Op. Ardire – Due scritti di Giulia dal carcere di Rebibbia

Riceviamo e diffondiamo due comunicati di Giulia, compagna anarchica prigioniera dal 13 giugno nel carcere di Rebibbia per l’operazione Ardire.

Per scriverle:

Giulia Marziale
CC Rebibbia Femminile
Via Bartolo Longo 92
00156 Roma


Da una galera

Attenzione! Attenzione!
Questo, a distanza di 100 giorni dal mio arresto, è un piccolo contributo che voglio dare per mettere in guardia voi tutte e tutti.
1) Se per caso avete lampadari in casa, funzionanti con lampadine, fate attenzione, potreste pentirvene. Ma se proprio non potete farne a meno di averne qualcuno, non tenete in casa altre lampadine, oltre quelle già inserite negli appositi lampadari. Quando si fulmineranno, vagherete nel buio e solo allora potrete averne di nuove. Assicurandovi però di buttare quelle rotte, perché anche esse, come fatto notare dagli acutissimi Ros e Pm, sono un ottimo mezzo per costruire bombe.
2) Se ritenete opportuno abbellire la vostra presenza fisica con orecchini, badate bene a non acquistarli, qualora siano di rame. E se per caso un amico o amica ve ne voglia regalare un paio, separatevene senza indugi, perché sono armi pericolosissime.
3) Se non avete la maniacale abitudine di dare un posto ad ogni cosa, ma siete disordinati e tendete ad avere una improvvisata scatola degli attrezzi, dove tenete fra l’altro chiodi e pinzette per fermare i fogli, che dirvi? Evidentemente siete pericolosi terroristi, pronti a preparare bombe in ogni minuto.
4) Se vi capita di avere in casa mollette per i panni, non di plastica, bensì di legno, inceneritele, bruciatele, spargete le loro ceneri ai quattro venti. Non avete idea di cosa si nasconda dietro di loro.

A voler essere seria, tutta questa trafila di piccoli, ma non poco importanti avvertimenti, servono perché la notte in cui mi hanno arrestata hanno trovato nella casa dove vivo con il mio compagno (e dove non mi trovavo) lampadine di riserva, orecchini di rame, chiodi, ferma fogli e una molletta di legno. Il tutto è stato messo insieme, fotografato e sistemato da loro stessi in modo tale da farlo sembrare un assemblaggio di oggetti per preparare ordigni esplosivi. Così, infatti, il materiale sequestrato è stato presentato dai Ros e dalla Pm durante l’udienza del riesame.
Non parliamo ovviamente del fatto che, non avendo trovato alcun materiale cartaceo che descrivesse come si preparino tali bombe, sia stato da loro detto, evidentemente grandi conoscitori della mia persona, che non ce ne era bisogno, “perché era tutto nella mia mente, nella mia salda memoria!” Ogni commento è superfluo, vero?

