestati

Apprendiamo dai media che i 5 compagni italiani
arrestati durante gli scontri di Atene sono stati rilasciati e sono
stati consegnati loro i passaporti. Dovranno presentarsi a processo il
16 dicembre.
Che la lotta e la rabbia dilaghino ovunque.


La rivolta brucia ancora…
Solidarietà agli/alle arrestati/e!

Il 6 dicembre dello scorso anno, nelle strade di Exarchia ad Atene,
la polizia greca uccide a freddo, dopo uno scambio di insulti, lo
studente quindicenne Alexis Grigoropoulos.
Questo evento è stata la scintilla che ha fatto esplodere rivolte spontanee in tutta la Grecia.
Nonostante
i media nazionali ed esteri abbiano tentato di coprire e minimizzare
gli eventi, in molti non hanno creduto alla solita storia della “mela
marcia” all’interno dell’apparato poliziesco. Anzi, le rivolte
generalizzate sono nate proprio dalla consapevolezza diffusa che
l’autorità uccide e, se non uccide, rende la vita un inferno, in Grecia
come nel resto del mondo.
Nel corso di questo anno le proteste e
le lotte si sono estese su tutti i fronti, ma anche la repressione si
è  intensificata in tutte le sue forme:processi farsa, arresti
preventivi, perquisizioni, cariche della polizia ai cortei, squadracce
di fascisti scortate dalla polizia che attaccano spazi temporaneamente
liberati.
Negli scorsi giorni numerosi compagni da tutta Europa
sono accorsi in Grecia per ricordare la morte di Alexis e dimostrare
che quella rabbia brucia ancora.
Il 5 dicembre un’operazione di polizia ha portato all’arresto di diversi manifestanti tra i quali alcuni nostri compagni.
Oggi
siamo qui non solo per portare solidarietà agli arrestati, ma perché la
loro lotta è anche la nostra e per ricordare ai vari potenti che la
possibilità di sovvertire l’esistente non è mai definitivamente sopita.

Martedì 8 dicembre alle ore 11
Presidio presso il consolato Greco in via Gramsci, 5 Napoli
Anarchici e anarchiche solidali/e

Pubblicato in ARTE

“A – Cerchiata” da Eléuthera.

“A – Cerchiata” è il titolo del volume
edito da Eléuthera. 128 pagg. ill., euro 20,00.
Per ulteriori info: www.eleuthera.it

Graffitata
sui muri della protesta, ma impressa anche su zainetti, magliette,
ciondoli e cappellini, fino al più improbabile intimo maschile, la
A-cerchiata è un segno talmente conosciuto e riconosciuto che ha finito
con l’essere considerato un simbolo tradizionale dell’iconografia
libertaria.
In realtà, come ci raccontano i suoi ideatori, ha poco
più di quarant’anni: la A-cerchiata nasce come progetto nel 1964 a
Parigi, all’interno di una piccola rete di giovani anarchici, ma
comincia la sua vita pubblica nel 1966 a Milano sui volantini e
manifesti della Gioventù Libertaria. Di lì a poco, l’esplosione del
1968 – e la provvidenziale invenzione delle bombolette spray – farà
rotolare il simbolo nelle strade di tutto il mondo.

Questa inedita storia per immagini, insieme ai racconti che le
accompagnano, ne ripercorre la sorprendente, e spesso bizzarra,
diffusione planetaria sulla spinta della passione libertaria prima e
della cultura punk poi, fino al recente sfruttamento commerciale.

Un viaggio nell’immaginario contemporaneo che dà conto delle molteplici
interpretazioni – spesso inaspettate, talvolta contraddittorie – di un
simbolo nato con una forte connotazione specifica e diventato nel tempo
uno dei segni più usati per significare non solo anarchia, ma anche
rivolta, rifiuto, anticonformismo, trasgressione nelle più svariate
declinazioni.

