Archivio mensile:Settembre 2008
Solidarietà ai lavoratori Recoplast a rischio licenziamento.
Quando abbiamo deciso di presentarci –come presidio contro l’inceneritore di Montale, collettivo liberate gli orsi e USI- la reazione del cgiellino è stata di fastidio, tantopiù che nemmeno si è premurato di ricambiare il saluto (ad onor del vero c’è invece da dire che il comportamento del rappresentante della cisl è stato invece corretto nei confronti dei solidali). Ci siamo presentati con due volantini; l’uno –a firma Unione sindacale italiana- denunciante la specifica situazione dei lavoratori Recoplast, l’altro –a firma del collettivo e del presidio- denunciante la lo scandalo dell’inceneritore di Montale, lo sforamento dei livelli di diossina dell’impianto di Pietrasanta e la truffa dell’accorpamento degli ATO (area territoriale ottimale) in quello unico denominato Toscana centro.
Tentando di animare il presidio, oltre alla distribuzione dei su citati volantini –per altro graditi dai lavoratori- abbiamo offerto ai presidianti un megafono…prontamente ridotto al silenzio dal cgiellino…che ha ritenuto molto più conveniente FAR STARE ZITTI I LAVORATORI e pavoneggiarsi da bravo istrione del sindacalismo innanzi ai giornalisti…in seguito, per non smentire l’autoritarismo e l’inconcludenza propri del sindacato confederale, il kapò a strappato letteralmente dalle mani di un lavoratore il foglietto sul quale un compagno aveva segnato l’indirizzo mail del presidio permanente…a nulla sono valse le richieste di spiegazione…in pratica tutto ciò che il barone sindacale ha avuto da dire, in buona sostanza è che…si trattava di vicenda esclusivamente aziendale, che nulla aveva a che vedere con le vicende dell’inceneritore…come se i problemi legati alla differenziazione non fossero legati a filo doppio con il problema inceneritorista…l’assise si è poi sciolta dopo che il nostro eroe aveva potuto parlare ai microfoni della tivvì.
La mancanza d’organizzazione, la mancanza di ogni minima strategia comunicativa e rivendicativa ed il ruolo prettamente formale dei rappresentanti sindacali dimostrano, se ce ne fosse bisogno, di quanto ogni rivendicazione dei lavoratori, qual’ora voglia avere un riscontro, dev’essere portata avanti di lavoratori stessi, rifiutando ogni tipo di delega, soprattutto ai sindacati corporativi come sono cgil, cisl, uil, che se ufficialmente si ergono a paladini dei lavoratori, in pratica non fanno altro che tentare di armonizzare (come i sindacati corporativi di fascista memoria)l’inarmonizzabile, ovvero capitale e lavoro.
Di contro noi continueremo a partecipare ad ogni mobilitazione, portando all’interno dei conflitti i nostri contenuti ed i nostri ideali…sempre ubriachi di Libertà.
Giornata di sangue per la polizia…
Accade oggi…
Nel casertano una volante della polizia di stato si è ribaltata durante un inseguimento: i due poliziotti sono morti sul colpo.
A Genova un altro sbirro viene accoltellato a morte da un ragazzo 27enne colto da raptus violento… VIVA I RAPTUS VIOLENTI!
In più un sito interessante: cadutipolizia.it, dove potete vedere (e godervi) tutte le divise blu cadute da oltre un secolo a questa parte.
STRANO VOLO DI UN ANARCHICO – LA MEMORIA DI LICIA PINELLI: «PINO, VITTIMA DI CALABRESI»
Francesco Barilli
Sergio Sinigaglia
Licia è una donna per nulla incline a sentimenti di vendetta, che ancora oggi chiede giustizia rifuggendo dai sensazionalismi e dal clamore mediatico. Vive ancora oggi a Milano e l’intervista si svolge a casa sua, il 14 gennaio 2008.
Volevamo chiederti qualcosa su quegli anni, sulla militanza di Pino. E sulla vostra vita a Milano, anche paragonandola con il contesto attuale.