Vorrei aggiungere un ultimo punto della lista, seppur a prima vista possa sembrare poco inerente ai precedenti:
5) Se questo mondo vi fa schifo; se ripudiate guerra, sfruttamento e devastazione; se non avete mai avuto il timore di dirlo; se non avete mai abbassato la testa pensando “non ci posso fare niente”; se ci avete sempre messo la faccia; se avete chiara la coscienza di chi sono i responsabili delle vite terribili che conduciamo; se siete convinte che la società in cui viviamo sia lobotomizzata; se non riuscite a guardare una gabbia con indifferenza; se il cuore vi si chiude, il sangue vi pulsa, la vista si annebbia al pensiero di una donna, di un uomo o di un animale rinchiuso, beh, prima o poi, come dice una donna rinchiusa qui con me “ti devi fare la galera”.
E se questo mio essere, questa Giulia che sto scoprendo forte, dignitosa, ancora più ferma e convinta delle sue idee e sprezzante dell’annichilimento in cui chi mi ha rinchiusa vorrebbe gettarmi; se questo mio essere loro lo vogliono etichettare come pericoloso, che costruisce bombe, che partecipa ad associazioni sovversive (magari affiliate alla fai-informale, nonostante qualunque cosa io abbia mai fatto, detto o pensato, non possa in alcun modo far pensare ad una mia benché minima adesione o partecipazione) volte a terrorizzare e seminare il panico fra la gente, beh, io non glielo permetto e rimando tutto al  mittente.
Terrorista è chi rinchiude, chi manganella, chi devasta. E allora, parafrasando una canzone, che tremino i potenti di fronte agli animi fieri di tutte queste “terroriste”, che non hanno paura di lottare contro tutto ciò che realmente genera e rinvigorisce il terrore, la discriminazione, la diseguaglianza, la devastazione, lo sfruttamento.
Che tremino, che abbiano paura! La loro vera paura è che sanno che qualsiasi gabbia mi metteranno intorno, che sia cella, che sia lavoro, che sia diffamazione, che sia isolamento, niente mi toglierà la voglia di romperla e di continuare a guardare il mondo  con gli occhi lucidi, aspri, vitali e liberi.
Che si arrovellino pure il cervello per trovare maglie migliori per le mie catene, io sarò più forte. Perché ho in me una coscienza, una consapevolezza di quello che sono, che non intaccheranno mai.
Che si specializzino nell’arte sopraffina (vera arte dei nostri tempi) del reinventare un significato per le parole, laddove guerra diventa missione di pace; laddove le bombe sono intelligenti e non pericolose e gli orecchini di rame e le lampadine pericolosi esplosivi; laddove il terrorismo non è quello di chi rinchiude, uccide, reprime ma quello di chi critica tutto ciò; laddove la devastazione si chiama civilizzazione, progresso o ricchezza; laddove il non accettare lo status quo dell’ingiustizia è sinonimo di pericolosità sociale; laddove gli immigrati carcerati si chiamano ospiti.

Le mie parole non hanno il peso della storia dei nostri tempi, della rabbia, dell’insolenza, della voglia di abbattere tutta la crudeltà, la ferocia della gabbia che rinchiude la vita di tutti noi, fuori e dentro le galere, schiavi di una vita che non vogliamo, di un mondo che cade a pezzi e che chiama i suoi residui progresso.

Dalla parte di chi lotta, di chi non si inchina.

Le bombe e il terrore li semina lo Stato, il Potere e la nostra santa Democrazia

Per la libertà di tutte e tutti.

Una donna libera.
Giulia.


Is There Anybody Out There?

C’è da credere che tutto il trambusto creato dalla sfortunata sorte delle Pussy Riot, nonché l’ondata di indignazione e solidarietà scaturita da tutte le menti democratiche di giornalisti, cantanti, uomini e donne di governo sia nata dall’attenuante dell’uso, nel momento dell’ “atto criminoso”, di simpatici passamontagna colorati.
Personalmente ne sono quasi certa. Anche perché, diciamocelo, i colori destano più l’attenzione, ci allietano la vita, ci rendono più comprensivi e aperti verso gli altri.
Altrimenti proprio non si capirebbe come mai i giornalisti, i primi a catapultarsi in “arditi” articoli atti a sbattere i nemici della collettività (terroristi incappucciati accusati di attaccare striscioni, di offendere la repubblica e le sue istituzioni con pericolosissime azioni sovversive che distribuiscono colla e vernice sui muri della città) sulle prime pagine dei loro giornali, abbiano sposato la causa delle Pussy Riot.
Sicuramente dipende dal colore del passamontagna!
Eh già, perché nella democrazia, da loro tanto ostentata e dalle alture dalle quali mandano le loro invettive contro il cattivissimo Putin e il medievale Patriarca della Chiesa di Mosca, una simile situazione non si sarebbe mai verificata.
O meglio, si verificherebbe se i passamontagna o le felpe con cappuccio fossero neri. Se in chiesa invece del nome di Putin venisse urlato (e non per inneggiare) quello di qualche noto mercificatore o incatenature delle nostre vite, un ministro, un capo della polizia, qualche politico, qualche potente del clero di Roma.

