Comunicato dal Canavese sugli arresti per gli scontri a Cuneo

Il 26 febbraio a Cuneo l’apertura della sede di Casapound provoca proteste e scontri. Sostenitrice di politiche razziste, omofobe, nazionaliste e xenofobe, Casapound dal 2003 è presente sul territorio italiano, sempre ben finanziata dalle lobby politico-mafiose della destra o dalle istituzioni, come grazie ai contributi della Regione Lombardia a un recente convegno. Le politiche a sfondo sociale che promuove (Mutuo sociale, occupazioni di case, sostegno alle madri lavoratrici) sono funzionali al clima di guerra e di paura in cui viviamo: i nemici sono gli stranieri, i più poveri, i diversi che cercano di portarci via quel misero benessere che possediamo. Una ricchezza che affonda le sue radici, da sempre, nella disuguaglianza e nello sfruttamento di uomini e risorse che si è fatto intollerabile. Che in molti si mobilitino contro la presenza di Casapound nelle proprie città, come è spesso accaduto, non può che farci gioire. Che la solerzia di sbirri e magistrati colpisca, come con l’azione repressiva di venerdì 27 maggio 2011, tutti coloro i quali da tempo si mobilitano contro le infamità di questi tempi, ne fanno pratica quotidiana, contribuiscono alle lotte in corso in diversi ambiti, ci fa capire bene che si è colpito nel segno.
A Luca, Fabio, Dario, Marco, Luca, Zaccaria, Francesco tutta la nostra vicinanza e solidarietà.
A Guido, sfuggito alle manette e purtroppo lontano dalle lotte che ha sempre sostenuto e abbracciato, il nostro vivo pensiero.
Perché tutti tornino presto liberi, perché la lotta continui!

Anarchici del Canavese

Torino – Nuova occupazione “No Way Squat”

Comunicato degli occupanti del NO WAY SQUAT:

Da Venerdì 3 Giugno 2011, nasce un nuovo spazio veganarchico autogestito, per contrastare l’ideologia del dominio antropocentrico…

Per aprire ogni gabbia, contro  l’omologazione del pensiero, il potere ed i suoi servi!

Nella Torino della crisi post-olimpica, delle grandi opere e delle speculazioni dei ricchi sulle spalle dei poveri… Ci riprendiamo un po’ di aria fresca, occupiamo un’altra TAZ (zona temporaneamente autogestita).

Il “No way Squat” nasce a Parella, nell’isolato della Boccia squat, liberata dagli squatters per due anni, sgomberata e rasa al suolo con il parchetto pubblico adiacente (compresi una quindicina di alberi) passata a zona edificabile grazie allo speculatore Chiamparino…

Il No Way nasce in un edificio  rimasto in disuso per più di dieci anni, mentre ci parlano di sacrifici e di pazienza per sopportare l’ennesima crisi che comunque ricadrà sulle spalle dei più poveri, così come dei più giovani, che però costretti a vivere vite sempre più precarie, superando la paura che ci vogliono imporre a colpi di repressione e di televisione, si fanno prendere dalla fantasia di riappropriarsi di un bene della città, quindi di tutti.

E di usarlo per un progetto di vita comune e non omologata, che si svilupperà proprio seguendo questa fantasia…
La fantasia di un mondo più libero e vivibile di quello che ci impongono come unico possibile.

Welcome Fassino, enjoy Torino!

Gli occupanti del “No way squat”!

Via asinari di bernezzo 21/A Torino

PT: Serata benefit per i compagni fiorentini, Ven 3 Giugno

Venerdì 3 giugno dalle ore 20 cena benefit per i compagni fiorentini, menù veg e non!! Prezzo popolare: 5 euro, a seguire:

HARD TIMES: SKIN & PUNK FEST!

dalle ore 22 concerto con:

ALFATEC – Firenze Hardcore
TRADE UNIONS – Livorno Oi!Core
DOOMED HUMANITY – Pistoia Crust Punk
DRUNKEN NIGHTS – Firenze Street Punk
DISKREPANZA – Prato Punk Hardcore

DALLE 20 CENA BENEFIT PER I COMPAGNI FIORENTINI!!
COSTO 5 EURO, INGRESSO GRATUITO

[FI] La Riottosa – Concerto benefit compagni bolognesi in arresto

La Riottosa – al Gialluzzo (uscita Certosa) info: lariottosa@insiberia.net

inzio festa con pizzata vegetariana bella fica in grande stile

concerto con:

Il Male – Black anarcho metal da Bologna
Attrito – Hard Core da Trento
Doomed Humanity – Crust da Pistoia

a seguire Il Nutria – suoni dalla fogna… tutta la notte

Benefit anarchici arrestati a Bologna

Lettera di Madda da Rebibbia

Carissime e carissimi,

Vi informo che da oggi, lunedì 23 fino a mercoledì 25 maggio, la sezione di alta sicurezza A1 e A2, inizierà uno sciopero del carrello e della spesa in solidarietà alle altre carceri italiane che già lo hanno iniziato da un po’ per denunciare il sovraffollamento e la situazione interna a cui le carceri devono far fronte ogni giorno.