Sono situazioni totalmente diverse, quasi impossibili da confrontare. Un tempo c’era un clima molto più aperto, mentre oggi si ha un’impressione di estraneità, di distacco fra le persone, persino fra chi abita nello stesso condominio. Già un dialogo, un livello minimo di conoscenza, è difficile; l’idea di darsi una mano è addirittura impossibile. A questo discorso si collega pure la militanza di Pino. Alcuni mesi prima di piazza Fontana, c’erano stati altri attentati (in diverse città italiane), e già in questi casi erano stati incolpati gli anarchici. Lui si era attivato subito dopo quelle prime accuse, cercando di portare aiuto. Ricordo gli scioperi della fame, lui che andava a portare da bere a chi era impegnato in iniziative di solidarietà. Spiegare cos’era Milano e la nostra vita è davvero difficile. Quel che voglio farvi capire è che se oggi i rapporti interpersonali si mantengono al minimo essenziale, all’epoca era diverso. All’epoca io battevo a macchina le tesi per diversi studenti, quindi casa nostra era sempre aperta e piena di ragazzi, ricordo la sensazione di avere sempre gente da noi. Quegli studenti venivano per le loro tesi, quindi anche in quel caso in teoria ci si poteva limitare a un rapporto «distaccato»; invece si finiva col parlare di tutto, anche e soprattutto di politica, perché pure quella faceva parte della vita, e il confronto era normale. È vero, erano tempi di conflittualità molto dura, ma c’era un atteggiamento aperto verso l’idea stessa di politica. Pino, poi, figuriamoci!… Non gli pareva vero di poter intavolare una discussione su quegli argomenti; appena entrava in casa e trovava uno di quei ragazzi gli diceva subito «Io sono un anarchico. Voi come la pensate?». Finiva spesso che io facevo da mangiare per tutti e con noi si fermavano anche quegli studenti. Era una vita allegra, malgrado le difficoltà, le bambine piccole, il suo stipendio bassissimo. Ecco, questo mi dispiace: mi chiedevate di Milano come città, e io oggi la ricordo buia, scura, quando ci penso la vedo d’inverno, il cielo coperto come oggi. Probabilmente perché il ricordo di Milano di quell’epoca lo associo e si sovrappone proprio a quei giorni di dicembre 1969. (…)
Dobbiamo chiederti «del fatto». Tu come e quando ne vieni a conoscenza?
Dobbiamo fare un passo indietro, prima di parlare della notte del 15 dicembre. Dobbiamo partire dal 12, dal giorno di piazza Fontana. Pino viene invitato in questura, non viene arrestato. Addirittura segue l’invito accodandosi all’auto della polizia col suo motorino, senza nessuna coercizione. Nessuno mi telefona per dirmi che Pino è stato chiamato in questura, lo vengo a sapere qualche ora dopo, quando la polizia viene a casa nostra per una perquisizione. In quel momento io non solo non sapevo che mio marito era in questura, ma non ero a conoscenza nemmeno della bomba alla Banca dell’agricoltura, semplicemente perché avevo il televisore rotto e non avevo sentito i notiziari; per cui anche la perquisizione mi capita come una cosa strana, scioccante… Ricordo i poliziotti che rovistavano per casa, probabilmente alla ricerca di qualcosa di compromettente, e sono finiti con lo scartabellare fra le tesi (i ragazzi spesso me ne lasciavano una copia per ricordo, una volta finita). Fra questi lavori ce n’era uno che attirò l’attenzione dei poliziotti. Adesso non saprei dirti con sicurezza di cosa si trattasse: forse era sulla rivoluzione francese, oppure sull’epoca in cui c’era stata una rivolta contro lo Stato Pontificio nelle Marche, qualcosa del genere… Sta di fatto che gli agenti all’inizio pensavano di aver trovato chissà quale documento rivoluzionario! Spiegai che era una tesi, che io le battevo a macchina per lavoro, e uno di loro mi chiese «ma lei lavora per hobby o per bisogno?». Credo d’averlo guardato con ben poco rispetto: a quell’epoca, coi pochi soldi che giravano, uno lavorava proprio per hobby!… Ecco, ho questo ricordo della perquisizione: io che continuo a brontolare mentre i poliziotti giravano per casa. Poi, ancora più tardi, arrivò la telefonata di Pino: mi disse solo che era in questura, c’era tanta gente e avrebbe tardato. Anche se era un momento drammatico, non fu una telefonata allarmante, ma rassicurante.
