E’ morta Marina Giandolfi Antonelli

Marina Giandolfi, 88 anni, era una delle figure più rappresentative
dell’anarchismo toscano. Livornese, moglie di Egisto Antonelli,
partigiano anarchico e madre di Tiziano, della Federazione anarchica
livornese.

A Tiziano, alla sua famiglia ed alla compagine libertaria di Via degli Asili, va un forte abbraccio.
I funerali si svolgeranno lunedì pomeriggio, a Livorno.

Trento – Nuova occupazione anarchica

Occupato lo stabile di via manzoni n. 6 – Un nuovo spazio autogestito a Trento

OGGI 19 SETTEMBRE ABBIAMO LIBERATO UNO STABILE vuoto da anni per
trasformarlo in uno spazio autogestito in cui incontrarsi, discutere,
fare musica e lottare fuori dal controllo istituzionale e dalla logica
del profitto.
L’esigenza da cui partiamo, e che vorremmo
condividere, è quella di aprire una breccia nella pace sociale, di
costruire e sperimentare rapporti liberi dall’autorità e dal denaro,
sgravati dalla zavorra del consumo, della competizione e delle passioni
tristi che fanno delle nostre vite un pendolo che oscilla tra gli
obblighi e la noia.
Non vogliamo certo rinchiuderci tra qualche muro, bensì diffondere in città il virus della sovversione e della libertà.
Padroni
di niente e servi di nessuno, questo mondo di merci e di dipendenze ci
fa invecchiare anzitempo, rendendoci passivi e manipolabili.
Abbiamo
tante idee e fiato da vendere. Dibattiti, cene, concerti, teatro,
proiezioni saranno alcune delle iniziative che vorremmo organizzare,
aperti al contributo di chiunque voglia partecipare e proporne altre.
Amanti
appassionate del gioco della libertà, le regole che abbiamo scelto per
continuare a giocare sono semplici quanto irrinunciabili:

Non vogliamo politici e giornalisti tra i piedi. Tanto meno fascisti, razzisti e sessisti.
Le iniziative che riguardano tutti i partecipanti all’occupazione si decidono in assemblea all’unanimità.
Non accettiamo alcuna attività di lucro all’interno dello spazio.
Non siamo gestori di un locale in cerca di clienti, ma sovversivi in cerca di complici.

Ci sono per noi delle lotte che rappresentano delle priorità:
innanzitutto quella per impedire la costruzione della base militare di
Mattarello. Ma vogliamo affrontare e contrastare tutte quelle nocività
ambientali e sociali che stanno devastando le nostre vite e la terra in
cui viviamo (TAV, razzismo, carcere, controllo poliziesco e
tecnologico…).
Insomma, vorremmo parlare di libertà in libertà. Cerchiamo altre menti e altri cuori per quest’avventura.

SABATO 19 SETTEMBRE, DALLE ORE 21.00 IN POI

MUSICA CON I PEGGIO DJ IN CIRCOLAZIONE

DOMENICA 20 SETTEMBRE, ORE 16.00

ASSEMBLEA APERTA
a seguire concerto hard-core

gli e le occupanti di via Manzoni numero sei

Pt: Serata con i lavoratori Answers in lotta

Sabato 19 Settembre, a partire dalle ore 20 si terrà, presso il circolo Primo Maggio, una serata in solidarietà con i lavoratori del call center Answers, in lotta per chiedere il pagamento integrale degli stipendi, migliori condizioni di lavoro e chiarimenti in merito alla possibile aquisizione da parte del gruppo Omega, di cui si sa poco o nulla.

Questo il programma della serata:

Ore 20: Cena solidale;

Ore 21,30: I lavoratori e le lavoratrici Answers raccontano la loro vicenda. A seguire dibattito.

Il circolo Primo Maggio si trova a Pistoia, in Via San Marco 38.

Clicca l’immagine sotto per scaricare il volantino

SGAMATI! – Vietato parlare su una panchina di D’Azeglio

 Dal blog della rete dei collettivi:

Dopo averci cacciato a suon di manganellate e divieti dalla scuola dove
ci riunivamo, i nostri vecchi e cari tutori dell’ordine c’hanno di
fatto vietato di FARE UNA CAZZO DI CHIACCHERATA IN SANTA PACE su una panchina di D’Azeglio.