 

Milano 1966 – Milano 2008
Intervista
ad Amedeo Bertolo

Amedeo
Bertolo aveva 25 anni quando, nel 1966, tracciava su matrici per
ciclostile le prime A-cerchiate «italiane». Docente universitario, si è
sempre occupato di editoria libertaria. Nel 1971 è tra i fondatori del
mensile «A rivista anarchica» e dal 1986 è uno dei responsabili di
Elèuthera.

Sei uno dei padri della A-cerchiata…

Solo
un padre adottivo. La A-cerchiata è stata ideata e «lanciata» a Parigi
nel 1964. Ma il lancio è stato un flop. A Milano, due anni dopo,
abbiamo ripreso e rilanciato l’idea. Questa volta il lancio ha
funzionato.

Quando hai cominciato a fare A-cerchiate ti aspettavi in qualche modo questo successo mondiale?

No.
Nessuno di noi della Gioventù Libertaria si aspettava gran che. O forse
sì: l’unico che fece qualche obiezione all’adozione del simbolo, lo
fece argomentando che era troppo semplice e dunque «falsificabile».
Chiunque avrebbe potuto firmare così qualsiasi cosa. Ne temeva cioè un
eccessivo successo (la sua generale identificazione come «firma»
anarchica) per potenziali usi distorti o comunque indesiderati.

Riesci
a ricostruire in che modo la A-cerchiata sia arrivata in Germania,
negli anni Settanta, diventando il simbolo degli Autonomen tedeschi? È
stata modificata o si è mantenuta quella «originale»?

Non
so come sia avvenuto il passaggio. Ormai la A-cerchiata aveva
cominciato a viaggiare libera per il mondo. Ma posso immaginare che la
scelta della A-cerchiata come simbolo sia stata fatta dagli Autonomen
tedeschi per connotarsi in senso libertario rispetto agli autonomi
italiani, di formazione marxista, che firmavano con la
falce-e-martello. E posso immaginare che la «loro» A fuoriesca dal
cerchio (come quella dei punk) per comunicare un ulteriore senso di
«rottura» dell’ordine e di eterodossia anche rispetto alla tradizione
anarchica. Ma forse è stata solo una casuale scelta estetica,
moltiplicatasi per imitazione. Oggi quella A-cerchiata è usata dagli
anarchici indifferentemente con quella «canonica», un po’ ovunque.

Qual è l’uso più originale, o che ti ha fatto più piacere, tra tutte le declinazioni della A-cerchiata che hai incontrato?

Ti
posso dire qual è quella che mi piace di più, per la sua eleganza
formale. È quella disegnata nel 1972 da mio fratello, Gianni, per la
testata della rivista anarchica «A»: una A con le grazie, in negativo
su fondo circolare nero, che è una mutazione della precedente testata,
anch’essa molto bella, a mio parere.

Sembri
piuttosto affezionato all’uso «filologicamente corretto» del simbolo:
le tue A-cerchiate preferite stanno nei margini del cerchio, non
sbordano, non hanno fronzoli… cosa ne pensi delle interpretazioni,
degli usi e abusi, dal punk al mondo della moda?

Pregevole
flessibilità del segno. E penso che siano inevitabili gli usi impropri,
abusivi, stravolti, commerciali di un segno che si è inscritto
nell’immaginario collettivo.

È
incredibile che, nel giro di poco più di quarant’anni, la A-cerchiata
si sia inserita talmente bene nei flussi dell’immaginario da perdere di
fatto le sue origini storiche a favore di una sorta di mitologia (come
le leggende diffuse su Wikipedia: la A-cerchiata attribuita a Proudhon,
quella avvistata sull’elmetto di un miliziano spagnolo…).

In un recente romanzo (Death at Victoria Dock,
di Kerry Green), ambientato a Melbourne nel 1928, un gruppo di emigrati
lettoni usa come segno distintivo la A-cerchiata tatuata sulla
clavicola (gli uomini) e sul seno (le donne). Mi aspetto che su
Internet prima o poi qualcuno vi si riferirà per «dimostrare»
l’anzianità del segno… Che nascano leggende attorno a un simbolo è
forse inevitabile e denota il suo successo. E poi forse piace più
un’origine mitica di una tutto sommato banale.

