Poesia (pratica) della sovversione

Da quando l’ho capito lo stato è il mio nemico
non mi sono mai fermato ho continuato a lottare

 si è resa necessaria la presenza dei compagni
autodeterminati, armati e militanti

 il nemico è chiaro e sa come reagire
arresti e repressione non devono intimidire

 come schegge impazzite e anticorpi sovversivi
ripuliremo il futuro delle nostre vite!

 Anarchici/e Pistoiesi, contro  stato, capitale e repressione poliziesca

Pubblicato in ARTE

Carmelo il cane lupo anarchico

di carmelo musumeci

Dedicata a tutti gli anarchici che sosterranno e aderiranno allo sciopero degli ergastolani del primo dicembre 2008 per l’abolizione dell’ergastolo.

C’era una volta un cane lupo che si chiamava Carmelo, nato in Sicilia alle falde del vulcano dell’Etna.
Amava la vita e la giustizia e credeva profondamente alla libertà.
Era un cane lupo anarchico, randagio ma felice di esserlo, non voleva padroni.
Un giorno si trasferì al nord d’Italia e l’acchiappacani lo catturò e lo portò al canile di una grande città.
E così Carmelo fu scaraventato in una lurida e sporca gabbia a sognare tutti i giorni la libertà.
Carmelo pensava solo a scappare, scappare da quel posto bestiale.
Nella sua giovane vita aveva sopportato con forza ogni traversia ma il canile, quello, non riusciva a sopportarlo.
Rimaneva per ore intere a pensare a come scappare: sognava la fuga, sognava la salvezza.
I giorni andavano e venivano e il morale sprofondava in basso sempre
più in basso, gli sanguinava il cuore, lui abituato ad essere libero
non riusciva a vivere chiuso in una gabbia: doveva evadere.
Ne parlò con il cane accanto alla sua gabbia:
– bau, bau, bau, chi sei?
– bau, bau, bau, sono Nerone, un pastore tedesco.
– bau, bau, bau, te la senti di evadere?
– ma da qui non è riuscito a scappare nessuno.
– noi ce la possiamo fare.

Nerone accettò, scelsero di scappare, in una notte dove una bianca
nebbia, umida e spessa impregnata di pioggia, avvolgeva tutto il canile.
Carmelo, con i denti riuscì a smuovere il chiavistello ed uscì dalla sua gabbia e subito dopo aprì anche quella del cane Nerone.
Nel canile regnava una gran calma, il cuore di Carmelo si era fatto
piccolo piccolo e batteva forte, controllava con gli occhi e con le
orecchie tutto il cortile.
Lui andava avanti e Nerone dietro, non era ancora fatta, c’era da
saltare il muro di cinta, ad un tratto furono circondati dagli
acchiappacani.
Uno di loro si rivolse a Nerone:
– hai fatto bene ad avvisarci, sei furbo, sai da che parte stare ed ora ritorna nella tua gabbia.
E gli gettò un osso per avere tradito il suo compagno.
Subito dopo gli acchiappacani si rivolsero a Carmelo:
– bastardo volevi scappare perché sei contro il governo degli acchiappacani.
– Tu sei quello che abbaia per l’autonomia e la libertà di tutti i cani.
– Adesso te la diamo noi la libertà e la giustizia.

E giù bastonate.
Con una ira nel cuore contro tutto il mondo dei cani e degli acchiappacani Carmelo cadde per terra e svenne.
Si svegliò l’indomani con un oscuro velo di sangue che scendeva continuamente davanti agli occhi.
Era legato ad una grossa catena che gli stringeva il collo mentre la pioggia cadeva sul suo povero corpo.
Tremava e batteva i denti.
Sentiva una fame ed un freddo cane.
Cominciò a disperare.
Aveva perduto.
Si era fatto ingannare da una cane pastore tedesco traditore.
Aveva perso l’ultima speranza.
Gli acchiappacani venivano tutti i momenti a tormentarlo:
– Bastardo cane anarchico, sei per l’abolizione dei canili invece vivrai sempre qui.
– Se ubbidirai e accetterai di vivere da cane vivrai se no ti faremo morire di fame e di sete.
– Se smetterai di ringhiare ti daremo un po’ d’acqua.