Infatti nel pomeriggio di oggi appena usciti da scuola abbiamo deciso
di fare la nostra assemblea nella Piazza del centro, ed è così che
intorno alle 3 del pomeriggio ci troviamo, chi seduto su una panchina
chi in terra su un casco, a ragionare di possibili volantini e progetti
per il nuovo anno scolastico.

Peccato che dopo qualche minuto viene notato a una notevole distanza un sospetto figuro con telecamera alla mano puntata verso di noi,
il quale con fare molto ma molto losco inizia ad allontanarsi e ad
abbassare la telecamera  non appena ci accorgiamo della sua presenza.

Inutile dire che come qualcuno di noi si avvicina per chiedere spiegazioni, spuntano, nascosti dietro alberi e fraschi, altri 4-5 digossini con atteggiamenti minacciosi,
e che solo un affrettato allontanamento, che mostra poi la presenza di
altri 3 digossini in un altro punto della piazza, evita il fermo degli
studenti presenti all’assemblea.

Questo è uno dei casi in cui le parole sono difficili da esprimere; è
invece molto più facile provare una strana sensazione dentro di sè, di stupore, ormai sempre meno in realtà, di assurdità, (8 persone pagate – da noi – per guardare quanti siamo belli e ascoltare i cazzi nostri!), di rabbia,
perchè ormai viviamo in un paese dove non è più possibile trovarsi un
pomeriggio in una panchina di una piazza in più di 3 persone e parlare
di quello che ci succede attorno, senza gli aguzzini del regime che
cercano di spiarci pronti per colpirci e eliminarci.

L’invito a questi signori è quello di iniziare a pensare un pò di più
alla loro famiglia, ai loro hobby e alla loro vita, invece di
continuare a scavare nelle nostre, o cambiando lavoro o, la prossima
volta che un ordine del genere gli verrà dato dai loro capi, andando a
prendere un buon caffè e poi raccontando loro che siamo sempre noi e
che le vostre continue persecuzioni non c’hanno fermato.

L’invito agli studenti invece, a questo punto, è quello di continuare a informare, continuare a incontrarsi, continuare ad agire, sempre però mostrando attenzione per
queste merde che oggi per esempio non hanno trovato nulla di meglio da
fare che passare un pomeriggio a nascondersi dietro le frasche a
guardare quel cazzo che facevamo, probabilmente mentre a casa loro
qualcuno più furbo stava a scoparsi le loro mogli.

 

Giornata di solidarietà internazionale per Gabriel e José

Compagne e compagni della Croce Nera di Berlino e di altre
organizzazioni antiautoritarie tedesche hanno indetto una giornata di
solidarietà internazionale per Gabriel Pombo da Silva, rinchiuso nel
carcere di Aachen, e José Fernandez Delgado, rinchiuso nel carcere di
Rheinbach.
La giornata inizierà con un presidio sotto il carcere di Aachen alle
ore 11, in seguito il presidio si terrà sotto il carcere di Rheinbach
alle 14.30 ed infine, alle 18, a Colonia si svolgerà un dibattito
sulla repressione e sulle lotte contro il carcere.
Purtroppo i tempi molto stretti impediscono di dare il vita ad
iniziative solidali simili, ma si spera in futuro di allargare queste
situazioni di lotta anche in altri paesi.
Il sito della CNA-ABC di Berlino è:
www.abc-berlin.net
Lì si trovano il manifesto e il volantino relativi all’iniziativa solidale.

Un abbraccio ribelle e solidale a Gabriel e José
Culmine

Scarica il manifesto

Crisi e lotte operaie

 

Da qualche tempo i media ci
raccontano di quanto il peggio sia passato, di come la ripresa stia cominciando
e di come si debba avere fiducia e rilanciare i consumi; eppure la verità è
un’altra.