A
questo proposito, ti lancio una provocazione: l’A-cerchiata non ha
forse bruciato le tappe, fino a trasformarsi da simbolo unificante dei
movimenti anarchici in simbolo tuttofare, per indicare genericamente
«caos»? La cosa ti disturba o dopo tutto va bene così?

Mi
sembra che il significato di «caos» (magari nel senso della teoria del
caos) o meglio di rivolta contro-tutto-e-contro-tutti (persino nella
sua versione banalizzata e consumistica) possa convivere con la
connotazione più propriamente anarchica. Effetti non previsti di moto
caotico.

Mi è capitato di incontrare
dei ragazzi di Pieve Vergonte, un paese della Val d’Ossola, che mi
parlavano della A-cerchiata come di un simbolo in origine anarchico, ma
arrivato a loro attraverso il punk inglese… Dobbiamo rassegnarci a
una cultura anglo-sassone che sembra fagocitare tutto (e magari
«mettere sotto copyright» le prossime invenzioni per mantenerne la
correttezza filologica), oppure è un obiettivo sensato parlare di
anarchia in tante lingue, in molti modi, scommettendo sulla traduzione
culturale e la re-interpretazione creativa?

La seconda che hai detto.

Dopo quarant’anni la A-cerchiata è invecchiata come la fiaccola anarchica oppure può ancora funzionare?

Il
simbolo mi sembra ancora efficacissimo, sia come segno di rivolta
antiautoritaria sia come «firma» dei molteplici anarchismi
contemporanei. Il problema rimanda piuttosto alle forme e ai contenuti
delle rivolte e degli anarchismi, ma questo è un altro discorso.


Pino Cacucci
scrittore

Ne
ho viste scorrere dai finestrini dei treni, e continuo a vederne. Ogni
volta mi rincuorano: qualcuno, su quel muro, si è manifestato
libertario e refrattario al potere. Ne ho viste persino dai finestrini
di corriere stravaganti a Città del Messico, anche se spesso avevano le
zampe lunghe, che fuoriescono dal cerchio, e un po’ mi infastidiscono,
perché io le ho sempre tracciate ben chiuse nel tondo e così
dev’essere, non capisco perché i punk pretendano di usarle ma poi si
piccano di sforarle, quasi a volersi distinguere… Con il trascorrere
degli anni devo essere diventato un anarchico conservatore: le
A-cerchiate hanno le zampe che finiscono dove passa il cerchio, non
sforano, perdìo.
Le amate A circoscritte in quella sorta di sol
dell’avvenire, o sfera di mondo dell’Utopia, mi riportano ai primi anni
Ottanta, quando le vedevo a Parigi e a Barcellona, e prima ancora,
all’adolescenza ligure, quando contribuii a fondare il gruppo
Buenaventura Durruti del Tigullio, e allora ne tracciai tante che se i
comuni costieri che vanno da Sestri Levante a Rapallo – e in qualche
nottata brava pure Portofino, tiè – con Chiavari di mezzo dove vivevo,
mi chiedessero il risarcimento per i muri rimbiancati, sarei rovinato.
E tralascio il comune di Bologna, dove, soprattutto nel 1977, ho dato
il mio apporto grafico alla fioritura sia esterna che interna
dell’università, con il dams privilegiato: anche il pianoforte del
Dipartimento di Musica era istoriato di A-cerchiate…
Da imberbe, ero più timido: sul diario, sui quaderni, pure sul banco.
Però ero più preciso: con righello e goniometro, che diamine, anche per
fare la rivoluzione ci vuole tecnica e paziente cura dei particolari, i
frettolosi e superficiali diventano spesso stalinisti e successivamente
si iscrivono a un partito di governo.
Già, quanto tempo è che non traccio una A-cerchiata? Mi pare una vita.
Un’altra vita? No, è sempre questa, la miA: anarchici non si diventa a
un certo punto e per un certo tempo, anarchici si nasce, si vive e lo
si resta fino all’ultimo respiro.
Mi fermo qui, esco un momento, scusate, in cantina dovrei avere ancora
una bomboletta rimasta a metà… Mi è appena venuto in mente che in
cantina c’è una parete libera dalle mie sette biciclette.