Non so quanti giornalisti indignati di questi ultimi tempi siano andati a leggere il codice penale della nostra santa democrazia. Credo davvero pochi.
D’altra parte si sa, il lavoro è tanto, la difesa dei diritti democratici (degli altri Paesi) non conosce sosta, è una dura corsa e non si può sprecare il tempo.
Ma io, che di tempo ne ho, essendo chiusa in una patria galera per un tempo che non mi è dato sapere (detenuta in attesa di giudizio), ho pensato di aiutare lor signori nel loro nobile lavoro.
Art 405 cp, Turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa: “Chiunque impedisce o turba l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una confessione religiosa… è punito con la reclusione fino a 2 anni”. Aggiungerei il reato di travisamento (legge n°152 del 22/5/75): “è vietato l’uso di caschi o qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico senza giustificato motivo… in manifestazioni… tranne in quelle sportive. Il contravventore è punito con l’arresto da 1 a 2 anni e con una ammenda da 1000 a 2000 euro.” E, perché no, il vilipendio a chicchessia (religione, presidente repubblica, repubblica e alle sue istituzioni)… Che fatica.
Insomma, se le Pussy Riot avessero fatto la stessa cosa in Italia, avrebbero avuto un trattamento forse ben peggiore.
Ora, di certo, non mi interessano lezioni di diritto comparato, anche perché le mie conoscenze di questo infausto mondo, che peraltro non mi appartiene, sono molto ristrette.
Vorrei solo “esplorare il mondo di San Patrizio delle vostre democrazie” per rimestare nel torbido. Se le mie parole avessero la forza della mia rabbia, sarei sicuramente più efficace, più incalzante nell’esporre le miei argomentazioni.
Mi chiedo se i difensori della libertà di questi giorni scrivano i loro articoli con ingenua consapevolezza o con il classico sporco servilismo ipocrita che li contraddistingue. Quello che gli permette di dedicare pagine e pagine di ringraziamenti a chi ha salvato il Paese da pericolosi attentatori, senza curarsi di capire i reali disegni celati dietro la carcerazione di tante persone, riportando le veline dei loro padroni condite di qualche aggettivo un po’ letterario (così da rendere l’articolo più accettabile agli occhi di un lettore la maggior parte delle volte decerebrato, ma esigente) e costruendo un mondo fittizio.
Un servilismo che garantisce la loro integrità morale agli occhi dell’opinione pubblica, che li vede battersi contro le ingiustizie assassine di Assad, contro l’arresto delle Pussy Riot, per Assange, così da non dover rendere conto del loro sporco e reale lavoro condotto in Patria, l’unico per cui la stampa ha il permesso di esistere, ossia giustificare, servire il Potere, lo Stato e i suoi scagnozzi.
Così i ribelli siriani sono tali, quelli della Val di Susa sono terroristi e violenti; le Pussy Riot sono dissidenti, represse dal sistema dittatoriale russo, mentre chi in Italia viene accusato di fare scritte o di attaccare striscioni contro la guerra, il governo o i responsabili di disastri ambientali è un pericolassimo eversore dell’ordine democratico da rinchiudere in galera (prima ancora del processo, ovvio).
Ah scusate, dimenticavo! Probabilmente nella democraticissima Italia, le Pussy Riot, oltre ai già citati articoli del c.p., si sarebbero viste appioppare sicuramente il tanto amato 270 bis, articolo sulla cresta dell’onda. Anche perché in una chiesa, cantare contro il governo, in tre, cosa è se non una associazione sovversiva con finalità eversive, con “l’aggravante della richiesta dell’aiuto alla madonna” (e qui, se capitassero nelle mani di qualche prete/Pm, avrebbero sul groppone anche “stregoneria ed eresia”)?
Certa che le mie parole cadano nel vuoto delle vostre teste schiave, cari giornalisti, vi auguro sia di poter continuare il vostro fondamentale e necessario lavoro, sia di non guardarvi mai allo specchio. Casomai doveste scorgere una divisa al posto dei vostri vestiti, una catena al posto dei vostri cervelli, un manganello al posto della vostra penna.
Comunque, a scanso di equivoci, solidarietà alle Pussy Riot, non in nome della democrazia e dei suoi diritti, ma in nome della libertà, contro le galere e i loro carcerieri, contro tutti i benpensanti che puntano il dito dall’altra parte del loro recinto, senza guardare il fango che arriva alle loro gambe.
Detto ciò, mi auguro che le Pussy Riot non siano risucchiate da una rogatoria internazionale che le coinvolga in un’associazione sovversiva intergalattica.

Un saluto, da Giulia,
una sovversiva senza passamontagna colorato, detenuta nel carcere di Rebibbia.