Tu riuscisti a vederlo, in quei giorni?
No, però ci riuscì mia suocera il giorno dopo, il 13 o forse il 14. Dopo la perquisizione, o dopo la telefonata di mio marito, l’avevo chiamata, le avevo spiegato la situazione. Tra l’altro proprio il 12 Pino aveva appena ritirato la tredicesima, per cui lei andò di persona in questura a farsela consegnare. Era anche un modo per vederlo ed essere rassicurate.
Licia, scusa la domanda, ma con tutto quello che è accaduto, negli anni successivi ti è mai venuto di pensare che la sua attività politica era la causa di quanto vi era successo? Hai mai pensato (irrazionalmente, magari) a una sorta di «rimprovero» verso tuo marito?
No. Esiste il libero arbitrio… Capisco quel che volete dire, ma direi di no, non ho mai avuto quel pensiero. Vedi, per spiegarti bene questo aspetto devo fare un passo indietro nel tempo. C’è stato un momento, prima della militanza di Pino (prima della «militanza attiva», intendo, visto che lui comunque era ed è sempre stato anarchico), in cui avevamo le due bambine piccole, io avevo mille lavoretti, le tesi eccetera, e Pino sembrava dibattersi in quella casa che sembrava così stretta. Io allora lo incitavo a trovarsi degli interessi al di fuori della vita familiare. Gli dissi «perché non vai dagli esperantisti, perché non riallacci quei rapporti?», visto che noi ci eravamo conosciuti nel ’52, proprio a scuola di esperanto, e ricordavamo quell’ambiente come una bella esperienza. Lui accolse il mio consiglio… Solo che, invece di andare dagli amici di esperanto, andò a trovare gli anarchici del circolo. Scelse la sua passione più vera, la politica: come potrei rimproverarlo, anche irrazionalmente? No, non posso parlare di sue colpe, né di miei ripensamenti sulle sue scelte.
La notte fra il 15 e il 16 dicembre, che Pino è precipitato dalla finestra lo vieni a sapere dai giornalisti…
Sì, vengono a bussare da me verso l’una. Io, le bambine e mia suocera eravamo già a letto. Te lo dico perché in seguito ci fu persino chi disse che dormivo con un amante. Non è una cosa poi così strana: se devi infangare una vittima è meglio infangare anche i suoi parenti… Comunque sono andata ad aprire e ho trovato questi due giornalisti. Sembravano affannati, dopo 4 piani di scale senza ascensore, e soprattutto davano l’impressione di farsi forza l’un altro, cercavano le parole per dirmelo: «sembra che suo marito sia caduto da una finestra». Gli chiusi la porta in faccia e mi precipitai a telefonare alla questura. Chiesi di Calabresi e me lo passarono. Dissi che c’erano due giornalisti alla mia porta, gli riferii cosa m’avevano detto, chiesi perché non m’avevano avvertito. «Sa, signora, noi abbiamo molto da fare», mi rispose… Non so se gli ho detto ancora qualcosa, sicuramente gli ho sbattuto la cornetta in faccia. Dalla questura non seppi nulla: mentre Pino era all’ospedale, invece di chiamarci loro avevano indetto la famosa conferenza stampa… Mia suocera si vestì e si precipitò all’ospedale, al Fatebenefratelli. Io dovevo aspettare, c’erano le bambine da guardare, non avevo altra scelta. A tanti anni di distanza i ricordi sono confusi, ma rammento bene mia suocera, alla sua età e senza una lira in tasca, precipitarsi in piena notte all’ospedale, dove nessuno le dice nulla, dove non le fanno nemmeno vedere il figlio. Mi telefonò dall’ospedale, dicendomi che c’era un sacco di polizia e non la facevano passare. Poi mi disse «non so cosa sta succedendo, ma temo che…». Aveva capito che era morto perché aveva visto un inserviente tirare fuori i moduli.
La tua reazione quale fu?
