Firenze – Il diciannovesimo vicolo

IL DICIANNOVESIMO VICOLO

Nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, un’amministrazione comunale assetata di profitto e controllo sociale, con l’aiuto di una campagna stampa dell’ignobile quotidiano la Nazione, si decise a un’operazione che avrebbe definitivamente cambiato il volto del centro di Firenze. Prima ne espulse forzatamente quasi 6000 persone, dopo di che demolì il Mercato Vecchio e tutto il quartiere attorno. Se piazza della Signoria era il centro della vita politica e il Duomo il centro della vita religiosa, il quartiere del Mercato Vecchio era il centro della vita sociale. Dove adesso c’è l’anonima piazza della Repubblica, il palazzo di Fondiaria Assicurazioni, la Procura, l’Hotel Savoy, la Rinascente… c’era un intrico di vie, piazze, piazzette, vicoli, magazzini, abitazioni e botteghe artigiane, ancora saldamente in mano al popolaccio. In quella via Strozzi dove oggi ci sono solo negozi di lusso, c’era una sede anarchica. Dove adesso passano soprattutto turisti, giudici, poliziotti e uomini d’affari, c’era un crogiuolo dove individui d’ogni sorta si incontravano, si azzuffavano, discutevano, bestemmiavano, si innamoravano e talvolta si rivoltavano. In una parola, che VIVEVANO.
La vicenda del Mercato Vecchio è emblematica della città che il potere vuole. Dove la vita si esprime in tutte le sue molteplici sfaccettature, il Potere non vuole vedere altro che “secolare squallore”, il degrado di cui cianciano i giornalisti servi. La “Vita Nova” alla quale, da tempo, si restituiscono i centri storici, è un’esistenza interamente sacrificata al profitto e consegnata al controllo sociale. Un’esistenza dove i poveri sono braccati da ordinanze e pattuglie, dove gli abitanti dei quartieri vengono banditi da affitti e prezzi impossibili. Al posto delle viuzze buie che riparano dall’occhio dei gendarmi, devono stare ampie piazze dove i mercanti possano esporre le loro merci, e vie ben illuminate sorvegliate dalle telecamere. Assieme ad antiche strade, piazze, case e palazzi nobiliari, infatti, l’amministrazione comunale distrusse ben diciotto vicoli. Tutti, tranne uno: Vicolo del Panico, il diciannovesimo vicolo, l’unico sopravvissuto allo scempio.

L’11 ottobre 2005, la Questura di Firenze, inviata dall’Amministrazione comunale e dall’immobiliare Mauro Papi Srl, si decise a portare a termine quest’infame operazione cominciata centovent’anni prima, attaccando l’ultimo brandello di vita rimasto nel quartiere: il circolo anarchico di Vicolo del Panico, in cui per ventisei anni si erano incontrate e scontrate più generazioni di sovversivi e libertari. La risposta della vita offesa non si fece attendere: diversi occupanti opposero una decisa resistenza, dalla quale uscirono feriti un compagno e due poliziotti. Il circolo venne sgomberato. I compagni vennero trattenuti in questura per diverse ore, minacciati e provocati in vari modi. Un giovane, fermato per strada e accusato di essere tra i resistenti, venne picchiato dalla DIGOS. Tutti i presenti vennero denunciati per occupazione, danneggiamento e resistenza aggravata, alcuni anche per lesioni a pubblico ufficiale e uno addirittura per tentato incendio. Al posto del circolo anarchico c’è adesso l’ennesimo condominio, mentre l’accesso al vicolo è sbarrato dall’ennesima cancellata.

Ora la magistratura si prepara a presentare il conto.

Il 17 gennaio, nel tribunale di piazza San Firenze, nel corso di un’udienza in relazione a questi fatti, verrà probabilmente emessa la sentenza di primo grado. Su cosa si deciderà in tribunale abbiamo poco da dire.
Ciò che più ci preme è ribadire le ragioni che ci hanno portato a non subire passivamente lo sgombero: le ragioni del piacere, della libertà e della rivolta, che oggi come ieri scuotono la città della merce, dei ricchi e dei potenti.

SABATO 15 GENNAIO ORE 14 IN PIAZZA DEI CIOMPI
mostra sullo “sventramento di Firenze”

DOMENICA 16 GENNAIO ORE 10, 30 IN PIAZZA DELLA REPUBBLICA
mostra sullo “sventramento di Firenze”

LUNEDI 17 GENNAIO ORE 10 DA PIAZZA SANT’AMBROGIO
Anti-touring tour

anarchici

Firenze – trovate microspie

Da Indy Toscana:

Nelle ultime settimane sono state trovate 2 microspie nella sede del nostro collettivo

La prima è stata trovata in una scatolina elettrica, sospettosamente calda. Questa prima microspia era formata, oltre che da un microfono, da una telecamera.
A distanza di poco più di una settimana ne abbiamo trovata un’altra in una presa industriale.
In allegato le foto.