In autunno  “la crisi” si aggraverà ancor più e
colpirà soprattutto le imprese medio/piccole e gli artigiani, infatti chi
avesse avuto la fortuna di chiudere il bilancio di Luglio in pari, si ritroverà
a Settembre a dover affrontare le spese di ammortamento delle attività
(bollette, fatture rientrate in Agosto, -mese “improduttivo” a causa delle
ferie- e che quindi prospetterà una carenza di capitale al riavvio delle
attività, ecc…), spese che in vacanza non vanno.

Ci troveremo ad affrontare un
autunno/inverno di attività che chiudono e posti di lavoro che sfumano, ci
troveremo con il comparto industriale che cavalcherà la crisi per rinegoziare
al ribasso i diritti e le tutele dei lavoratori (contratti nazionali, dove
ancora esistono, e contratti di secondo livello), utilizzando la crisi come spauracchio
per “ottimizzare la produzione riducendo gli sprechi”…in poche parole
licenziamenti e delocalizzazioni…con buona pace dei sindacati confederali
sempre pronti a chinare il capo di fronte a piccole concessioni di facciata.

 Nel pistoiese la crisi sta mordendo in maniera particolare,
due grandi aziende (Radicifil e MAS) sono già chiuse lasciando a piedi
centinaia di lavoratori, e qualche tempo fa stessa sorte era toccata anche alla
Recoplast di Agliana…L’Ansaldo Breda ha preventivato qualcosa come 200.000 ore
di esubero a partire da Giugno 2010, che in lingua volgare vuol dire
licenziamenti (quantomeno per quanto riguarda le ditte esternalizzate e
l’indotto).

A fronte di tutto ciò le
mobilitazioni che si sono avute sul territorio pistoiese, come il presidio permanente degli operai in lotta della Radicifil, sono state importanti, perché
hanno dimostrato che sotto la cenere della concertazione sindacale la
combattività dei lavoratori arde sempre…eppure a guardare le medesime vicende
svoltesi in altri paesi mondiali ed europei ci rendiamo immediatamente conto di
quanto la conflittualità italiana sia ancora relegata alla rivendicazione
simbolica di diritti astratti ma negati nella pratica ogni giorno.

In Francia, a fronte di una
situazione molto simile a quella della Radici (produzione che viaggia a pieno
regime ed ordini che non mancano, alta professionalità, chiusura…) gli operai
della Nortel hanno deciso, vista la riluttanza della proprietà a trattare, di
minare la fabbrica minacciando di farla esplodere; Sempre nel paese transalpino
i sequestri dei managers sono diventati consuetudine nelle lotte tra capitale e
lavoro. Insomma, i francesi hanno capito che l’azione diretta paga, ma non è
tutto oro ciò che luccica, infatti queste rivendicazioni non rompono con
l’impostazione del lavoro (rapporto osmotico capitale/lavoro) e della società
attuali…ma chi ben comincia…Altro discorso vale per la Grecia. Tutti abbiamo
negli occhi le rivolte di Dicembre 2008 (e che a bassa intensità continuano
tutt’ora) che hanno avuto come causa scatenante l’omicidio di Alexis
Grigouropulos da parte delle forze del disordine; ma la rivolta greca non è
stata ed è cieca e priva di contenuti come i media di regime hanno tentato e
tentano di farci credere: tra le parole d’ordine che volavano sulle barricate
di Exarchia e di tutta la Grecia c’erano il no alla riforma dell’istruzione e
la rabbia per una disoccupazione crescente figlia di un economia capitalista
che ormai si sta dimostrando per quel che è: lucrosa per pochi e devastante per
il resto degli individui…i nipoti di Socrate, come sempre, hanno fatto un passo
in più.

Che fare dunque nel mondo, in
Europa, in Italia?

Per colpire in maniera importante
l’impostazione economico/autoritaria della società in cui ci troviamo a vivere
e per fare un ennesimo passo avanti verso un orizzonte diverso da quello fosco
verso cui siamo indirizzati, occorre agire direttamente sui meccanismi di
sfruttamento distruggendoli in maniera radicale.