Questa richiesta è venuta dal partito politico dei radicali, che, come ogni partito politico, non ha di certo reale interesse a mettere in evidenza il problema del carcere in sé, come struttura e istituzione, ma cerca come tutti di ammortizzare la situazione esplosiva interna, frutto di un sistema sociale malato.

Sapete già il mio punto di vista riguardo questa mobilitazione… di certo non credo che uno sciopero, partito poi da un gruppo di politicanti di merda come quello dei radicali, possa risolvere i problemi interni al carcere (essendo la struttura e ciò che la mantiene il problema), semmai ci vorrebbe, a mio parere, un tipo di lotta differente, più incisivo e dannoso alla struttura, una lotta, poi, che dovrebbe nascere dai/dalle detenuti/e stessi/e.

Comunque la sezione ha voluto dare il suo contributo, in maniera simbolica con questi 3 giorni, ad un metodo che ancora lega varie carceri italiane, che fa da filo conduttore tra reclusi e recluse.

In ogni caso, sappiate che le detenute della sezione comuni hanno apprezzato assai la vostra presenza sotto questo fottutissimo penitenziario! Quelle urla di supporto morale (mi è giunta voce) hanno scaldato il cuore e gli animi, rafforzando la mobilitazione partita oggi.

Peccato invece che in questo bunker di cemento in cui stiamo noi della massima sicurezza non sia arrivato il suono della vostra voce! Dio cane, mannaggia a loro! Poco o niente… a me ieri mi è parso di sentire qualche cosa subito sfumato nell’idea fosse la tv di qualche ragazza… vabbuò fa piacerissimo lo stesso sapere che ci siete stati e sopratutto che si continui quotidianamente con la lotta esterna.

Queste sezioni sono veramente la riproduzione del modello attuale di controllo che c’è fuori. Pur essendoci lasciato “campo libero” per via delle celle aperte dalle 8 alle 20, con spazi come la saletta per la socialità, la biblioteca (ben fornita grazie alla gestione di una compagna), la palestra (che comunque non ha strumenti funzionanti) e l’aria decorata con giardino e alberi, vige un elevatissimo studio e controllo di ogni nostro movimento! Ci stanno telecamere ad ogni angolo dei bracci, in ogni sala almeno 2, solo all’aria se ne contano 7! Ogni cazzo di nostra abitudine, spostamento è monitorato da questo occhio elettronico, non c’è un minimo angolo d’intimità: o sei guardata, o sei ascoltata (nelle celle, almeno quelle delle A2, sicuro ci sono i microfoni)… certo il carcere è questo, sei nella tana del lupo.

D’altronde il motivo è chiaro, come fuori, anche dentro si cerca e si vuole prevenire ogni forma di ribellione e/o “disagio interno”… diciamo che questo è proprio l’esempio più vicino e lampante (rispetto le detenzioni passate) del sistema sociale che c’è fuori attualmente. Ognuna diviene controllore di se stessa, sapendo di essere controllata ad ogni minima mossa, il tutto poi rafforzato dal fatto che ti concedono certe “comodità” come contentino per zittire ed evitare che possa nascere anche un barlume di ribellione interna. Il capo posto, dalla sua minchia di saletta monitor osserva in tempo reale ogni spostamento e abitudine d’ognuna. Per questo le sbirre in sezione non si vedono quasi mai, la loro presenza serve poco o niente (anzi con il fatto che non le vedi, aiuta ad evitare possibili conflitti con “il nemico più vicino”).

Inizialmente vedendo le celle aperte mi sentivo più “libera”, (non mi era mai capitato!), ma dopo soli due giorni ti rendi conto del motivo di tutto questo. Il gioco non vale la candela. I pochi metri in cui ti concedono di circolare stufano subito! Questo è un carcere dentro il carcere. Per chi conosce i penitenziari sa bene che le sale in comune: quella dell’avvocato, quella dei colloqui, matricola e via discorrendo, per raggiungerle se tu detenuto/a a doverti spostare; qua invece no, avvocati, colloqui, infermeria sono tutte all’interno di queste due piccole sezioni (in tutto le celle sono 8 contando pure le nostre 3 dell’A2) da questo spazio non ti muovi! Pure la matricola se deve notificare qualche cosa viene da te e non tu al suo cazzo di ufficio! Insomma veramente un mini carcere dentro al carcere.