Dopo un po’ ero riuscita a far portare via le bambine, che si fecero svegliare e vestire senza dire nulla. Sempre quella notte, o poco più tardi, arrivarono a casa mia Camilla Cederna, Stajano, un dottore dell’università cattolica per cui avevo lavorato (che sulla vicenda in seguito scrisse un lungo articolo sull’ Europeo ), e qualcun altro ancora. Ad un certo punto non ce la facevo più a stare in quella stanza, volevo andarmene da sola in camera. Mi venne dietro mia suocera. Mi disse: «Vedrà, domani daranno a lui la colpa di tutto». «Va bene», risposi, «ma ci siamo anche noi, con cui dovranno fare i conti». Il giorno successivo, in tribunale, ricordo i capannelli di gente… C’era davvero tantissima gente, la strage di piazza Fontana e la morte di Pino avevano destato uno scalpore enorme. C’erano dei giovani avvocati, che chiedevano (loro a me…) cosa si poteva fare. «Denunciare tutti quelli che erano in quella stanza», rispondevo. E da lì comincia tutta la storia delle varie istruttorie, che è finita come sai…
Licia, tu hai letto il libro di Mario Calabresi (figlio del commissario), «Spingendo la notte più in là»?
No. Non voglio leggerlo, non m’interessa. Non potrei mai riconoscermi in quel testo. A volte penso che c’è stato un momento in cui se avessi incontrato per strada la vedova, con i bambini, forse avremmo potuto parlarci, avere un rapporto. Ma così, con tutto quello che è successo, no. C’è una distinzione netta, fra noi. Io ho avuto la netta impressione che Calabresi eviti di affrontare la storia di Pino, se non di striscio, e questo mi ha dato fastidio. Capisco l’esigenza di difendere la memoria del padre, però penso che con quell’operazione si neghino almeno due fatti: in primo luogo che le due vicende, piaccia o meno, sono strettamente collegate; in secondo luogo che, indipendentemente dalle implicazioni sul fatto in sé, sul commissario gravano comunque responsabilità «sul dopo», sulle menzogne che raccontarono, il «Pinelli gravemente indiziato»… Direi non solo sul dopo: ricordiamo che Calabresi era titolare dell’ufficio da cui cadde mio marito. Dunque, indipendentemente dalla sua presenza, la responsabilità, anche diretta, c’era. Poi viene il resto, le menzogne su Pino gravemente indiziato eccetera… Tornando sulla presenza o meno di Calabresi nella stanza, non voglio riaprire polemiche, ma mi sembra giusto ricordare che uno degli anarchici fermati, Pasquale Valitutti, sostenne di non aver visto Calabresi uscire dalla sua stanza prima che Pino cadesse, e successivamente confermò sempre la stessa versione: non solo non aveva visto Calabresi uscire dalla stanza, ma affermò pure che (considerata la posizione che occupava nel corridoio) avrebbe senz’altro notato se il commissario fosse uscito. Quella dichiarazione la sostenne di fronte alla magistratura, ma non fu mai chiamato a deporre nuovamente davanti a D’Ambrosio, mi disse, nel corso dell’istruttoria decisiva.
Tornando alle menzogne successive alla morte di Pino, alla sentenza D’Ambrosio almeno una cosa bisogna riconoscerla: esclude che Pino si sia suicidato, quindi conferma che tutti quelli che erano nella stanza e dichiararono il contrario mentirono. I 4 poliziotti e il carabiniere presenti hanno avuto conseguenze?
Che io sappia no, la storia si è chiusa così. Anzi, per quanto ho saputo alcuni, se non tutti, sono stati promossi. Quando succede un fatto del genere, che vede coinvolti elementi delle forze dell’ordine, alla fine oltre a non arrivare alla verità si finisce con le promozioni. Lo stiamo vedendo anche oggi, per i fatti di Genova.
Negli anni successivi, hai mai avuto altre notizie, anche da fonti «strane» (voci, telefonate dei soliti «bene informati») che ti facessero pensare di poter essere vicina a una nuova svolta?
Una volta mi arrivò una lettera anonima di questo tipo. La consegnai all’avvocato Carlo Smuraglia, ma non ne facemmo nulla, era una cosa totalmente delirante.
Sono passati 38 anni da quei giorni, ma ne sono passati anche 25 da quando hai raccontato la tua storia a Piero Scaramucci in «Una storia quasi soltanto mia». È cambiato qualcosa nella tua opinione circa lo svolgimento dei fatti?