In vari paesi del mondo –per
esempio- l’autogestione operaia delle fabbriche è una realtà, è di queste
settimane la vittoria dei lavoratori argentini della Zanon, che nove anni fa
occuparono l’azienda in cui lavoravano decidendo di autogestire la produzione,
e di farlo in maniera orizzontale (senza dirigenti, senza gerarchie, con
cariche e responsabilità a rotazione); ebbene dopo 9 anni di lotta, di AZIONE
DIRETTA, anche il governo, per salvare la faccia, è stato costretto a
riconoscere “legalmente” l’esproprio operato dai lavoratori.

Ma anche nella vecchia Europa
l’autogestione operaia non è un miraggio ma realtà; a Settembre 2007 i
lavoratori di una fabbrica di biciclette decisero di riavviare ed autogestire
l’azienda per cui lavoravano creando la Strike-bike.

La cosa interessante di queste
esperienze, oltre l’evidente valore di ogni esperienza d’autogestione, è la
comprensione, da parte dei lavoratori, che se le battaglie si vincono lottando
direttamente e senza mediazioni, i risultati si difendono attraverso la
solidarietà e la risolutezza.

La strike-bike lanciò una
sottoscrizione dal basso (senza chiedere incentivi a stato o prestiti a banche
che li avrebbero strozzati) che fu recepita in tutta Europa; la zanon, in un
contesto di crisi e lotte operaie diffuse (simile alla situazione italiana
attuale) mise a punto un fondo per lo sciopero permanente aperto a tutte le
realtà in lotta, appoggiò tutte le rivendicazioni dei lavoratori nei vari
comparti produttivi e dei disoccupati, legandosi a doppio filo con le realtà
studentesche più combattive.

Questi esempi c’insegnano non
solo che l’autogestione è possibile, ma che è necessaria per creare un
orizzonte che rompa con questo presente fatto di sfruttamento di tanti a favore
di pochissimi.

La sfida non è semplice,
soprattutto ora che la crisi sta velocemente sgretolando il sogno artificiale
di benessere diffuso creato ad arte dall’apparato di propaganda del capitale
transnazionale, che sicuramente non starà a guardare mentre nuove forme di
aggregazione dal basso mostrano agli individui che SI PUO’ FARE, che si può vivere
anche al di fuori dei paradigmi capitalisti e neoliberisti, che si può lavorare
e vivere senza nessuno che ti ordina cosa fare e ti dice come farlo, che la
gerarchia è superflua, che il sol dell’avvenire, d’ottocentesca memoria, può
non essere così lontano…la repressione colpirà, e già colpisce, ma la sfida è
irrinunciabile; Certo si può far finta di niente, si può aspettare che altri
risolvano i nostri problemi, si può attendere che tutto cambi perché tutto
resti uguale (e questo è il rischio)…ma allora non ci lamentiamo, spezziamoci
la schiena e zitti, il padrone ce lo chiede.

 

Evjenij Vasil’ev Bazarov.

Afghanistan, esplosione a Kabul Sei vittime tra i parà della Folgore

Da Repubblica.it

 autobomba contro due blindati Lince sulla strada per l’aeroporto della capitale
Quattro parà feriti gravemente. I Taliban rivendicano l’attentato suicida. Tra i civili 2 morti e almeno 30 feriti

Afghanistan, esplosione a Kabul
Sei vittime tra i parà della Folgore

il ministro dela Difesa La Russa: "Infami e vigliacchi non ci fermeranno
Uno dei militari uccisi sembra avesse raggiunto i connazionali proprio oggi

Afghanistan, esplosione a Kabul Sei vittime tra i parà della Folgore

Il blindato italiano obiettivo dell’attentato

KABUL –
Attentato kamikaze a Kabul, capitale dell’Afghanistan. Sulla strada per
l’aeroporto, un’autobomba è esplosa contro due blindati italiani. Sei
paracadutisti della Folgore sono morti: un’auto carica di esplosivo si
è lanciata contro il primo mezzo del convoglio, uccidendo tutti e
cinque gli occupanti. Danni gravi anche al secondo Lince: uno dei
militari a bordo è morto e altri quattro sono rimasti feriti
gravemente. Vittime anche tra i civili: almeno due e oltre 30 i feriti.
Decine di veicoli hanno preso fuoco.