Buon fine estate!

28 marzo 1998 – 28 marzo 2012 con Sole e Baleno nel cuore. No Tav!

SOLEDAD, HERMANA…

Solitudine, compagna…

In fondo al tuo lenzuolo c’è la nostra disfatta
la fine del pensiero, la certezza inutile
che ogni nostra rivolta era una frase fatta
gridata per confondersi a un universo futile.
Solitudine, compagna…

In fondo alla tua vita c’è la roccia perduta
la cima irraggiungibile, la distanza infinita
la nostra vita fatta, quotidiana e fottuta
il lavoro, la casa, la tristezza, la vita…

Compagna solitudine, noi partiamo in vacanza
la tua disperazione conservacela in frigo
ce ne occuperemo alla fine del rigo
dove nei nostri slogan parliamo di speranza.
Solitudine, compagna…

In fondo a quest’estate, quando ritorneremo,
fatti trovare ancòra come un’àncora rotta
ed affondando insieme potrò dirti «Porteremo
quest’ odio sociale nella storia corrotta»
Solitudine, compagna…

La storia ormai è finita e affoga dentro un pozzo
se la stanno sbranando questi quattro assassini,
l’urto sui nostri volti, la violenza del cozzo
ci ha strappato le armi e spezzato i canini.

Compagna solitudine qui son tutti colpevoli:
la repressione che ci ammazza senza pausa,
gli schiavi abbrutiti, il torpore della causa,
lo Stato assassino i boia consapevoli.
Solitudine, compagna…

Però anche noi tutti, compagni troppo stanchi
troppo occupati a cercare un domani
per difendere l’oggi dai colpi sui fianchi
per difenderci oggi, per usare le mani.
Solitudine, compagna…

Brindavamo alla chiusura del luglio libertario
alla nostra sconfitta onorevole e certa
questo treno in partenza di cui non so l’ orario
e non esce più sangue ma la ferita è aperta.

Compagna solitudine, di te posso dire “morta”
ma io non sono certo di poter respirare
questo paesaggio aspro di continuo dolore
questo cielo fumoso, questa luna contorta.
Solitudine, compagna…

In fondo al tuo lenzuolo c’è la nostra sconfitta
la fine del futuro, la perdita d’ orgoglio
la rivolta ingabbiata, c’è la morte già scritta
c’è la mia speranza impiccatasi in luglio.

11 luglio 1998

Questa canzone fu scritta all’indomani della notizia del suicidio di Maria Soledad Rosa, appunto la “Compagna Solitudine”. Ci sono attaccatissimo, ma non la propongo mai, né nei dischi né in concerto perché tocca il fondo di un dolore senza fondo. Quel fondo che fa si che nessun anarchico si senta mai del tutto solo, perché ci sono gli altri anarchici dovunque lui vada ed è pazzesca la solidarietà. Ma per converso quando uno di noi se ne va, la ferita non può rimarginarsi e butta sangue ancora. E poi è forse troppo disperata… e mi rompe fare canzoni sui fatti sociali senza un minimo di speranza.

Alessio Lega

 

 

Ultima lettera di Tobia dal carcere di Cuneo prima che Caselli gli tappasse la bocca

Chi vince contro lo Stato?