Quello che penso sia successo lo raccontai innanzitutto al magistrato e te lo confermo ora. È difficile da spiegare, ma si tratta di una convinzione talmente radicata in me che la sento come si trattasse di un avvenimento accaduto con me presente; se ci penso è come se io fossi stata lì, in quella stanza. Quando sono stata interrogata da Bianchi d’Espinosa (procuratore generale a Milano, che poi assegnò il fascicolo a D’Ambrosio) mi chiese proprio quale opinione mi fossi fatta sull’accaduto, e la stessa domanda in seguito me la pose lo stesso D’Ambrosio. Risposi molto semplicemente, come rispondo a voi ora: l’hanno picchiato, creduto morto e buttato giù; oppure l’hanno colpito al termine dell’interrogatorio, facendolo poi precipitare incosciente, e questo spiegherebbe anche il suo volo silenzioso, senza neppure un grido, e spiegherebbe pure che dei 5 agenti solo uno (il carabiniere) si precipita giù per accertarsi delle sue condizioni. Di questo racconto sono convinta ancora oggi. Alla tesi del suicidio, poi, non ho mai creduto. Pino non l’avrebbe mai fatto, era un’eventualità che non ammetteva. Una volta avevamo parlato di una ragazza che conoscevamo, che aveva tentato il suicidio, e lui era stravolto. Non era una scelta che concepiva, amava la vita, non l’avrebbe mai fatto.
Disertiamo la paura
Consumatori di paura in un mondo di insicurezze: questo è ciò che tentano di fare di noi.
Per raggiungere tale scopo e preservare il potere e il privilegio, gli
Stati instillano fobie fasulle e ingrassano mostri immaginari;
l’ossessione securitaria, declinata negli infiniti pacchetti sicurezza,
individua di volta in volta il nemico di turno: rumeni, rom, lavavetri,
prostitute e più in generale lo straniero, diventano i bersagli verso
cui sfogare le proprie ansie. In realtà perdere il lavoro o morire di
esso ha ben altre cause, così come altre sono le ragioni che non
permettono di avere una casa o una cura.
La macchina del terrore statale ed economico dietro l’ombra della
democrazia, ci presenta qualsiasi progetto di sopraffazione come utile
e necessario: dal nucleare alle grandi opere di devastazione
ambientale, dalla guerra fino all’ultima trovata fantasiosa del sindaco
sceriffo di turno. Il divieto di mangiare per strada come
l’elemosinare, di lavare i vetri come di fare i castelli di sabbia sono
dei modi per buttare fumo negli occhi di chi, stanco e alienato dalla
propaganda, non si rende conto che tutto ciò non gli aveva mai
provocato nessun problema.
Così non siamo più sicuri nemmeno di cosa avere veramente paura. E se
domani l’acqua e il cibo non fossero più nei supermercati? Se
un’influenza improvvisa ci colpisse e non sapessimo porvi rimedio? A
soccorrerci non ci sarebbero più i saperi di un tempo che permettevano
di essere autosufficienti, né le relazioni tra gli individui che
garantivano una rete solidale.
Non più padroni di noi stessi, non saremmo più in grado di prendere in mano le nostre vite.
Avremo inseguito un nemico che non esiste, mentre i veri responsabili
di questo sfacelo, padroni e governanti di ogni colore, saranno al loro
posto a programmare la prossima devastazione. Soprattutto avremo perso
coscienza della realtà e di noi stessi nel mare dell’indifferenza e del
rancore, mentre il potere modifica costantemente il passato facendoci
perdere la memoria della storia e della cultura. Accetteremo, come
stiamo facendo, che gli stranieri poveri siano rinchiusi in dei lager
chiamati centri di Identificazione ed Espulsione e cacciati dal
castello perché poco decorosi per la nostra vista. Accetteremo i morti
in mare in cerca di una possibilità di sopravvivenza e il razzismo
strisciante che uccide.
Invertire la rotta è un gesto da compiere senza indugi, per uscire
dallo stagno della pacificazione sociale in cui vorrebbero farci
annegare. Questo hanno fatto alcuni anarchici che negli ultimi anni
hanno condotto con chiarezza delle lotte, in particolar modo contro il
lager a gestione cattolica che era il "Regina Pacis" di San Foca (Le).