Nelle immagini di una tv locale si vede un mezzo militare italiano
danneggiato, con le lamiere annerite dal fuoco, accanto al quale
soldati italiani stendono un telo sul corpo di un collega morto. Uno
dei sei militari italiani uccisi, sembra fosse appena arrivato a Kabul,
probabilmente oggi stesso.

L’attentato è stato rivendicato dai Taliban. il ministro della Difesa
Ignazio La Russa, al Senato, ha informato il Parlamento ribadendo che
quest’ultimo attentato non cambierà la strategia del governo: "Infami e
vigliacchi non ci fermeranno"

L’esplosione è avvenuta nel centro della capitale, all’altezza della
"rotonda di Massud", un incrocio stradale rallentato da check point che
controllano il traffico verso l’aeroporto, verso il comando Nato Isaf e
verso l’ambasciata americana.

Quello di Kabul è il più grave attentato subito dalle truppe italiane
dalla strage di Nassiriya, in Iraq,
del 12 novembre 2003. Nell’esplosione di un camion-cisterna davanti
alla base italiana Msu dei Carabinieri, ci furono 28 morti, 19 italiani
(12 carabinieri, cinque militari dell’Esercito e due civili di una
troupe che girava un documentario), e 9 iracheni.

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L’attentato suicida è avvenuto pochi minuti dopo che il presidente
Karzai aveva concluso una conferenza stampa al palazzo presidenziale
dedicata ai risultati delle elezioni annunciati ieri pomeriggio dalla
Commissione elettorale afgana. karzai ha contestato le obiezioni fatte
dagli osservatori dell’Unione europea secondo cui potrebbero esserci
brogli su quasi 2 milioni di voti.

Karzai continua a respingere i sospetti di brogli
massicci alle elezioni che lo hanno appena riconfermato alla guida del
Paese: "Credo fermamente e fermamente alla regolarità delle elezioni
presidenziali, malgrado le accuse di brogli", ha detto Karzai
incontrando la stampa. Il presidente ha aggiunto di credere fermamente
anche nella convinzione del popolo afgano e del suo governo nel
cambiamento in corso. Karzai ha detto che se brogli ci sono stati,
devono essere accertati, ma comunque non sono stati estesi come
denunciato.

La difesa del voto da parte di Karzai arriva a poche ore dalle accuse
degli osservatori dell’Ue che hanno denunciato brogli massicci con
oltre un milione e mezzo di voti fraudolenti. La proclamazione del
nuovo presidente dell’Afghanistan non potrà avvenire fino a quando non
saranno chiuse le inchieste sulla regolarità delle elezioni.

Karzai è risultato vincitore alle presidenziali con il 54,6% dei
consensi contro il 27,8% dello sfidante Abdullah Abdullah. Alle urne è
andato meno del 40% degli elettori afgani.

(17 settembre 2009)


Ebbene ecco a cosa porta la vostra pace…Autobombe che uccidono assassini…gran perdita?

 

Trento e Rovereto – Né retate né Alpini

Un fine settimana piuttosto movimentato.

Sabato sera, attorno alle 18,00, una trentina di compagni ha
occupato – smurando e aprendo l’ingresso principale – la Palazzina
Liberty, una villa all’interno del parco di fronte alla stazione dei
treni di Trento. Per quell’ora era stato pubblicizzato un concerto
contro il controllo sociale in un altro parco della città, dove alcuni
compagni comunicavano che l’iniziativa si sarebbe svolta alla Liberty
occupata e autogestita per quella sera.

Piazzato l’impianto sulla terrazza della palazzina, gli anarchici
hanno spiegato le ragioni dell’occupazione: riaprire uno spazio già
occupato da altri e sgomberato cinque anni fa e allo stesso tempo
creare un momento di lotta e di confronto contro il delirio securitario
e contro le continue retate ai danni degli immigrati che avvengono
proprio in quella piazza, che da anni autorità e benpensanti vorrebbero
normalizzare. Gli interventi in italiano e in francese sui CIE, le
espulsioni, il controllo poliziesco, la limitazione della libertà di
tutti hanno fatto avvicinare e discutere diversi immigrati. All’interno
della palazzina si è poi svolto un concerto hip-hop e hard-core. La
sala si è riempita (soprattutto di ragazzi ma anche di meno giovani), a
dimostrazione di come sia sentita in città l’esigenza di aprire spazi
di libertà.