Carmelo pur in fin di vita quando vedeva avvicinarsi gli acchiappacani non smetteva di ringhiare e abbaiava: – i cani lupi anarchici non si arrendono, piuttosto muoiono.
E loro: giù calci e bastonate.
Quella continua tortura fisica era divenuta talmente intollerabile che
più di una volta si sentì sul punto di lasciarsi cadere a terra e
ubbidire agli infami acchiappacani.
Soltanto il suo orgoglio da cane lupo lo faceva resistere.
Ormai la sua era solo una disperata resistenza.
Una ira sfrenata lo faceva resistere.
Non gli interessava più nulla della vita, né passata né futura, non gli
interessava più nulla né della vita né della morte, doveva solo
resistere agli acchiappacani.
Il bruciore della sete gli tormentava la gola, i suoi poveri occhi erano coperti di sangue.
A guardarlo, sanguinava da tutte le parti, non aveva più nulla di un cane lupo a parte l’orgoglio, il coraggio ed il cuore.
Una notte, la quarta da quando era legato alla catena senza acqua e
cibo, Carmelo comprese che le sue energie lo stavano esaurendo.
Si sentiva stremato, sfinito, perduto, le forze lo stavano abbandonando, si sentiva tormentato da una insopportabile sete.
Ormai era più morto che vivo, il dolore e l’infelicità non lo
lasciavano in pace, sapeva che stava morendo con tutte le sue speranze
non realizzate.
Chiuse gli occhi pensando che non li avrebbe più riaperti, ma ad un
tratto una voce parve uscirgli dal cuore e gli comparve la fata
Anarchia che gli disse:
– i cani liberi non moriranno mai, i cani liberi non possono morire.
E all’improvviso il cielo si fece sereno, comparve una ciotola di acqua e di cibo.
La luce del sole, il cibo e l’acqua gli diedero conforto e riaccesero in lui un po’ di speranza.
Dopo qualche giorno gli acchiappacani sbalorditi che il cane anarchico
era ancora vivo, gli levarono la catena dal collo e lo rimisero nella
sua vecchia cella.
Carmelo dopo qualche giorno si riprese e pensò di nuovo ad un’altra evasione.
Amava troppo la libertà e non poteva accettare di vivere prigioniero.
Una notte fredda e oscura gli comparve di nuovo la fata Anarchia e gli sussurrò:
– i canili esistono perché i cani si sottomettono agli
acchiappacani, tu non l’hai fatto e sarai libero e dopo la libertà
troverai l’amore.

Carmelo, il cane lupo anarchico, provò di nuovo a scappare e questa
volta ci riuscì e ora che aveva ritrovato la libertà andò a cercare
l’amore.

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…Ma noi non siamo preti.

No, noi non siamo preti, non siamo messia, non siamo predicatori. Noi siamo la scintilla che appicca il fuoco, noi siamo la tempesta che distrugge, noi siamo lo tsunami delle coscienze, noi siamo il sole che squarcia il grigiore delle nubi, noi siamo il baleno che offende i vostri occhi e che giammai videro il colore della libertà, noi siamo la paura, noi siamo la speranza e la disperazione di chi cerca vita e trova catene, noi siamo il rosso della passione ed il nero della rabbia, noi siamo il nulla, il nulla creatore.
Questo siamo. Contro ogni stato, contro ogni autorità, contro ogni coscienza schiava.

A Sole e Baleno e a tutti i ribelli.

Viva l’Anarchia.

Evjenji Vasil’ev Bazarov

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“la canzone della non appartenenza (continuo)

( . . )carenza
tutto quello che provo è una vana protesta,
è solo questa mia coscienza che non mi basta.

Quando non c’è nessuna appartenenza,
la mia normale, la mia sola verità
è una parvenza di altruismo,
magari compiaciuto,
che noi chiamiamo solidarietà.

Ma se guardo il mondo intero,
che è solidale e si commuove in coro,
i filmati di massacri osceni
con tanti primi piani di mamme e bambini,
mi vien da dire che se questo è amore ,sarebbe molto meglio
non essere buoni.

Se provo a guardare il mondo civile
così sensibile con chi sta male,
il cinismo di usare la gente,
col gusto più morboso di un corpo straziante,
mi vien da urlare ,che se questo è amore io non amo nessuno
non sento proprio niente.

E invece siamo nati per amare proprio tutti
indiani, russi, americani, schiavi, papi, cani e gatti,
è proprio il mondo della grande fratellanza,
per nuove suffragette piene d’isteria,
o peggio ancora è, quella sporca convenienza
come sempre mascherata dalla grande ipocrisia
la nostra ipocrisia.

Quando non c’è nessuna appartenenza
la mia normale, la mia sola verità,
è una gran dose di egoismo,
magari un po’ attenuata
da un vago amore per l’umanità.

E non ci salva l’idea dell’uguaglianza,
né l’altruismo o l’inutile pietà,
ma un egoismo antico e sano,
di chi non sa nemmeno
che fa del bene a sé e all’umanità.

Un egoismo antico e sano,
di chi non sa nemmeno
di fare il bene dell’umanità.

gaber/luporini

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