Lotte condotte dal basso, seguendo i principi da sempre propri degli
anarchici: autogestione, informalità, orizzontalità nelle relazioni,
azione diretta
Lotte e metodologie che lo Stato vorrebbe fermare con
il terrore, i processi, le condanne e gli anni di carcere.
Il 9 ottobre si aprirà presso la Corte d’Assise d’Appello del
Tribunale di Lecce il processo di secondo grado a carico di dodici
compagni.
La solidarietà nei loro confronti è un primo, minimo gesto per iniziare a disertare la paura.
Anarchici
Intervista a Licia Pinelli sul Manifesto
pagina, un’intervista – con il titolo Strano volo di un Anarchico – a
Licia Pinelli sull’assassinio di Pino Pinelli
ad opera di questura, carabinieri, Calabresi……..dello Stato insomma.
Catalogna – Grande esproprio per finanziare i movimenti anticapitalisti
Da informa-azione:
Enric Duran, da molti anni impegnato in lotte
anticapitaliste in Catalogna, ha pubblicamente annunciato un bottino
complessivo di 492.000 euro provenienti da 39 diverse banche, quindi
l’inizio della sua latitanza.
Enric ha accumulato la cifra attraverso diversi prestiti
fraudolenti. La maggior parte dei soldi è stata destinata al
finanziamento dei movimenti anticapitalisti e per un progetto
editoriale, una parte per finanziare la propria clandestinità. La
pubblicazione in 200,000 copie di un numero unico di una rivista in
Catalano chiamata CRISI. La rivista pubblica la rivendicazione degli
espropri e contiene numerosi articoli di critica radicale alle origini
della attuale condizione economica di crisi, attaccando banche e
sistema capitalistico, colpevoli di furti per più dannosi per la
società nel suo insieme, contiene in oltre discussioni
sull’organizzazione di alternative al capitalismo. Le 200.000 copie
sono state distribuite in un giorno, il 17 settembre, attirando
l’attenzione di tutti i media che ovviamente si sono concentrati più
sulla figura di Enric che sul contenuto di Crisi.
Crisi è su 17-s.info o su polaris.moviments.net:8000/ in lingua araba, castigliana, catalana, inglese e basca.
* * * * *
tratto da: The Guardian
Enric Duran sarebbe riuscito a truffare banche ottenendo prestiti
per circa 500mila euro: che cosa avrebbe fatto di tutto quel denaro
questo Robin Hood moderno? Lo avrebbe investito finanziando attivisti e
un giornale, “Crisis”, stampato e diffuso in circa duecentomila copie
in Spagna, in cui avrebbe spiegato proprio il modo in cui era riuscito
a gabbare gli istituti bancari di terra iberica.
Se vogliamo provarci anche noi, ecco come Enric ci era riuscito: aveva
creato una società fasulla, una finta casa di produzione televisiva. A
quel punto aveva iniziato a chiedere qualche finanziamento, in giro per
banche: poca roba, che pagava, creandosi così un minimo di fiducia che
nel milieu bancario ha sempre la sua importanza. Poi, di lì in poi,
iniziava la truffa vera e propria.
Servendosi di prestanome – visto che nel frattempo aveva smesso di
pagare le rate che inizialmente pagava – chiedeva mutui sempre più
ingenti. Fino ad arrivare ad oltre mezzo milione di euro. Al momento il
buon Enric si è dato alla macchia, e le stesse autorità spagnole non
hanno ancora iniziato a braccarlo: stanno aspettando che gli istituti
bancari facciano una richiesta formale.