Domenica mattina, a Rovereto, si è svolta la parata degli Alpini per
commemorare l’80° anniversario della sezione locale dell’ANA. Ma non è
stata una festa. Ignoti avevano vergato durante la notte parecchie
scritte sui muri contro la presenza degli Alpini in Afghanistan e nelle
città italiane, contro la militarizzazione dei territori. Coperte in
fretta e furia le scritte all’alba, le penne nere si sono viste
costrette a celebrare l’adunata con alzabandiera e frecce tricolori
davanti al loro monumento (eretto nel 1940, per la cronaca) che ancora
grondava vernice rossa. Raggiunto il corso principale della città, i
circa duecento vecchi e giovani guerrafondai hanno trovato prima tre
compagni che hanno lanciato fumogeni e calato uno striscione da una
torretta, poi, duecento metri più in là, una quindicina di altri
anarchici con striscioni, fumogeni, petardi, trombe e megafono su un
tetto della centralissima piazza Rosmini. Visibilmente nervosi, hanno
sfilato mentre al megafono veniva spiegato che qualche giorno prima gli
Alpini avevano pestato alcuni immigrati nel lager di corso Brunelleschi
a Torino con la complicità della Croce Rossa (anch’essa presente alla
sfilata). Dall’Afghanistan alle città italiane – questo il ragionamento
fatto – il ruolo degli Alpini è difendere gli interessi dei padroni,
preparandosi sempre di più alla guerra anche “in patria” (oggi contro
poveri e clandestini, domani contro intere popolazioni in rivolta). Non
poteva mancare, ovviamente, un riferimento alla base militare di
Mattarello.

Polizia, carabinieri, vigili urbani e finanzieri hanno brigato non
poco prima di identificare la ventina di compagni. Un quotidiano
titolava oggi “Agguato anarchico agli Alpini” (esagerati), parlando di
circa venti denunce (scontate).

compagni di Trento e Rovereto

270bis – Stop a risarcimento ingiusta detenzione

fonte: Italia Oggi, 11 settembre 2009

La riparazione per ingiusta detenzione non è un diritto di tutti gli
imputati assolti. Infatti va negata, nonostante le accuse infondate, a
chi ha imprudentemente accettato il rischio di avere contatti con
un’organizzazione criminale e quindi, di conseguenza, di apparire
coinvolto negli affari illeciti.

La buona notizia per le casse dello Stato, sempre più oberate dalle
spese di giustizia, arriva dalla Cassazione che, con la sentenza n.
35030 del 9 settembre 2009, ha respinto il ricorso di un 36enne accusato "di partecipazione con finalità eversive" a un’organizzazione criminale.

La vicenda: L’indagato era
stato assolto da tutte le accuse: "dal reato associativo perché il
fatto non sussiste, dagli altri per non aver commesso il fatto". Per
questo aveva chiesto di essere risarcito per il periodo che, in virtù
della custodia cautelare decisa dal primo giudice, aveva trascorso in
carcere, da settembre 1996 a gennaio 1998.

Ad aprile del 2008 la Corte d’Appello di Roma aveva negato la
riparazione. Contro questa decisione lui ha fatto ricorso in
Cassazione. La quarta sezione penale, con una sentenza ben motivata e
destinata all’ufficio del massimario, lo ha integralmente respinto.
Prima di tutto gli Ermellini hanno analizzato le considerazioni sulle
prove fatte dai giudici di merito.

"Il provvedimento
impugnato", si legge a un certo punto della sentenza, "ha evidenziato
che l’uomo aveva abituali frequentazioni con il mondo della militanza gerarchica
[forse errore di battitura ndr.], non, evidentemente, solo quella tout
court (che sarebbe circostanza del tutto neutra), ma anche quella
riconducibile alla imputazione del provvedimento cautelare".