Chi vince contro lo Stato? Questo mi ha chiesto un secondino, saputo che ero un arrestato NO TAV, mentre frugava tra i miei effetti personali, cercando nella pasta portatami da casa un’improbabile lima.
Chi vince contro lo Stato?
Non gli ho risposto. Non spreco tempo a convertire gli sbirri.
Ma dentro di me avevo non una ma decine di risposte. Sapevo di aver già vinto io.
Io che, completamente nudo, ero costretto a fare piegamenti davanti a lui per dimostrare che non mi ero infilato niente nel culo.
Io che non avevo paura di lui né di quelli come lui, né dentro né fuori.
Io che non mi piegavo e non mi sottraevo alla lotta.
Io che ero disposto a mettermi in gioco, sempre e comunque, per difendere la mia libertà e quella di tutti.
Io che non ero e non sarò mai solo.
Io che ricevevo in continuazione telegrammi, lettere, giornali, anche da compagni che non conoscevo.
Con me c’era una Valle intera, violata da un’occupazione militare che imponeva la devastazione in nome di un falso progresso. Una Valle che mi sosteneva. E sosteneva tutti gli altri arrestati, rispedendo al mittente le accuse di essere noi dei violenti infiltrati nel movimento. Anzi, ci considerava a pieno diritto dei valsusini. Ci ringraziava per aver condiviso con i suoi abitanti assemblee, momenti conviviali e situazioni di lotta.
E insieme alla Valle, in tutta Italia si moltiplicavano le iniziative in nostro sostegno. E anche all’estero, come quando il procuratore capo Giancarlo Caselli, deus ex machina dell’inchiesta che ci ha condotto in carcere, è stato duramente contestato in Svizzera.
Queste erano le cose che mi passavano per la testa, mentre mi rivestivo dopo l’umiliazione subita.
E dentro di me ridevo.
Sapevo di essere io il più forte.
Lo Stato, per mezzo di giudici e poliziotti, avrebbe potuto anche distruggere la mia esistenza.
Io ho già vinto.

Tobia Imperato

Pistoia – La strage è fascista! Dossier su Casa Pound

Mettiamo on line il dossier realizzato e distribuito qualche tempo fa dagli antifascisti ed antirazzisti pistoiesi a seguito dell’uccisione a Firenze, da parte di Gianluca Casseri militante di Casa Pound, di Samb e Diop, ambulanti senegalesi.

 

CLICCA QUI PER SCARICARE IL DOSSIER

Radiocane – Atene, una volta di più

Atene, una volta di più

200.000 manifestanti in Parlamento.

Altri 300 000 che non potevano arrivare (strade e metropolitane bloccate dalla polizia).

I Cretesi hanno requisito un canale alla TV greca. La città di Volos parzialmente bruciata. I centri delle imposte devastati.

Attikon Cinema bruciato. E ‘datato 1870. L’edificio è stato usato come prigione per le torture della Gestapo.

Un negozio di armi sulla via Athinas è stato saccheggiato.

Bruciate molte banche, incluse le filiali delle banche e Starbucks Eurobank.

Le banche in precedenza erano state già danneggiate per quanto riguarda le videocamere.

La Biblioteca Nazionale non è stata bruciata!

Un tentativo di catturare il sindaco di Atene, ma la polizia lo ha raggiunto in tempo.

Gli uffici dei partiti che hanno votato SI al piano di austerità attaccati in varie città della Grecia.

Una cinquantina di edifici parzialmente o totalmente bruciati.

Questa la cronologia di un’ennesima giornata di lotta in Grecia. Ancora scontri. Ancora rabbia, tanta, tanta rabbia.

Ma c’è qualcosa di nuovo in questi ultimi eventi?

Ne abbiamo parlato con Achille, in collegamento  da Atene.

ASCOLTA IL CONTRIBUTO DI RADIOCANE

La cronologia è tratta da:
http://connessioni-connessioni.blogspot.com/2012/02/testimonianze-dalla-grecia-in-rivolta.html

Val Susa. Tre No Tav feriti, uno grave. Cariche e blocchi

Cronache No Tav tra Susa, Torino, Chianocco.
Le cariche di Coldimosso – i tre feriti – i blocchi di strade e autostrade
I prossimi appuntamenti

Martedì
16 febbraio intorno alla mezzanotte. Questa volta manca un pelo. La
trivella piazzata a Coldimosso di Susa, sotto il cavalcavia che
oltrepassa l’autostrada viene intercettata dai No Tav, in allerta da
ore, che quasi riescono a precederla. Volano manganellate per
disperdere i primi arrivati. Seguono lunghe ore di assedio, con le
forze dell’ordine e gli addetti alla trivella bersagliati da palle di
neve e gavettoni, mentre il tubo per l’acqua viene più volte
riposizionato. La mattina successiva sul sito de “La Stampa on line” la
solita sequela di falsità: le palle di neve diventano sassi, l’acqua
orina.

 

Mercoledì
17 febbraio, ore 17. I No Tav si ritrovano al presidio dell’autoporto a
Susa e decidono di fare una passeggiata sino alla trivella. A Torino
intanto una cinquantina di No Tav si ritrovano alla stazione di Porta
Susa per un presidio informativo. La stazione è blindata.