La sezione spesso viene mostrata a consiglieri regionali e minchioni vari, presentata da sbirri e giornali come esempio di inserimento e integrazione del detenuto; come sezione modello per il fatto che dimostra come il carcere serva e funzioni, appunto, a reinserire… perchè in effetti è quello che fa, farti tornare un buon ingranaggio (grazie proprio all’accettazione conscia o inconscia della routine carceraria).

Vabbè ragà quello che volevo fare era descrivere la sezione della massima qua a Rebibbia date che io, come molte altre persone fuori, ne sapeva ben poco.

Per il momento vi saluto.

Vi abbraccio con il cuore sempre per la completa libertà!

Saluto tutti/e i/le miei/e compagni/e, sia quelli/e con obblighi imposti e indagati/e a piede libero, sia quelli/e trasferiti/e ultimamente in altre carceri del nord.

Al di là della distanza, quello che ci lega è molto più forte!

Abbraccio i compagni e la compagna detenuti in Svizzera e chiunque fuori continua la lotta contro uno stato di mega controllo sociale, che è appunto lo stato capitalista.

Forte nell’animo e nel core!

Con i detenuti e le detenute in lotta!

Madda,

Rebibbia 23 maggio 2011

Denunce e fogli di via da Bologna

Dopo le perquisizioni e gli arresti, ora nella laida Bologna stanno per arrivare pure i fogli di via per gli indesiderabili dal sistema.
Nelle scorse settimane, in giorni diversi, i digossini si sono presentati nelle abitazioni di cinque compagni, notificando varie denunce riferite al primo maggio scorso in piazza dell’Unità, dove si era svolta una celebrazione della festa dei lavoratori in ottica libertaria e non omologata alle feste dei sindacati e dei partiti.
In quell’occasione un’auto della Digos, che sostava nei pressi della piazza, era stata avvicinata da compagni che, gentilmente, chiedevano conto della fastidiosa presenza.
Per questo due compagni, ore dopo, verranno seguiti e fatti scendere da un autobus e i loro nominativi schedati. Altri tre compagni verranno fermati, qualche ora dopo, nelle vicinanze della piazza, portati in questura e dopo un oretta buona rilasciati con una denuncia per violenza e minaccia a pubblico ufficiale ed oltraggio a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello stato.
Qualche giorno fa, per questo episodio, i cinque compagni si sono visti addebitare, oltre ai già citati reati, anche quelli per danneggiamento aggravato e resistenza, senza peraltro far riferimento a qualsivoglia accaduto.
Ora alcuni dei compagni colpiti da quest’ennesima ondata repressiva si sono visti recapitare a casa dalla Digos il procedimento del Questore per comminare il prossimo foglio di via da Bologna.
é chiaro e lampante il clima che si respira in città, sempre più nauseabondo per qualsiasi persona che aneli ad un minimo di libertà. Per chi di libertà ne esige il massimo questo puzzo è un qualcosa che esige un moto di ribellione necessario alla vita. Un moto che è prima di tutto dignità!
Ci vogliono relegare da parte, senza possibilità di interagire con il contesto in cui anche noi anarchici, come tutti, viviamo. Vogliono tagliare i ponti, distruggere amicizie, affinità, legami. Tentano di mettere fuori gioco gli individui pensando, con questo, di spegnere quel fuoco della rivolta che sempre più divampa ogni dove.
Ma perché in ogni dove, quel fuoco sarà ben difficile da spegnere.

Anarchici inossidabili ed ignifughi.

 

Sergej Butkov – “Le cime di Pietroburgo”.

Le cime di Pietroburgo di Butkov, contemporaneo di Gogol, esce nel 1845.

Attenta disamina della società russa di metà ottocento, il testo è ambientato nelle soffitte pietroburghesi, quelle “cime” a metà strada fra inferno e paradiso abitata soprattutto da piccoli funzionari pubblici, alcuni cinici arrivisti, altri sognatori disillusi, tutti cristallizzati in un’esistenza da Cinovnik fatta di stenti, speranze appassite e vite tradite.

L’opera, che si inserisce nel filone del naturalismo russo è figlia di una scrittura essenziale ma mai noiosa o arida, permeata da un’ironia amara che a tratti assume i lineamenti della disperazione che però si tramuta quasi subito, come ad esempio nel racconto “L’abito buono” in una “serena” accettazione della propria misera condizione.