Ribellarsi è giusto
Dando un’occhiata approfondita alle notizie pubblicate sui giornali, su riviste di umanità varia, e vomitateci addosso da azzimati mezzobusto –artigiani della paura e del consenso- una cosa appare fulgida, l’escalation di episodi di xenofobia e razzismo da parte di ogni categoria sociale italica, dalla vecchietta che si lamenta dei “negri” che sporcano, ai politici che propongono ed attuano manu militari schedature su base etnica…in mezzo la sbirraglia che si sente legittimata ad attuare qualsiasi tipo di abuso nei confronti dei migranti o del “diverso” in genere -la dove per diversità si intende l’impossibilità d’inserimento non conflittuale negli ingranaggi di profitto e riproduzione delle logiche di potere e sopraffazione- sicura della solidarietà e complicità di un’opinione pubblica trasfigurata dalla paura creata ad arte da chi, cavalcando l’onda del terrore, ha intenzione di stringere ancor più il cappio autoritario intorno al collo degli individui mascherandolo sotto la cravatta della “sicurezza”…in questo caso Hobbes non aveva così torto…Ma non conta la paura, o meglio la paura non legittima l’indifferenza e la complicità con i peggiori rigurgiti razzisti che sempre più stanno riempiendo non le cronache giornalistiche -non solo- ma bensì le strade, i discorsi e le teste delle persone…attacchi squadristi passati sotto silenzio o giustificati candidamente, operazioni di sbirraglia tanto frequenti quanto inauditamente violente contro i migranti; se un ragazzo ucciso a sprangate non suscita indignazione ma comprensione verso gli uccisori (una vita val bene un pacco di biscotti…), se i CPT/CIE sono considerati alberghi per migranti, se gli uomini non sono uomini ma sono bianchi, neri, rossi, gialli, se i morti durante i viaggi della speranza hanno avuto ciò che meritavano, se a chi vuol autotutelare la propria salute si oppone l’esercito…no, la paura non giustifica tutto ciò, non lo legittima, NON ASSOLVE. C’è sempre la possibilità di scegliere d’essere altro, di dire no; tutti hanno occhi per vedere, TUTTI, basta volerlo; finché la lotta sarà lotta fra poveri e non lotta contro chi ci succhia l’esistenza nelle fabbriche, nei call center, dagli inceneritori, dalle linee ad alta nocività, contro chi ci impone guerre e basi della morte…lo spettacolo sarà deprimente…sarà ignoranza? Anch’essa non assolve…se la vita, la Libertà, sono viste come fattori secondari; se la maggioranza del gregge preferisce il nerbo del padrone alla gioia di vivere senza i lacci ed i lacciuoli che li costringono…non possiamo perdere tempo, se lo schiavo vuol essere tale e difende con i denti la sua posizione…così sia.
Ogni paria, ogni intoccabile, sovversivo perché ingranaggo senza denti, perché sognatore, ostinato e contraro verso ogni ingiustizia deve, se lo vuole, agire, da solo o insieme ad altri 100 al fine di perseguire il proprio desiderio di Libertà e di liberazione individuale e collettiva; se è vero, ED E’ VERO, che portiamo dentro di noi un mondo nuovo allora per esso lottiamo, senza tentennamenti né rimorsi, e lottiamo ORA; lottiamo con chi vorrà agire al di là di tante sterili parole, lottiamo con chi non ne vuol più saperne di deleghe (la marea è silenziosa ma cresce), lottiamo con tutti coloro che sentono il peso opprimente delle scelte che altri precipitano sui loro capi e che intravedono oltre la coltre di rassegnazione e indifferenza un flebile quanto ostinato raggio di sole. Ribellarsi è giusto.
Grecia – Nuovi espropri e condivisioni contro il caro-vita
GRECIA: ‘NUOVI ROBIN HOOD’ COLPISCONO A
SALONICCO E ATENE (ANSA) – ATENE,20 SET – Quelli che la stampa greca ha
battezzato «I nuovi Robin Hood»,si sono rifatti vivi oggi con due
azioni apparentemente coordinate ad Atene e Salonicco entrando in
supermercati, appropriandosi di cibo senza pagarlo per distribuirlo
successivamente ai poveri, dopo aver lanciato slogan e volantini contro
l’aumento dei prezzi.
Le nuove azioni di coloro che si proclamano «vigilanti» contro
l’eccessivo aumento dei beni di consumo, e che appartengono secondo la
polizia al movimento anarchico, si sono svolte in un supermercato della
capitale con la partecipazione di venticinque persone mascherate,
riferisce l’agenzia Ana.