Il
corteo partito dall’autoporto arriva alla trivella. Qualche palla di
neve e la polizia carica più volte. Cariche feroci. Chi cade viene
massacrato. Un ragazzo, Simone, viene più volte colpito, cade. I
poliziotti infieriscono su di lui mentre è a terra. Vomita sangue, non
riesce più a muovere le gambe. Ad una donna spaccano la faccia
infierendo ripetutamente sul volto, una ragazza riporta numerose ferite
al capo. Molti altri guadagnano lividi ed escoriazioni.

Un No
Tav grida ai poliziotti di aver puntato in modo esplicito a Simone e
loro gli dicono “sì, quello lo conosciamo”. Già è normale: Simone è
anarchico e gli anarchici facilmente si guadagnano le attenzioni delle
forze del disordine statale.

I tre
feriti vengono portati all’ospedale di Susa. La donna viene operata
subito, la ragazza ricucita, ma purtroppo la situazione del ragazzo
ferito alla testa è più grave. Ha un’emorragia cerebrale, non sente le
gambe, vomita. Viene deciso il trasferimento alle Molinette a Torino.

Il tam
tam No Tav scandisce presto la notizia dei gravi pestaggi di Susa.
L’appuntamento è alla rotonda di Chianocco. I No tav bloccano la
statale 24, la statale 25 e l’autostrada. Sulla A32 i poliziotti
vengono sommersi di urla quando arriva la notizia che sta per arrivare
l’ambulanza che porta Simone alle Molinette. In breve spariscono. Una
colonna di poliziotti e carabinieri viene intercettata sulla 25 e non
gli viene permesso di passare: l’indignazione per quanto è accaduto è
altissima. La polizia spara lacrimogeni prima di andarsene. I blocchi
terminano intorno a mezzanotte e trenta.

Simone
arriva alle Molinette ma nemmeno qui viene lasciato in pace. La digos
entra nella sala degenze del pronto soccorso. Compagni ed amici di
Simone li cacciano con energia e chiamano l’avvocato. La nuova tac
effettuata mostra che le sue condizioni restano gravi ma stabili.
Simone viene finalmente trasferito in reparto.

Alcuni
No Tav decidono di bloccare l’uscita dei camion che portano le copie
della prima edizione de “La Stampa”, facendo un picchetto all’ingresso,
in via Giordano Bruno 84. Quando, un’ora dopo, arriva la celere il
presidio si scioglie.

 

A
Condove, in gennaio la polizia aveva spaccato il braccio di Maurizio,
un No Tav che contestava la trivella, la scorsa settimana,
sull’autostrada, qualche manganellata aveva lasciato il segno. Ma a
Coldimosso la polizia si è scatenata. In queste ore di attesa e
trepidazione per la sorte del compagno ferito, sappiamo meglio quello
che abbiamo sempre saputo. I signori del Tav e i loro servitori in
divisa non si fermano davanti a niente. Le lunghe ore di blocco in
valle sono la risposta di un movimento che resiste e non si fa
spaventare dalla violenza legalizzata degli uomini in divisa.

 

Nuovo appuntamento giovedì 18 febbraio alle 11, davanti alla RAI in via Verdi.

 

Mercoledì 24 febbraio ore 17 presidio No Tav, in via Roma, davanti alla sede de “La Stampa”

 

No Tav Autogestione

notav_autogestione@yahoo.it

338 6594361


La resistenza concreta contro i sondaggi
precedenti alla realizzazione del progetto TAV si attiva in zona
Coldimosso. Durante le cariche della polizia in due restano a terra, un
ragazzo e una signora. I manifestanti li sottraggono alle mani della
polizia che vorrebbe portali via per nascondere la propria violenza e
orchestrare meglio denunce e referti. Attualmente sono in ospedale a
Susa. Il compagno ha la testa spaccata e da poco ha ripreso i sensi, lo
stanno trasferendo all’ospedale Molinette di Torino per una possibile
emorragia cerebrale. Tutta la zona è militarizzata, ma l’appello è
comunque a portare solidarietà e resistenza, ovunque.

Ascolta l’audio delle cariche tratto da Radio Blackout.