Matteo Guarnaccia
artista visivo e saggista

Occupandomi
di immagini e immaginario, ho sempre provato interesse per i simboli,
l’araldica e le figure allegoriche, elementi di comunicazione capaci di
sintetizzare ed evocare concetti anche elaborati. Ho riscoperto
recentemente un mio disegno del 1971, uno studio sulla A-cerchiata,
trasformata in un buffo animaletto monoculare. Le lettere dell’alfabeto
trasformate in rappresentazioni fantastiche non sono una novità,
appartengono alla grande tradizione dei capolettera dei miniaturisti
medievali (tendenza seguita persino nella cultura aniconica araba, dove
i calligrafi indulgevano in questi trucchetti). A quasi quarant’anni di
distanza, quando gli amici della Fai di Reggio Emilia mi hanno chiesto
di disegnare un manifesto per il congresso nazionale, ho ripescato la A
animata, aggiungendovi una nuova versione che cammina su un uroboro,
l’eterno ritorno e la buñueliana Via Lattea.
È interessante il fatto che l’anarchia, una filosofia/movimento
politico che ha sempre negato, deriso, combattuto i simboli, sino a
sfiorare una certa iconoclastia, abbia sentito a un certo punto della
propria storia la necessità di crearsene dei propri. Un segno che la
psiche umana, al di là della razionalità autoimposta, si muove
costantemente a suo agio nella foresta simbolica. Nel dopoguerra, in
sintonia con il diffondersi dei mezzi di comunicazione di massa, dei
primi vagiti della società dello spettacolo, il minimalismo del colore
nero (o rosso/nero) era diventato inadeguato per colpire l’occhio
smaliziato del popolo. L’impasse venne superata grazie alla geniale
creazione grafica dell’artista Gerald Holtom, il cosiddetto «simbolo
della pace», logo del movimento antinucleare inglese Cnd dal 1958.
Dalla metà degli anni Sessanta, la A-cerchiata ne divenne un’erede
naturale, un segno graficamente impeccabile, adatto a essere disegnato
agevolmente sui muri o sugli eskimo, che conquistò i favori dei giovani
contestatori antiautoritari. Dopo anni di soggezione rispetto alla
potenza iconografica della falce-e-martello, anche l’area libertaria
aveva finalmente un suo logo riconoscibile e di immediata lettura.
Ma la metamorfosi non era finita, nel 1976-77 il simbolo subisce una
modifica sostanziale, perde la fissità geometrica, e diventa nervoso e
dinamico, la A straborda dal cerchio spezzandolo. È in questa versione
che diventa un logo popolare, usata come elemento decorativo sugli
abiti sovversivi prodotti dalla coppia di stilisti agitprop Malcolm
McLaren e Vivienne Westwood, gli «inventori» del punk. È grazie ai loro
sforzi che i ragazzini londinesi in piena crisi antagonista diventano
improvvisamente sensibili al fascino della parola anarchia – anche se
la collegano più a Syd Vicious che a Bakunin. La nuova A-cerchiata
viene sviluppata (o degradata, a seconda dei punti di vista) su ogni
supporto tessile rivelandosi come una delle grafiche più popolari del
periodo. La fascia rossa da portare al braccio con la scritta «Chaos»,
ovviamente con la A-cerchiata, diventa un oggetto cult.
Non è più tempo di bandiere, ormai sono gli abiti che si trasformano
direttamente in strumento di propaganda e di cospirazione, in
evoluzione tessile dei volantini. Grazie a testimonial che avrebbero
fatto la gioia di Cesare Lombroso, i Sex Pistols, le creazioni della
Westwood irrompono come ordigni incendiari nei guardaroba e da lì nel
paesaggio urbano. La trovata della coppia londinese troverà imitatori
in molte blasonate case di moda negli anni a venire. Il «decorativismo
fai da te» attuato sul proprio abbigliamento (spray o pennarello)
diventerà una costante dello street style. È davvero
singolare la deriva stilistica del simbolo di un movimento che sino a
quel momento aveva offerto come massimo contributo all’abbigliamento la
cravatta lavallière nera. Anzi, l’anarchismo aveva abolito tout court
la moda quando tutti gli abitanti di Barcellona tra il 1936 e il 1939
rinunciarono di colpo alla diversificazione sartoriale optando per una
democratica tuta blu unisex da operaio (intera o salopette) e scarpe
espadrillas. Ma forse era la moda stessa che si era estinta nell’estasi
rivoluzionaria.

