Da senza soste.it:
Non c’è niente da fare. Malgrado i tentativi di marketing artistico e
politico, il carcere livornese de "Le Sughere" si conferma uno dei peggiori
carceri italiani. Lo dimostra l’ennesimo sconvolgente caso di morte avvenuto
ieri in uno degli spettrali spazi di questo lager di stato. La morte di un
ragazzo di 31 anni è la riprova di quello che stiamo dicendo da tempo: Le
Sughere sono una fabbrica di morte ed i responsabili della sua gestione
devono essere cacciati una volta per tutte.
Il carcere di Livorno è una vergogna per una città distante anni luce dalla
vita che si svolge nelle sue sezioni sporche e vetuste dove centinaia di
persone vivono in condizioni tremende di affollamento.
Eppure, malgrado il record di morti ottenuto dall’attuale direttrice e dal
suo staff di collaboratori, nessuno ha intenzione di aprire gli occhi.
Da una parte la stampa cittadina si ricorda dell’esistenza del lager
livornese soltanto in casi di morte violenta. Figli di una generazione di
spettatori di "noir" di serie B, i giornalisti si esibiscono in articoli
ricchi di particolari sulle tecniche di suicidio e rendono avvincenti i
passaggi di morte. La perversione del racconto non ha limiti: un quotidiano, il Corriere di Livorno, si "dimentica"
anche del diritto elementare del morto di non apparire con nome e cognome nei
fogli di giornale. Ecco dunque che ai nomi si associano le maschere di
sempre: il malato mentale, il folle, lo sballato, il tossicodipendente, la
puttana, il finocchio. Tutte figure utili alla stampa locale per parlare
dell’anormale occultando la normalità quotidiana de Le Sughere: cimitero
della legge italiana. Mai un articolo sulle tremende condizioni di vita (o
di morte) dei detenuti, mai un’intervista a un funzionario, mai una domanda
alla direttrice, mai un dossier sulle morti degli ultimi anni. Sui giornali
locali Le Sughere hanno uno spazio ben definito: il necrologio e la pagina
di spettacoli. Sì, perché se da una parte la morte diventa fatto meditico
anormale per occultare la normalità, sull’altro fronte, ma con gli stessi
mezzi, intervengono le nobili arti dell’associazionismo locale.
L’Arci di Livorno ha convocato la scorsa settimana la sua decina di
"abbonati" a un dibattito dal titolo "Livorno, città da paura?". Alla
presenza del triumvirato cittadino, Questore-Sindaco-Segretario CGIL, i
feudatari della cittadella hanno discusso, si fa per dire, sulla vita della
plebe. Tanti discorsi per non dire niente. Anzi, per dire una cosa,
sconvolgente: "Gli episodi di violenza sono frutto di un fenomeno
particolare che avviene nella civiltà occidentale: la distinzione sempre più
difficile tra realtà e finzione". Interessante analisi del responsabile Arci
che proprio sulla finzione ha costruito un canale privilegiato di cogestione
del silenzio con il carcere de Le Sughere.
Gli scribacchini dell’Arci, infatti, sono stati gli unici a poter entrare ed
uscire dal carcere livornese in questi anni di accumulazione di morti. Sono
loro che hanno visto, sentito, toccato con mano la vita interna del lager
livornese. Hanno toccato la realtà ed hanno preferito la finzione, mettendo
in scena qualche operetta (con tutto il rispetto per gli attori e nessuno
per i drammaturghi) da dare in pasto alla plebe. Parlano della "sicurezza
come bene comune", parlano di "democrazia del territorio", parlano di
"razzismi". Appunto parlano, parlano sempre loro ed evitano di far parlare,
preferendo la finzione del silenzio.
Mai un incontro su: "Le Sughere un carcere da paura". Mai un intervento
sulle condizioni di vita quotidiana dei loro "attori". Mai un riferimento
alla popolazione immigrata rinchiusa nelle celle livornesi. Mai un
riferimento alla classe sociale dei livornesi inghiottiti dalle sbarre.