PER AGGIORNAMENTI IN DIRETTA E INDICAZIONI ASCOLTATE RADIO BLACKOUT, O CONSULTATE INDYMEDIA PIEMONTE


Gravi le condizioni del compagno trasferito alle Molinette,
sottoposto alla seconda TAC. La digos è stata cacciata dall’ospedale.


Ai compagni in Val Susa va tutta la nostra solidarietà, per l’ennesima volta lo stato, per mano dello sbirrame suo devoto, viscido e servile schiavo, attacca la popolazione che si oppone alla devastazione del proprio territorio. Siamo con voi, contro le devastazioni ambientali, la repressione e per l’autogestione, VIVA L’ANARCHIA!

 

 

Fatti di Pistoia, resoconto della terza udienza

Dal sito del MAL:

Si è tenuta nella giornata di stamani la terza
udienza del processo che vede coinvolti 7 imputati, di cui quattro
livornesi, per l’irruzione nel circolo Agogè-CasaPound di Pistoia,
avvenuto l’11 ottobre 2009. In questa terza riunione sono stati
ascoltati alcuni testimoni dell’accusa, quattro tra ispettori di
polizia e dirigenti digos che quel giorno hanno condotto le prime
indagini, M. D., consigliere del circolo Agogè, e due dei sette
accusati.

Continua a leggere

Da Pistoia sul processo agli antifascisti

Volantino attacchinato nei giorni scorsi in città in relazione al processo agli antifascisti accusati dell’attacco a casa pound.

IL MONOPOLIO DELLA VIOLENZA E LO SPETTACOLO DELLA GIUSTIZIA
(dall’attacco a casa pound al processo agli antifascisti)

Lo Stato, si sa, non può tollerare alcuna violenza che non sia la sua.
Ma questo dato di fatto nasconde una sostanziale differenziazione. In
una società disumanizzante, dove alienazione e velocità meccanica sono
i motori della riproduzione, la violenza, oltrechè inestinguibile, è il
mezzo che diventa fine di desideri sempre più frustrati. Ciò deve
essere nascosto, ma entro certi limiti tollerato. Esiste altresì un
altro tipo di violenza endemica, prodotto di quel residuo di umanità
che reagisce al sistematico processo di riduzione della vita in mera
sopravvivenza. E’ slancio spontaneo o opposizione (auto)organizzata al
potere che in variegate forme si palesa. Questo secondo tipo di
violenza non può assolutamente essere tollerato e deve essere represso
con ogni mezzo o ricondotto entro altre forme. L’attacco alla sede di
Casa Pound ha colpito, più o meno efficacemente, ma indiscutibilmente
in maniera chiara e diretta una delle protesi del potere sul
territorio. Quella che di fatto rappresenta una succursale di Caserma e
Questura, da cui svolgere, in nome di un tacito accordo basato
sull’autoritarismo, quelle stesse funzioni di repressione e controllo.
Questo attacco pertanto ha rappresentato non solo uno smacco nei
confronti dei fascisti buoni di Caserma Pound (quelli delle aggressioni
nelle ultime settimane a Napoli, Ferrara, Verona, o per essere ancora
più chiari dell’aggressione in città dell’anno scorso allo Spazio
Liberato Ex Breda Est, dove si presentarono con catene, tirapugni e
coltelli ferendo un giovane al volto e alla nuca. Aggressione poi
rivendicata senza alcuna conseguenza nei loro confronti, ma che vide 8
aggrediti denunciati per rissa), ma anche al sistema poliziesco e
politico. Era pertanto fin troppo naturale che lo Stato mettesse in
moto la sua macchina repressiva cieca e brutale per ribadire il proprio
monopolio della violenza, l’univocità dell’interpretazione e
dell’applicazione di ciò che perfino la sua stessa legge prevede:
l’inesistenza delle sedi fasciste. Ma se oltre lo smacco c’è anche la
beffa? Se i cosiddetti colpevoli hanno agito a volto scoperto, in
centro ed in pieno giorno e sono pure riusciti a darsela a gambe
(verità di cui tutti sono a conoscenza, perfino la stessa digos..), che
fare? All’aggiustizia non interessano le categorie di innocenza o
colpevolezza. Quanti individui giuridicamente innocenti affollano le
carceri dell’Italia, del mondo? Quanti? Del resto si sa, le carceri
esistono per il solo scopo di essere riempite. Il rito democratico che
si espleta nei tribunali come sempre è anticipato dal processo
mediatico orchestrato dai giornalisti-giullari di corte sulle note del
coro di condanna dei politici. E’ questa sinfonia funebre la colonna
sonora dello spettacolo della giustizia. Se non ci sono i colpevoli, si
creano. Tutti sono potenzialmente colpevoli, anche se alcuni possono
esserlo meglio di altri. Il macellaio ha bisogno della carne, ma se
questa non è “addomesticata” è di maggior pregio. La fava della
giustizia anche stavolta è riuscita a prendere due piccioni per il
solito risotto da scodellare al giudice.