Spazio liberato 400 colpi.

Il malore attivo dei giovani prigionieri livornesi

Penso che la vita sia dura per tutti ma per fortuna ci sono legami e persone che ce la rendono migliore. (Yuri, 9 maggio 2010)

 

La morte di Yuri riapre il cimitero Sughere per lasciar cadere nella fossa comune dei morti reclusi un altro corpo innocente. È il dato che registriamo oggi, davanti all’ennesima presa in giro dell’amministrazione penitenziaria che, davanti al decesso di un ragazzo di 28 anni, detta la sua sentenza: è stato un malore attivo. Chissà che la direzione del carcere livornese non stia pensando di far passare uno spot pubblicitario sui i media locali: “Giovani livornesi, pensateci due volte prime di delinquere perchè se alle Sughere c’entrate giovani, il malore attivo vi colpirà misteriosamente e ne uscirete morti”.

1º atto
Sembra proprio così, perchè a quanto pare né la Direzione né gli organi regionali e nazionali hanno preso parola sulla vicenda. Hanno delegato l’anatomista, colui che taglia i corpi e ricuce le verità. È lui il nuovo oracolo che l’istituzione invoca davanti al sospetto intero di una città. Lui dirà, in nome della medicina penitenziaria, se la verità è qualcosa di dimostrabile o è semplicemente il risultato di un’ipotesi da confermare. Nel silenzioso e oscuro laboratorio di dissezione, l’anatomista ha atteso tre giorni per stabilire il secondo verdetto. Un tempo che farebbe impallidire anche le vecchie leggi speciali antiterroriste, che permettevano, e permettono ancora, alle polizie italiane di possedere, torturare, violare e spremere per giorni i corpi, in vita, di coloro che devono risultare colpevoli di qualcosa che serva allo Stato per confermare le proprie verità.
Questa volta però è stato diverso: quest’attesa fortunatamente non è stata fatta passare inosservata. La storia qualcosa insegna e Livorno, almeno quella Livorno che non abbassa la testa davanti alle verità dello Stato, non è disposta a tollerare che il carcere della città uccida coloro che per ragioni di povertà ci finiscono dentro. Così, mentre l’anatomista dissezionava le varie ipotesi e verificava con i differenti responsabili istituzionali, qual’era la verità migliore da confermare, centinaia di persone si sono piazzate davanti ai cancelli di quell’ammasso di cemento rosato di vergogna ed hanno processato il carcere, i suoi funzionari, i suoi secondini, le loro squadrette, i loro metodi, le loro omertà, i loro silenzi, i loro traffici, i loro malori attivi. “Assassini”. E con questa semplice parola, il popolo, quello che ancora decide di rappresentarsi senza intermediari, mediatori e spacciatori di democrazia, ha deliberato.
Ora che il primo atto della tragedia penitenziaria si è concluso con l’anatomista che dichiara il suo verdetto medico, inizia il secondo: la farsa.