Niente di niente… pura finzione. Se per loro questo significa sicurezza
come bene comune, sorge spontanea una domanda: è così dura per l’Arci
rinunciare ai finanziamenti pubblici che ricevono per cogestire
artsticamente il silenzio de Le Sughere?
Siamo nelle mani di questa continua finzione democratica, teatro politico
dell’inutilità. E intanto nel carcere di Livorno si muore. Diranno che la
colpa è individuale, faranno finta (altra finzione) che la bombola di
Camping Gas sia piovuta dal cielo, dimenticheranno di dire che Le Sughere
sono sotto processo per il muro d’omertà che accompagna l’assassinio di
Lonzi, nasconderanno il dato (che la plebe conosce) che le celle sono piene
zeppe di qualsiasi tipo di sostanza stupefacente, faranno teatro sulle
Mercedes delle guardie penitenziarie (provate a andare al parcheggio del
carcere e guardate con che macchine se ne vanno i funzionari)… E intanto
nella democratica Livorno se n’è andata un’altra vita.
Attenzione: abbiamo davanti tre problemi:
– Esistono responsabili istituzionali delle morti che continuano a svolgere il
proprio lavoro dentro e fuori dal carcere.
– La realtà di queste morti viene rimossa con esercizi di finzione
giornalistica e artistica; cosa ci guadagnano?
– Le Sughere è una fabbrica di morte abbandonata da sempre dalla città.
Sui primi due punti, ci sono nomi e cognomi e non spetta a noi insitere
sulle loro responsabilità. Conviene insistere sul terzo punto.
Fino a quando a Livorno non capiremo che il carcere cittadino è un carcere
di classe, che rinchiude soprattutto la classe operaia e i suoi derivati;
che questo carcere ha a che fare con il mercato del lavoro; che la
repressione è più dura, soprattutto contro le giovani generazioni, quando il
mercato non necessita forza di lavoro; che carcere e disoccupazione vanno
insieme; che droga e disoccupazione vanno insieme; che droga e carcere sono
dispositivi di dominazione totale; che non basta una pressione
intellettuale (minima) esterna a Le Sughere ma è necessario che i detenuti
si organizzino e che trovino una base popolare esterna che difenda e
sostenga le loro rivendicazioni…continueremo a seppellire storie e corpi
umani "di scarto" nel giardino delle menzogne di potere.
10/11/08
Per Senza Soste : Jacob
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Morire di carcere: dossier 2008
Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare,
overdose
Nelle carceri italiane dal 1° gennaio al 31 ottobre 2008 sono morti in
totale 105 detenuti, dei quali "almeno" 40 per suicidio (alcuni casi sono
dubbi e si attende l’esito delle indagini). Rispetto allo stesso periodo del
2007 il numero di suicidi tra i detenuti è aumentato dell’11%, mentre il
numero totale delle "morti da carcere" è aumentato del 5% circa. L’incremento
percentuale delle morti in carcere (suicidi compresi) è comunque inferiore
al tasso di crescita della popolazione detenuta, che in un anno è stato di
oltre il 15%.
Le "proiezioni" per l’intero anno 2008 dicono che a fine anno i suicidi tra
i detenuti potrebbero arrivare a "quota" 50 (contro i 45 del 2007) e il
totale dei decessi a 128 (contro i 123 del 2007).
I "casi" raccolti in questo Dossier comunque non rappresentano la totalità
delle morti che avvengono all’interno dei penitenziari: sono quelle che
siamo riusciti a ricostruire, in base alle notizie dei giornali, delle
agenzie di stampa, dei siti internet, delle lettere che ci scrivono i
volontari o i parenti dei detenuti morti.
Purtroppo molte morti in carcere passano ancora sotto silenzio, diventando
mera statistica, mentre il nostro intento è di ridare una dimensione umana,
una storia e un nome, ai detenuti che spesso muoiono nell’indifferenza dei
media e della società.
Ristretti Orizzonti:
http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/index.htm
http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/index.htm