Insomma l’imprudenza di chi è stato ingiustamente messo in manette
può costargli l’indennità tanto che in altri casi la Cassazione ha
deciso per il mancato ristoro se l’indagato non si è difeso
adeguatamente dalle accuse. Il principio: Ma qui è diverso. L’aver
imprudentemente frequentato, in determinate circostanze,
l’organizzazione criminale può essere un buon motivo per non
accordargli i soldi.

In un passaggio chiave che chiude le sei pagine di motivazioni i
giudici della quarta sezione penale hanno scritto che "alla stregua di
tali evidenziate circostanze, non appare censurabile, in applicazione
dei principi sopra enunciati, l’affermazione del provvedimento
impugnato che, cioè, il complesso di tali elementi ancorché considerati
non decisivi per una affermazione di penale responsabilità delinea,
quanto meno, un comportamento altamente imprudente e superficiale,
poiché l’indagato, in tal modo, ha accettato il rischio di apparire
coinvolto nell’organizzazione criminale".

In altri termini, ha spiegato la Cassazione in diversi punti della
decisione, i parametri di valutazione che deve usare il giudice
chiamato a decidere sull’ingiusta detenzione non sono gli stessi
rispetto a quelli che deve usare il giudice chiamato a decidere sulla
responsabilità penale di un cittadino. "La valutazione del giudice
della riparazione", ecco un altro passaggio importante, "si svolge su
un piano diverso, autonomo rispetto a quello del giudice del processo
penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale: tale
ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di una ipotesi di
reato ed eventualmente la sua riconducibilità all’imputato; il primo
invece deve valutare se le condotte si posero come fattore
condizionante alla produzione dell’evento detenzione. Il rapporto fra
giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel
condizionamento del primo rispetto all’altro". La decisione non ha
messo tutti d’accordo. Infatti la Procura generale della Cassazione
aveva sollecitato un annullamento con rinvio dell’ordinanza della Corte
romana.

Un video sulla Croce Rossa nei Cie

Da indy Toscana:

 

Ciò che ogni giorno e ad ogni ora separa un senza-documenti dalla libertà è un crocerossino con delle chiavi in mano

Guarda il video su:
http://www.youtube.com/watch?v=2169g-J1bUU

e diffondilo il più possibile…

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Alcuni fatti di questi giorni ci lasciano supporre che ancora vi siano
equivoci diffusi sul ruolo esatto che giocano dentro alla “macchina
delle espulsioni” tutta quella serie di organizzazioni “umanitarie” o
“assistenziali” che hanno in mano la gestione dei 13 Centri di
Identificazione ed Espulsione che se ne stanno disseminati sullo
stivale. Parliamo della Croce Rossa, intanto, ma anche della
Misericordia, dei consorzi di cooperative Connecting People e Self,
solo per fare i primi nomi che ci vengono in mente. Tutte le volte che
si pone la questione sul tappeto c’è sempre qualcuno che si alza in
piedi e dice: «ma perché ve la prendete con loro?», «se non ci fossero
loro a curare i “trattenuti”, chi lo farebbe?». Soprattutto quando si
parla di Croce Rossa, poi, sembra quasi che il suo ruolo dentro ai
Centri sia di organizzare i turni in infermeria, controllare la data di
scadenza dei medicinali e vegliare sul rigoroso rispetto dei “diritti
umani” dentro alle gabbie. Non è così.

Gestire un Cie vuole dire averne in appalto la gestione complessiva.
Vuole dire ricevere dei soldi dal Ministero e con quelli organizzarne
la vita all’interno – fuorché la mera sorveglianza, affidata alle Forze
Armate e alla Polizia. La Croce Rossa dentro ai Centri che gestisce è
responsabile di tutto e quello che non fa direttamente con le proprie
mani lo appalta ad altri mantenendone sempre la responsabilità
principale. È la Croce Rossa a doversi lagnare con la Camst e la Sodexo
se dentro alla minestra dei reclusi compaiono scarafaggi o se gli
spinaci che vengono serviti sono scaduti, non la Prefettura. E pure
della qualità delle lenzuola e della pulizia è responsabile la Croce
Rossa. La Croce Rossa sceglie come spendere i soldi delle prefetture,
come organizzare i servizi, opera scelte in autonomia e altre di comune
accordo con i responsabili della Questura. Dentro ai Centri, insomma,
la Croce Rossa è talmente indaffarata che… non ha il tempo di curare
l’infermeria, che di fatto è ridotta a un distributore automatico di
psicofarmaci e calmanti. Per non parlare della fine che fa la famosa
“supervisione umanitaria”.