Livorno: sabato 16 gennaio, la Digos provoca i manifestanti.

La manifestazione tenutasi sabato 16 a Livorno è
stata un dimostrazione di civiltà e di democrazia.

Ai
margini della bellissima manifestazione colorata e pacifica purtroppo si sono
verificati episodi di intimidazione da parte delle forze dell’ordine nei
confronti dei partecipanti al corteo.

Prima di tutto bisogna far notare che Livorno è stata
militarizzata con centinaia di agenti in tenuta antisommossa (stile Genova
2001).

Nonostante non vi fosse nessun motivo di pensare o
prevedere alcun problema di ordine pubblico visto il carattere pacifico della
manifestazione, la
Polizia e i Carabinieri si sono presentati provocatoriamente
armati di tutto punto e pronti alla
guerriglia.

E’
evidente dunque che una manifestazione di civiltà e democrazia viene
interpretata dallo stato come una manifestazione pericolosa e ad alto rischio,
questo fatto la dice lunga sulla “democraticità” di chi ci governa e
sull’interpretazione che questi danno della Costituzione
Italiana.

Come se non bastasse, nonostante il corteo si snodasse
pacificamente tra le strade della città salutato dagli applausi della gente alle
finestre, agenti della Digos si sono infiltrati nel corteo per filmare i
partecipanti.

Questo atteggiamento mette in evidenza che per
la Digos
partecipare ad un corteo democratico rappresenta di per se un motivo per
ritenere una persona pericolosa tanto da dover indispensabilmente filmarla e
schedarla.

Facessero tutto questo con i mafiosi e dei loro
frequentatori!

La
Digos
di
Livorno però a pensato proprio a tutto, non bastava filmare, schedare e
militarizzare Livorno, ai manifestanti è stato dato anche un “arrivederci”
particolare alla stazione, chi veniva riconosciuto come partecipante alla
manifestazione veniva infatti “gentilmente” fermato per un controllo di
“routine”, come è accaduto ad un gruppo di 20 antifascisti di Massa Carrara e ad
altri manifestanti.

Di
fronte alle proteste e alla richiesta di spiegazioni la polizia ha fatto
intervenire i rinforzi che si trovavano “stranamente” proprio dietro l’angolo
della stazione.

Questi individui (supponiamo poliziotti), tra i quali il
“regista” infiltrato con la telecamera nel corteo, rifiutandosi di mostrare i
loro distintivi, con manganelli e minacce di arresto hanno circondato il gruppo,
soltanto dopo attimi di tensione e di parapiglia il gruppo è riuscito a salire
sul primo treno.

Questi fatti dimostrano quanto sia stata importante la
manifestazione di sabato e quanto sia necessario continuare con questa lotta, le
intimidazioni avvenute ai margini della manifestazione, sempre più diffuse nel
nostro paese, fanno da sfondo alle uccisioni di Stefano, di Carlo, di Federico
di Marcello e di tutti quelli giovani e innocenti come loro, italiani o
immigrati, uccisi senza pietà dal braccio violento dello stato
borghese.

Per
questo motivo ringraziamo le madri che hanno promosso la manifestazione di
sabato, a loro chiediamo di andare avanti con coraggio e determinazione nella
lotta per la verità e la giustizia. Saremo sempre al vostro fianco come sabato a
Livorno, insieme costruiremo un mondo giusto e
libero!

Questa è la “vendetta” che
vogliamo!

 

Basta omicidi di
stato!

Libertà per tutti i proletari rinchiusi nelle carceri
borghesi!

Libertà per tutti gli
immigrati!