2º atto
Marx, analizzando il colpo di stato con il quale il cugino di Napoleone, il 18 brumaio del 1799, prese il potere in Francia, stabilì una formula che ancora oggi è valida per avere una percezione di quello che ci sta accadendo intorno. Diceva Marx che mentre Napoleone Bonaparte conquistò tutta l’Europa con epiche e sanguinarie battaglie che uccisero migliaia di persone, il cugino, Luigi Bonaparte, tentando di imitarlo, esaurì in un anno la sua carriera di dittatore con la sconfitta della Francia davanti al potente esercito prussiano di Bismarck. E aggiungeva: “Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per cosí dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”.
Ora, davanti alla tragedia quotidiana delle Sughere, con i suoi organi direttivi che cambiano e che non pagano mai penalmente le responsabilità dei morti che restano, la morte di Yuri ci proietta nella farsa politica delle istituzioni livornesi, che davanti alla morte di venti persone in dieci anni è riuscita di nuovo a cavarsela premendo il “play” del disco democratico.
Abbiamo letto che il senatore Filippi e il Garante dei detenuti Solimano sono arrivati di soqquatto al carcere livornese. “Senza preavviso”, dicono. Come se noi livornesi fossimo tutti ignoranti, ci raccontano che sono arrivati alle Sughere e quasi quasi ci sono entrati saltando il muro di recinzione. In pratica vogliono farci credere che i loro occhi hanno visto la verità dei fatti. Ma visto che non tutti votiamo PD, c’è da ricordarsi che i loro occhi, anche se autorizzati a entrare “senza preavviso” (questa è una dei cosidetti privilegi che vengono concessi ai Garanti e ai parlamentari) sono entrati in quel mattatoio soltanto quando l’amministrazione penitenziaria ha chiamato la medicina forense, ha avvisato la polizia locale, ha riunito la popolazione carceraria, ha isolato il corpo di Yuri, ha attraversato il luogo del decesso, ha stabilito la sceneggiatura ed ha garantito che la trama che porta alla verità avrà bisogno di giorni (perchè?) per essere dichiarata ai parenti più stretti, per essere immessa nei circuiti mediatici, per essere registrata giuridicamente come l’unica e vera.
Poi, per confermare che all’origine di tutto c’è pur sempre una tragedia che è difficile convertire in farsa, ci viene detto attraverso la stampa che “i detenuti” (chi, quali, come, perchè, con che forme, in che modo?) hanno protestato per le proprie condizioni di reclusione e lo hanno fatto smentendo l’ipotesi che potesse essere accaduto qualcosa di simile a quello che accadde con Marcello Lonzi. Insomma, ci fanno sapere che c’era del nervoso nell’aria. Tutti erano preoccupati a dire che Yuri non è morto come Marcello. Invece di dire com’è morto, si diceva come non è morto. E visto che la tragedia ritorna sempre come farsa, oggi si può confermare: Lonzi è morto come Yuri. Ovvero Yuri è morto come Lonzi.
Per entrambi vale il “virus” del malore attivo, del volo per infarto dalla branda. No anzi: dell’inalazione della bomboletta di gas. O forse del colpo che hanno picchiato in terra cadendo. O chissà inalando il gas e volando dal letto. O magari volando dal letto, picchiando in terra, rialzandosi, inalando il gas… Insomma, non stiamo ora a fare gli schizzignosi: il malore attivo può funzionare in diversi modi. L’anatomista aspetta gli esami tossicologici però intanto circola la notizia che “forse Yuri è ucciso dal gas inalato”. Questa notizia si trasforma in notizia Ansa e la notizia Ansa si trasforma in verità. Intanto però gli esami tossicologici non arrivano e in fin dei conti – penserà l’amministrazione penitenziaria – “l’importante è che si dimostri che noi non c’entriamo… Che non l’abbiamo picchiato”.