Ci spieghiamo con una immagine precisa: in due dei tre Centri gestiti
attualmente dalla Croce Rossa in Italia i crocerossini hanno in mano le
chiavi delle gabbie. Le aprono, le gabbie, quando serve, e quando serve
le chiudono. A Ponte Galeria a Roma e in via Corelli a Milano ciò che
ogni giorno e ad ogni ora separa un senza-documenti dalla libertà è un
crocerossino con delle chiavi in mano. E anche se in corso Brunelleschi
a Torino il mazzo di chiavi lo tengono materialmente in mano i
poliziotti, il ruolo dei crocerossini nei Cie è quello dei carcerieri.

Anche se non fosse vero che i crocerossini chiudono gli occhi di fronte
ai pestaggi o che vi partecipano; se non fosse vero che ridono quando i
reclusi disperati si mutilano e urlano di dolore; anche se non fossero
complici degli abusi sessuali contro le detenute e negligenti di fronte
ai malori anche gravi dei prigiornieri; anche se tutto questo non fosse
mai accaduto, anche se Hassan non fosse morto sotto i loro occhi
indifferenti, e neanche Salah o Mabruka – anche se tutto questo non
fosse mai accaduto, i crocerossini impiegati nei Centri rimangono
comunque dei carcerieri.

L’”imparzialità”, l’”equidistanza” della Croce Rossa tra lo Stato e i
reclusi è tutta sbilanciata verso la fedeltà alle leggi dello Stato che
rinchiude. Essere equidistanti e imparziali, a rigor di logica, vuole
dire valutare la possibilità di violare le leggi, di aprire le gabbie.
È evidente che non può essere così e che questa “equidistanza”, questa
“imparzialità”, non sono che vuoti artifici retorici. Qualunque
affiliato alla Croce Rossa che voglia dare sostanza concreta a questi
attributi deve partire dalla pretesa che l’istituzione per la quale
presta servizio esca dai Centri. E lo stesso vale per gli operatori
della Misericordia di Modena o Bologna, dei cooperanti della
“Connecting People” a Gorizia o di quelli del consorzio Self, della
cooperativa Albatros, di “Malgrado tutto”, di Sisifo, della Blucoop…

Non è un discorso nuovo il nostro. Ma è importante chiarirlo proprio
adesso, e soprattutto a beneficio di chi definisce le nuove leggi
sull’immigrazione “leggi razziali” e “campi di concentramento” i Cie.
Non ci debbono essere più equivoci, né scuse: se i Cie sono davvero
“sempre più simili a campi di concentramento”, volerli gestire è cosa
infame, e va detto forte. Di fronte a un “Campo” la non-collaborazione
è il minimo, e bisogna saperla pretendere, bisogna lottare per
allargarla e approfondirla. E se le nuove leggi sono davvero “leggi
razziali” a nulla servono petizioni e i cortei se poi il Governo
applica queste leggi con il lavoro delle nostre mani.

O si sceglie la non-collaborazione, e poi l’opposizione attiva, pratica
e determinata, o si finisce in un ginepraio fatto di dichiarazioni
roboanti e compromessi, di bei principi e pratiche collaborazioniste,
di discorsi forbiti ed equivoci interessati. Un ginepraio nel quale
ogni tensione etica svanisce e con lei anche il senso stesso delle
parole e del nostro essere uomini.

(Tutti gli audio del video che vi alleghiamo sono brani di telefonate
effettuate negli ultimi cinque mesi con reclusi dei Cie di via Corelli,
Ponte Galeria e corso Brunelleschi – tutti e tre gestiti dalla Croce
Rossa. Le telefonate sono state trasmesse in diretta da Radio Blackout
di Torino e da Radiocane di Milano, oppure archiviate nel sito della
trasmissione //Macerie su macerie//)