A Salonicco hanno partecipato una quindicina di attivisti egualmente
mascherati. Sono fuggiti prima che arrivasse la polizia. I ‘raid’ hanno
fatto seguito ad altri
compiuti nelle settimane e mesi scorsi sia a Salonicco che ad Atene
contro l’aumento del costo della vita divenuto una delle principali
preoccupazioni dei greci secondo i sondaggi. Con l’inflazione ufficiale
intorno al 4,9%, il partito di opposizione Pasok denuncia che il potere
d’acquisto della famiglia media negli ultimi quattro anni ha perso
almeno il 25%. Proprio a Salonicco,teatro di una delle due azioni
odierne dei «Robin Hood», una grande dimostrazione di piazza contro la
crisi economica e l’aumento dei prezzi aveva accolto le settima scorse
il premier Costas Karamanlis, che aveva inaugurato la Fiera
Internazionale della città mediterranea. (ANSA)
Modena – Dai giornali sul corteo contro lo sgombero di Libera
fonte: il resto del carlino
Clima ‘elettrico’ per la manifestazione contro lo sgombero della
sede di Marzaglia (dove sarà realizzata la futura pista prove). Al
passaggio del corteo, slogan, minacce al sindaco, muri imbrattati. E
una scia di polemiche
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Corteo di Libera Modena, 20 settembre 2008. Slogan, minacce al
sindaco e alla giunta, bestemmie, bombe carta e muri imbrattati. Tutto
questo e’ accaduto nel pomeriggio in centro storico a Modena, per il
corteo organizzato dagli anarchici di ‘Libera’, che protestano contro
lo sgombero della sede di Marzaglia, su cui verrà realizzata la pista
prova automobilistica.
Gli anarchici avevano scelto appositamente questa data, per la
concomitanza con il Festival filosofia. Nel pomeriggio, tra l’altro, in
centro si teneva anche la processione con l’immagine della Madonna di
Fiorano, per l’apertura dell’anno pastorale dell’arcidiocesi.
Il corteo, presidiato in forze da Polizia e Carabinieri, non ha
toccato i luoghi del festival e si è snodato lungo altre strade:
tuttavia, lungo il percorso, vari manifestanti hanno imbrattato con
vernice spray i muri di alcune case. In via Sigonio e in largo Moro
sono state anche lanciate bombe carta, come potenti petardi, che sono
esplosi con fragore, ma senza causare il ferimento di persone.
La manifestazione si è poi conclusa nel tardo pomeriggio. Ha
lasciato però già una scia di roventi polemiche: “Basta centri sociali,
basta esaltati che scambiano la città per un letamaio. Basta: se non
sarà il comune a denunciarli lo faremo noi”, dice Enrico Aimi,
consigliere regionale di An.
* * * * *
fonte: il fo’ romagna
Modena: Leoni (PDL) su lancio bomba carta durante corteo anarchici
"Il lancio di una bomba carta contro la Polizia da parte degli
anarchici nel corso del corteo che si è svolto ieri a Modena è un fatto
di una gravità assoluta. Senza dimenticare l’imbrattamento dei muri,
gli insulti, le bestemmie davanti alle chiese e la paura arrecata alla
gente perbene. Il tutto mentre la città era teatro del Festival della
Filosofia uno degli appuntamenti più attesi per Modena". Così il
Consigliere regionale del PDL Andrea Leoni.
Come sempre la stampa di regime
non perde tempo quando può falsificare la realtà (memento per chi pensa
che il rapporto con i prezzolati giornalisti possa servire al
movimento) o distorcere i fatti; il corteo di Modena è stato festoso
quanto deciso, un petardo non è una bomba carta, momenti di tensione ce
ne sono stati…ma nulla più, le scritte…delinquente come sempre è
chi scrive su un muro e non chi distrugge un area di pregio ambientale
per costruire un autodromo., privatizzando -di fatto- un area pubblica
a tutto tornaconto dei vari Montezzemolo (implicato nell’affaire
autodromo). Da riserva naturale a riserva di nocività dunque.
Ricordino
lor signori, sindaci, giornalisti, devastatori ambientali, che la
storia insegna: chi semina vento raccoglie tempesta. Solidarietà a
tutti gli sgomberati, a tutti gli spiati, a tutti i Ribelli!
Evjenij Vassil’ev Bazarov.