Le storie sono popolate di personaggi le cui esistenza è segnata già alla nascita da un’organizzazione sociale staticamente divisa in classi dalle quali solo la fortuna, la benevolenza di un protettore o un matrimonio ben ponderato possono aprire uno spiraglio di felicità –comunque scontata a caro prezzo- rappresentata dal quantitativo di Rubli che si riusciranno a mettere assieme il primo del mese.

Nelle storie si rincorre una speranza tisica, una felicità di cartapesta legate ad un nastrino, un matrimonio d’interesse che puntualmente non arriva o se lo fa comunque pretende un duro scotto da pagare. Un orizzonte tutt’altro che rassicurante sotto il cielo grigio di una Pietroburgo che da città diviene quasi paesaggio di quell’anima della piccola Russia costellata di miseri funzionari statali, piccoli proprietari oppressi e la grande massa di diseredati che davanti a loro non hanno che un futuro piatto e ben nitido, granitico nella sua irreversibilità che stride in maniera dolorosa con quel benessere esclusivo appannaggio delle “persone per bene”, che sembra così vicino ma che nonostante gli sforzi probabilmente nessuno di loro riuscirà ad afferrare.

Un testo godibile che tratteggia in maniera esemplare un settore della società russa all’ombra della nascita dei movimenti rivoluzionari che animeranno il paese negli anni a venire e che oltretutto ci dimostra come pur in un’epoca lontana e ad esotiche latitudini le aspirazioni di una massa rassegnata siano sostanzialmente le stesse.

Lucca: cinque nazi contro un marocchino

“Erano cinque, tutti italiani”. Un marocchino di 23 anni, dal 2001 in Italia, un lavoro come cuoco in un ristorante di Lucca, racconta l’aggressione.
http://lombardia.indymedia.org/node/39045

Lucca, 29 maggio 2011. Picchiato da un gruppo di giovani, almeno cinque, tutti “italiani e con le teste rasate”, venerdì sera a Lucca. È la denuncia un marocchino di 23 anni, dal 2001 in Italia, un lavoro come cuoco in un ristorante di Lucca. Lo riporta oggi “Il Tirreno”. Al giornale il giovane nordafricano ha riferito che la sera del 27 maggio, uscito dal lavoro verso le 23, mentre stava tornando a casa, passando davanti a un bar in pieno centro a Lucca alcuni ragazzi che erano seduti si sono alzati e gli sono andati incontro, iniziando poi a colpirlo. “Non li avevo mai visti – ha raccontato il ventitreenne –. E non erano per niente ubriachi. Si sono avvicinati e hanno iniziato a colpirmi. Mi sferravano addosso calci, ovunque, violentemente”.

A salvare il marocchino è stato poi un gruppo di suoi amici che si trovavano non lontano: “I ragazzi che mi picchiavano li hanno visti e si sono dileguati in un attimo. Ma uno dei miei amici, anche lui non italiano, ne ha riconosciuti alcuni come suoi assalitori anni fa”. È stata chiamata la polizia e il marocchino è poi andato in ospedale: otto giorni la prognosi.

Bologna – A proposito di repressione e solidarietà (Martino dalla Dozza)

Dozza, 7/5/2011

Qualche considerazione dallo zoo

Ci risiamo, prima, i nostri arresti a Bologna, dopo, lo stesso copione con gli arresti a Firenze.

Ai compagni colpiti dall’ennesima inchiesta della procura fiorentina va tutta la mia solidarietà.

Tutto questo suscita rabbia ed indignazione ma non stupisce.

Non stupisce perché la repressione “anti – anarchica” e contro quei compagni e quelle situazioni di lotta che si pongono in una prospettiva rivoluzionaria, non si è mai placata.

Non stupisce perché per chi comanda non esistono- e non potrebbero esistere- né “una gestione accettabile della crisi”, né, tantomeno, un’uscita da essa.

Difficile pensare a una supina accettazione del costante peggioramento delle condizioni di vita di tutti e dell’irreversibile rovina del pianeta. Non può quindi stupire che il potere, temendo le rivolte dei sudditi, giochi d’anticipo accanendosi con ogni mezzo contro le situazioni di dissenso che, di volta in volta, reputa particolarmente scomode.

Comunque va detto, quello che spaventa non è la “forza” del movimento anarchico, con buona pace di quei compagni che in qualche proclamo, tra uno slogan truculento e l’altro, se ne fregiano. Quello che turba i sogni di politici, padroni e sbirri è ciò a cui le idee e soprattutto le pratiche degli anarchici alludono, il loro potenziale, la loro diffusione tra arrabbiati ed esclusi: l’universale linguaggio della rivolta di cui in Italia si è avuto un assaggio il 14 dicembre a Roma.