3º atto
Allora proviamo ad uscire dalla farsa e a dire qualcosa in più, in attesa che gli esami tossicologici confermino la verità della verità che è stata data per verità. Alle Sughere le bombolette sono state più volte additate come responsabili di vari decessi eppure nessuno dei responsabili dell’amministrazione penitenziaria che ne autorizzano la vendita e la circolazione è mai stato portato a processo per concorso in omicidio. Perché? Non c’è bisogno di essere un Garante per rendersi conto che la circolazione delle bombolette di gas ha una funzione paradigmatica nel contesto di un carcere.
Come sostanza che attiva un rituale di modificazione di coscienza, il gas della bomboletta ha assunto un valore di scambio all’interno delle sezioni carcerarie. Com’è facile comprendere, la modificazione della coscienza è una delle risorse indispensabili per sostenere le torsioni mentali e fisiche della reclusione. Attivando uno stato di transe incosciente (ben differente da quello cosciente che può essere attivato dal detenuto in grado di produrre, mediante la respirazione, la yoga, il sogno, la lettura, la scrittura, il disegno… degli sdoppiamenti che gli consentono di conservare, mediante un’osservazione attiva, la sua lucidità) il gas funziona come una droga ed è di fatto considerata tale nel mercato di droghe a disposizione della popolazione più povera delle sezioni carcerarie. La bomboletta, venduta legittimamente nei market delle sezioni come strumento per scaldarsi gli alimenti nella propria cella, ha in realtà questa funzione principale: produrre degli stati modificati di coscienza, tra i più incoscienti possibili di quelli a disposizione di un portafogli di una persona di 28 anni che arriva in galere per furto e non dispone di altre risorse che gli permettano di attingere “merce” migliore nel mercato delle droghe dei cortili. In questo senso, la bomboletta è il secondo livello di sballo garantito dallo Stato. Al primo livello troviamo psicofarmaci e metadone, somministrati a fiumi per mantenere disattivata la gran parte della popolazione tossicodipendente che popola le carceri italiane. Queste merci vengono immesse gratis nei mercati carcerari, grazie al ricettario degli staff psicologici e psichiatrici sempre disposti a sedare i possibili conflitti dei reclusi più agitati. Mercati che per le grandi aziende farmacologiche rappresentano, ovviamente senza avviso previo, degli enormi laboratori di sperimentazione degli effetti devastanti delle sostanze che vengono inserite nelle bocche delle cavie recluse. Al secondo livello troviamo la bomboletta: potremmo definirla come una specie di droga sovvenzionata dallo Stato visto che non arriva gratis ma per garantirne il consumo e la legittimità della vendita, viene chiesto un contributo da parte del prigioniero. Chi la vende? Chi la distribuisce? Chi ci guadagna? Chi l’autorizza? Chi la consuma? Poi si sale di livello e si arriva all’erba e al fumo. Potenzialmente le meno dannose ma di fatto le più pericolose per gli odori che distribuiscono nei corridoi, sono sostanze che si trovano nel mercato, anche quello delle Sughere, ma vanno nelle mani di chi viene lasciato fumare in pace: ovvero per fumarle devi essere in condizioni di potere per non essere scalfito dalla visibilità che produce l’odore. Si arriva poi alle pasticche, gli acidi, i “cartoni”, la lisergica: un mercato abbastanza fornito visto che il consumo è inodore e la distribuzione raggiunge delle velocità e dei circuiti più ampli che garantiscono maggiore tranquillità. Gli effetti sono devastanti ma non i profitti: di fatto è il livello di coloro che, giovani, arrivano in galera per traffico e vengono inseriti nel mercato direttamente, per consumo o per capacità di “movimento”. Passiamo poi alla coca, tagliata da schifo e con enormi sostanze additive, la sostanza circola, come no, ma ha dei prezzi che superano l’impensabile per una persona che non dispone di economie proprie o familiari. Dunque resta la sua presenza ma la circolazione è ridotta. Resta sempre il fatto che per chi viene dai mondi della tossicodipendenza la coca, specie con le bassissime percentuali di sostanza pura, viene iniettata in quantità: e se la quantità non viene garantita, la coca non è un buon commercio perchè chi è consumatore non spende patrimoni per restare con un effetto che è infinitamente più ridotto, a un prezzo enormemente maggiore di quel che si trova fuori che si trova. E la lista finisce nella roba, l’eroina, che è una merce fluttuante perchè attraversa una quota di popolazione sempre meno numerosa. Perlopiù inalata, continua ad essere una sostanza d’eccezione, perchè, come la coca, con le qualità ridottissime e i costi altissimi, non è certamente una sostanza che può essere consumata con la frequenza che richiede.
Ritorniamo allora a bomba: anche davanti alla versione ufficiale, che Yuri è morto per inalazione di gas, qualcuno (non lo chiedete al Garante perché non lo sa) dovrebbe spiegare com’è che le bombolette continuano a girare. Com’è che per scaldarsi il caffè o il mangiare la direzione del carcere non abbia ancora previsto (come avviene altrove), dei microonde o delle piastre elettriche? Chi sono i più interessati allo sballo di gas? I detenuti poveri che non hanno altre risorse? I secondini che con il giro di bombolette sanno che chi inala si addormenta di schianto “senza rompere i coglioni” al loro turno di guardia? O la direzione del carcere, che tutto sommato per ridurre un problema di spaccio, ne consente uno che è garantito dalla legge, a basso costo, di bassa qualità e di “ridotti” rischi? Sono vere le tre versioni, ma a morire sono sempre i soliti…
Il miglior garante dei detenuti è il detenuto che conosce e comprende le sue condizioni di detenzione. Qualcosa che in tempi di crisi, con un paio di bombolette al giorno, si neutralizza con costi ridotti di personale.
Ogni morto di carcere è sempre un omicidio di Stato.

per Senza Soste, Jacob

10 gennaio 2011

Verona – Tre anarchici denunciati per danneggiamento aggravato

fonte: ansa

(ANSA) – VERONA, 8 GEN – Stavano imbrattando i muri, a Verona, con scritte a sfondo politico ma scoperti sono stati bloccati e denunciati all’autorita’ giudiziaria dalla polizia.

Protagoniste della vicenda tre persone, due uomini ed una donna, esponenti di movimenti anarchici bloccati con il materiale usato per imbrattare i muri. I tre, che erano privi di documenti, sono stati portati in Questura per il riconoscimento e quindi subito rilasciati. L’ipotesi di reato della denuncia e’ ”danneggiamento aggravato”.