Clelia Pallotta
studiosa di comunicazione

Quella
A-cerchiata sui muri, negli anni della militanza politica, mi sfidava a
visioni più energiche e lievi e dalle bandiere nere, impreviste nei
cortei tra tanto rosso, ammiccava. E anche gli anarchici, soli sotto
alle bandiere, mostravano la serenità compatta di chi sta dentro a un
ideale e si alimenta di un’utopia che non ha bisogno di conferme. La A
chiusa nella perfezione del cerchio, decisa come un timbro, chiara come
un grido. Simbolo magico, figura geometrica, segno evocativo di mondi
fantastici. Marchio eloquente, potente, che trasporta valori e produce
racconti. Regala un’aura di trasgressione a chi lo adotta cercando
identità. Eppure ha una forza melanconica, contiene nostalgia per cose
lasciate o non ancora trovate: addio Lugano bella, scacciati senza
colpa gli anarchici van via, a predicar la pace ed a bandir la guerra
per un mondo senza dominatori e senza ingiustizia.

Marco Pandin
A rivista anarchica

La
provocazione punk è stata totale. Il suono assordante e distorto, la
tecnica approssimativa o mancante, il canto stonato e urlato si
traducevano nel formidabile impatto visivo delle copertine dei dischi:
colori violenti in forte contrasto oppure il più economico bianco e
nero, strappi, graffi, bruciature e tagli. Netta ed evidente la rottura
con l’immaginario e il gusto degli anni precedenti: tanto il rock era
divenuto complicato quanto il punk era destrutturato e inconsistente,
dove i testi s’erano fatti poetici ora si celebrava con un linguaggio
scurrile lo sbando in attesa della guerra atomica.
Molti fanno risalire l’inizio del cortocircuito tra punk ed anarchia al primo singolo dei Sex Pistols Anarchy in the UK,
pubblicato nel novembre 1976: «Sono un anticristo, sono un anarchico /
Non so quello che voglio ma so come ottenerlo: voglio distruggere…». Ma
la prima A-cerchiata sbattuta sulla copertina di un disco a marchiare
consapevolmente un progetto rivoluzionario, del quale la musica
costituiva solo una strategia di comunicazione, è stata quella dei
Crass. Il gruppo era formato dagli occupanti di una comune hippie
anarchica di Epping, nella campagna a nord di Londra. Nell’estate del
1977 riuscirono a recuperare un minimo di attrezzatura tecnica e un
repertorio di cinque-sei pezzi, e decisero di chiamarsi Crass (sta per volgare, indecoroso). Il gruppo registrò in un piccolo studio casalingo il proprio debutto discografico, The feeding of the 5,000, dal quale fu poi costretto a sopprimere una canzone, Asylum
(un’invettiva femminista contro l’oppressione religiosa) perché
ritenuta indecente dai gestori dello stabilimento che doveva stampare
il disco. Si decise di pubblicare comunque e per conto proprio quella
canzone censurata, diffondendola con l’aiuto di un distributore
indipendente: questo sforzo venne premiato dalla visita premurosa di
Scotland Yard alla comune di Epping, già allertata da numerose
segnalazioni e da alcune denunce per vilipendio. Un processo per
blasfemia non bastò a fermarli, e certo contribuì a far nascere attorno
ai Crass un vasto movimento internazionale, centinaia di piccole
formazioni radicali e marginali impegnate ognuna a suo modo a sabotare
l’ingranaggio del sistema. Il giro anarcopunk si ingrossava, e il
signor padrone se ne accorse ben presto: l’A-cerchiata si trovò, spesso
a sproposito, per bieca scelta pubblicitaria, a «marchiare» numerose
produzioni discografiche degli anni Ottanta.
L’anarchia quindi
commercializzata come atteggiamento «moderno» e menefreghista in
contrapposizione all’impegno e al rigore del vecchiume ideologico,
anarchia come segno grafico innovativo per chi desiderava distinguersi
dalla massa, anarchia come strategia pubblicitaria per vendere
l’invendibile. Significativa è la dichiarazione di un membro dei Flux of Pink Indians,
uno dei più importanti gruppi anarcopunk inglesi: «Ci chiamavamo
Epileptics ma abbiamo deciso di cambiare nome perché non c’era nessuna
A da poter cerchiare».
Una preoccupazione per certo condivisa da numerosi altri gruppi, non soltanto inglesi.