Spaventano l’ostilità e il rifiuto di riconoscere- e farsi riconoscere- dalle istituzioni, la conflittualità permanente.

Spaventano l’autogestione e l’orizzontalità che caratterizzano le nostre lotte e l’informalità che caratterizza i nostri rapporti.

Spaventa il fatto che vengano riportate le notizie di quegli attacchi al dominio che, coscienti o meno che siano, suscitano simpatia in molti, ma di cui solo in pochi parlano pubblicamente. Pubblicazioni di articoli di giornale che, per qualche alchimia poliziesca, diventerebbe acrobaticamente una “prova” del coinvolgimento nei fatti riportati, poco importa se, ad un più attento esame la cosa finisca per non stare palesemente più in piedi anche per i professionisti del sospetto.

Del resto a vacillare è l’imputazione stessa che ci colpisce qui come a Firenze (e prima a Lecce e a Torino): l’associazione a delinquere strutturata ( con tanto di capi, lougotenenti e soldati semplici), rigida, con spazi aperti che diventano covi clandestini “perché solo i gestori ne hanno le chiavi” (per logica potrebbe derivare,allora, che per essere davvero pubbliche biblioteche e scuole dovrebbero distribuire le chiavi a tutti), ed il cui scopo sarebbe “compiere reati”.

Anche qui, purtroppo, non c’è da stupirsi. Leggendo alcuni articoli di Malatesta ( sì, qui ho tempo…), ho trovato un passaggio in cui già lui faceva considerazioni sull’uso dell’associazione a delinquere per reprimere gli anarchici: evidentemente non è una trovata innovativa.

Mentre scrivo queste righe apprendo dal telegiornale locale (purtroppo in carcere la televisione è sempre accesa) dell’ennesimo danneggiamento della sede bolognese della lega. Di ieri la notizia dell’imbrattamento della sede della UIL nel quartiere di San Donato. Per fortuna che ci dipingono una città pacificata in cui l’unica “voce fuori luogo è quella degli anarchici insurrezionalisti”…

Eppure poco importa agli inquirenti se inchieste come questa finiscono in un nulla di fatto, poiché il loro vero scopo è soprattutto fiaccare i compagni con custodie cautelari, divieti ed obblighi di dimora, intimidire chi si avvicina agli anarchici, stringendo al contempo sempre più la morsa, provando a cercare dei precedenti per schiacciare ogni forma di dissenso un domani.

Credo che quest’ultimo aspetto meriti particolare attenzione essendo di portata generale per chiunque porti avanti dei percorsi di lotta.

Questi tentativi non vanno lasciati passare sotto silenzio.

Di fronte ad attacchi di questo tipo, più ci si lascia spaventare, più si arretra, più il nemico avanza e guadagna terreno.

Credo che la scelta migliore di fronte all’incalzare della repressione sia quella di rilanciare le lotte ed allargare la solidarietà.

Da questo punto di vista, rispetto all’operazione “outlaw” (fà troppo ridere sto nome per non citarlo almeno una volta) non ci si può certo lamentare. Ringrazio con tutto il cuore per le lettere, l’affetto e soprattutto la solidarietà che arrivano da Bologna, dall’Italia e da oltre i confini di questo maledetto paese.

A testa alta a dispetto di tutto

Per l’anarchia

xMartinOx

Costa Silvia Billy – Fissata data del processo e inasprimento censura

Da Informa-azione: Il processo per Silvia, Costa e Billy è stato fissato nei giorni dal 18 al 22 Luglio 2011, il presidente del tribunale che li giudicherà ha inasprito ulteriormente la censura sulla corrispondenza riducendo a 2 il numero di lettere a settimana in entrata e 2 in uscita. La prossimità dell’inizio del processo e la limitazione della possibilità di corrispondere sono un’ulteriore passo della procura verso l’obbiettivo mai raggiunto in più di un anno di ostacolare il confronto e la collaborazione tra dentro e fuori e tra di loro, di isolarli e bloccare la loro partecipazione alle lotte. A maggior ragione in vista delle udienze l’imperativo degli inquisitori è ostacolare l’organizzazione di iniziative  e il confronto fra i coimputati, affinché il processo si svolga in un contesto democraticamente pacificato.
Vogliamo ribadire quanto sia importante far sentire la nostra solidarietà a Silvia, Costa e Billy, perché questo processo non passi come se niente fosse, perché torni forte quel sentire che ci fa pensare e dire che quando colpiscono uno di noi intendono colpire tutti.

A breve divulgheremo le iniziative previste per quei giorni.