Marco Philopat
scrittore e agitatore culturale

Nel
1981, i primi concerti che i punk milanesi organizzarono nella casa
occupata di via Correggio 18, nel futuro capannone del Virus, erano
contro la schiavitù delle tossicodipendenze. Per l’occasione
prepararono una mascherina per fare le sprayate sui muri con una bella
A-cerchiata la cui punta spezzava in due una siringa. Era il periodo
che l’eroina falcidiava i pochi punk presenti in città, quindi la
dicitura sotto quell’icona diceva: «Distruggi le tue illusioni, non la
tua vita»… A ripensarci oggi viene quasi da ridere per l’ingenuità
moralista espressa da questo semplice slogan, ma vi assicuro che fu una
cosa importante perché l’eroina rappresentava, e forse ancora oggi
rappresenta, l’ultima frontiera della trasgressione, quella più
difficile da varcare, per dei giovani ribelli, disperati e
autolesionisti, che volevano dimostrare al resto del mondo di essere
coraggiosi protagonisti di un repentino e pericoloso cambio
generazionale. I punk allora si dividevano in due: chi si faceva e chi
no. Inutile dire che i «militanti» di entrambe le componenti si
consideravano anarchici, fosse solo perché Johnny Rotten aveva gridato Anarchy in the UK.
Perciò mettere la siringa spezzata al posto della classica arma che
usavano i londinesi Crass per ribadire il loro no alla guerra, risultò
particolarmente efficace. Quelli che non si facevano continuarono le
loro attività per diversi anni, quelli che si facevano o la smisero e
si unirono ai non tossici o cominciarono ad allontanarsi schifati della
troppa e forzata politicizzazione del punk. Questi furono i primi di
una lunga serie di critici del nulla, poi diventati parecchi sotto
altre forme, e al giorno d’oggi sono la marea di debosciati tifosi
della musica che sostengono che il punk era solo concerti e
divertimento.
Ma quelli dell’A-cerchiata non scherzavano affatto, e
anche se pogavano e si divertivano lo stesso, erano sempre in prima
fila per fronteggiare polizia, fascisti e benpensanti in tutto l’arco
della giornata, settimana, mese, anno o intera vita che fosse… Non si
può sfuggire a tanta radicalità a corrente continua. Punk e A-cerchiata
un connubio minacciosamente perfetto…